Una serata di preghiera e comunione, quella di ieri nella Cattedrale di Noto, dove il vescovo mons. Salvatore Rumeo ha celebrato il secondo anniversario della sua ordinazione episcopale e dell’inizio del ministero nella Chiesa netina. Un pontificale solenne, partecipato da numerosi fedeli, sacerdoti, religiosi e religiose della diocesi, forze civili e militari, oltre ad amici e parenti giunti da Caltanissetta, diocesi di origine del presule.
Ad aprire la celebrazione, i saluti e gli auguri carichi di speranza del vicario generale, mons. Ignazio Petriglieri. “L’anno giubilare da lei stesso inaugurato qualche mese fa, ci sta permettendo di riandare a uno dei principi costitutivi del cristianesimo: la speranza. Il fatto che Papa Francesco l’abbia scelto come tema guida per tutta la Chiesa vuol dire che oggi c’è urgenza, viste le sfide e i non pochi motivi di scoraggiamento. Il ministero del vescovo è contemplato sotto il segno della speranza. Eccellenza le chiediamo di orientare il nostro sguardo verso mete alte così da essere obbedienti al Pastore dei pastori” ha affermato nel suo messaggio il vicario Generale.
Un gesto significativo ha contraddistinto la liturgia: le offerte raccolte durante la celebrazione, su espressa volontà del Vescovo, sono state destinate al Seminario diocesano, segno della cura per le vocazioni e per la formazione dei futuri sacerdoti. In occasione di questo anniversario, mons. Rumeo ha inoltre voluto donare alla diocesi delle nuove casule bianche per le solennità liturgiche da celebrare come comunità diocesana in Cattedrale.
Le mani che sostengono la Chiesa
Nell’attesa omelia mons. Salvatore Rumeo ha condensato la sua esperienza pastorale vissuta giorno dopo giorno in mezzo alla gente. Le sue parole sono sembrate il plot di un cortometraggio sintesi dei suoi anni di ministero fatto di ascolto, confronto e dialogo.
Nel cuore dell’omelia, il vescovo ha scelto di soffermarsi sul simbolo delle mani, filo conduttore della sua riflessione: «Ho stretto le mani del Papa, dei sacerdoti, dei seminaristi, degli ammalati, dei giovani, delle famiglie, dei detenuti, di chi soffre, dei bambini. La mano tesa è icona di comunione, una stretta di mano è già accordo per la condivisione di un progetto comune: il bene di tutti», ha detto il presule. Le mani diventano così il segno tangibile di un ministero vissuto nella prossimità, nell’ascolto e nella cura di ogni persona.
«Ho stretto le mani dei nostri sacerdoti e religiosi – ha proseguito – nei loro occhi scorgo la passione e la ricchezza spirituale del loro ministero; e ho stretto le mani dei seminaristi, il futuro della nostra Chiesa, che custodiscono sogni e preghiere per la comunità».
Ma anche le mani sofferenti sono state al centro della meditazione del vescovo: «Ho stretto le mani di chi soffre, di chi porta sulle spalle croci invisibili, delle persone recluse, dei giovani segnati dal dolore come Francesco» il ragazzo netino scomparso in un tragico incidente negli scorsi giorni. A tutti loro, mons. Rumeo ha voluto rinnovare la promessa di una Chiesa che si fa compagna di cammino, capace di ascoltare e di custodire.
Importanti parole sono state spese per le giovani generazioni, non il futuro della Chiesa di Noto, ma dalle parole di mons. Rumeo il presente. «Come Chiesa dobbiamo spenderci lavorando con passione per la serena crescita delle nuove generazioni. I nostri spazi siano luoghi di vera fraternità, laboratori di creatività fantasiosa, spazi aperti, accoglienti e inclusivi dove i ragazzi possano sperimentare e sentire il calore e le premure di tutta la comunità educativa».
“Duc in altum”: una Chiesa che prende il largo
L’anniversario ha rappresentato per mons. Rumeo anche l’occasione per tracciare un bilancio e rilanciare il cammino della Chiesa netina: «Duc in altum… Chiesa di Noto!», ha esortato il vescovo, richiamando l’immagine evangelica della pesca miracolosa. Prendere il largo per mons. Rumeo significa «trasfigurarsi nella preghiera, abitare le periferie esistenziali, educare le nuove generazioni e uscire per testimoniare il Vangelo con coraggio e libertà».
Nel tempo giubilare che la diocesi sta vivendo, a pochi mesi dalla chiusura del 180° anniversario della fondazione e del Sinodo della Chiesa italiana, mons. Salvatore Rumeo ha chiesto una Chiesa “in uscita”, capace di abitare la città degli uomini «con la forza di un amore che rompe i confini, che non accetta il “si è sempre fatto così”».
Prossimità e misericordia
Il vescovo ha sottolineato che il cuore della missione ecclesiale è la misericordia: «Il nostro stile deve essere quello di una Chiesa che si fa grembo di accoglienza e di fraternità, segno visibile della tenerezza di Dio». Proprio in quest’ottica si inserisce la volontà di realizzare nel Palazzo Vescovile spazi di accoglienza per i senza fissa dimora, affidati alla Caritas diocesana, così come la recente apertura della Mensa dell’Incontro a Pozzallo dedicata a Padre Giovanni Botterelli.
Richiamo alla santità
Non è mancato nel discorso omiletico di mons. Salvatore Rumeo il costante riferimento alla santità del quotidiano. «Tutti siamo chiamati ad essere santi. È il cammino del discepolo del Signore» ha ricordato il presule. Inoltre ha ricordato la chiusura dell’Inchiesta diocesana per la Causa di Beatificazione del Servo di Dio Nino Baglieri, annunciando che è sua intenzione di inoltrare agli uffici competenti diocesani, regionali e alle Congregazioni vaticana la richiesta di nulla osta per iniziare la fase diocesana per il processo di Beatificazione di Sarah Calvano, giovane avolese, ritornata alla Casa del Padre a solo 19 anni. «Della sua intensa esperienza di adolescente, dotata di una straordinaria interiorità e di una fede esemplare, ha lasciato un carissimo ricordo in tanti amici e parenti» ha ricordato mons. Salvatore Rumeo.
Un nuovo umanesimo di speranza
L’omelia si è chiusa con un forte richiamo all’annuncio e alla testimonianza: «Il cristianesimo è perdono e rinascita. Siamo chiamati ad essere testimoni di un nuovo umanesimo che salva l’uomo nella sua interezza, corpo e anima, e che si traduce nella concretezza della carità».
Un anniversario carico di gratitudine e di slancio missionario, nel segno delle mani che stringono e accolgono, che benedicono e si mettono a servizio. E mentre l’assemblea si scioglieva nei canti e nella preghiera finale, l’invito del vescovo restava impresso nel cuore di tutti: «Torniamo a Cristo. Annunciamo con la vita che la misericordia di Dio è eterna».
Pierpaolo Galota