«Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore”. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme! Gerusalemme è costruita come città salda e compatta. Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge di Israele, per lodare il nome del Signore» (Sl 122, 1-4).
Vi giunge il mio affettuoso saluto, carissimi fratelli e sorelle, autorità civili e militari del territorio di Siracusa e Ragusa. Il mio saluto all’Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, ai Vigili del Fuoco, alla Capitaneria di Porto. Un saluto accorato ai Sindaci dei Comuni della Diocesi, agli Onorevoli Nazionali e Regionali, al Vice Prefetto di Siracusa, al Commissario e Segretario Generale del Libero Consorzio di Ragusa, ai Presidenti dei Consigli Comunali del territorio, alla Giunta Comunale di Noto, al Sovrano Militare Ordine di Malta, all’Ordine equestre Santo Sepolcro di Gerusalemme, agli Ordini dinastici di Real Casa Savoia, al Sacro Ordine Militare Costantiniano. Saluto il mio fidato e carissimo Mons. Ignazio Petriglieri, Vicario Generale della Diocesi, gli amati confratelli sacerdoti che mi sostenete ogni giorno nel ministero (auguri a don Thierry per il 19mo anniversario di vita sacerdotale, auguri a Don Gabriele Di Martino nel giorno del suo compleanno e a Don Eugenio Boscarino per il compleanno di domani), auguri ai confratelli che in questi giorni hanno ricordato e ricorderanno a breve la loro ordinazione sacerdotale. Vi giunge il mio saluto carissimi fratelli laici che lavorate in Curia, diaconi, religiosi, religiose e amati seminaristi. Sapete cari ragazzi quanto vi voglio bene e vi stimo. Grazie all’Azione Cattolica Diocesana, ai Gruppi, Associazioni e movimenti. A voi ammalati la mia personale vicinanza e gratitudine. Grazie per l’offerta al Signore delle vostre sofferenze per il bene della nostra amata Chiesa netina. Saluto e ringrazio quanti si sono adoperati per la preparazione di questo giorno e daranno il loro contributo nel corso dell’anno giubilare: dal mio segretario Don Giuseppe Canonico al Parroco della Cattedrale, Don Maurizio Novello. Ringrazio come sempre i Portatori di San Corrado, dei Cilii e la Confraternita di Maria SS. Scala del Paradiso, la Corale della Cattedrale, l’Unitalsi e la Misericordia di Rosolini e Portopalo. Grazie a tutti i presenti e a chi ci segue via social. A tutti dico: un santo anno giubilare nel nome di Cristo e di Maria Sua Madre.
S’innalza oggi il nostro canto di lode al Signore, la lode di tutta la comunità mentre «si fermano i nostri piedi» dinanzi alla porta della salvezza che è Cristo Signore, unico Salvatore del mondo.
Desiderosi anche noi di incamminarci alla ricerca della speranza, oggi, chiediamo al Signore che indichi a tutti la via per raggiungerla e possederla: «Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”» (Gv 14, 5-7).
È giunto il momento, è ritornato il tempo di aprire, anzi spalancare le porte a Cristo come ricordava, in Piazza San Pietro in quel lontano 22 ottobre 1978 San Giovanni Paolo II all’inizio del suo ministero apostolico come successore di Pietro: «Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna». Sembra una riflessione dell’altro ieri ma sono già trascorsi ben 46 lunghi anni.
Carissimi il Cristo è la «strada», Lui è la «porta», Lui è la «vita», Lui è il «Buon Pastore», Lui è «l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Lui è la speranza del mondo, la speranza che anima le nostre esistenze, quella speranza che ha riempito di fede e amore la vita di tanti santi discepoli del Signore della nostra terra: il pellegrino Corrado, Guglielmo, Antonio Etiope, Girolamo Terzo, Madre Maria Crocifissa Curcio, Giorgio La Pira, Nino Baglieri e tante anime nascoste che hanno detto di sì al Vangelo della speranza.
Ringraziamo il Signore per il tempo di grazia che ci offre. Sulla strada Lui ha incontrato donne e uomini desiderosi di pace, gioia, salute e liberazione e a tutti, Lui, grande nell’amore, ha donato gesti di grande compassione e misericordia: parole, carezze e miracoli.
Papa Francesco ha ricordato nella Bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit che il Giubileo «per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1). Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma (SNC 1).
Rianimiamo, allora, la speranza. Non fermiamoci. Pratichiamo la strada che è Cristo, fonte di vita e di verità. È nell’incontro con il Signore Gesù che riusciamo a leggere il cuore di tutti, a fasciare le ferite dei deboli ed ascoltare le loro dolorose angosce.
Il cuore dell’uomo è avvolto e stravolto da una singolarissima solitudine. Tutte le voci che giungono al cuore sono destinate a misurarsi con l’unica consolante voce che è quella di Dio. Solo Dio sottrae l’uomo dalla sua solitudine.
Essendo il Giubileo un cammino di conversione, il suo luogo per antonomasia rimane il cuore, l’io profondo, la cella del proprio spirito. Così il richiamo di Gesù alla donna di Samaria rimane sempre di estrema attualità e di singolare forza: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. […] Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano» (Gv 4,21-23).
È al cuore di ciascuno, alla sua porta, che il Signore bussa e sta in attesa di poter entrare per riversarvi il proprio amore che perdona e rinnova e per cenare insieme e godere di un’amicizia senza pari. Ed è sempre il cuore di ciascuno di noi – nessuno escluso – che deve farsi vigile e operoso per ascoltare la voce del Signore, per aprire la propria porta e consegnarsi a Lui e al suo abbraccio misericordioso. Proprio così, come leggiamo nell’Apocalisse. L’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio si rivolge alla Chiesa di Laodicea dicendo: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Papa Francesco, nella Santa Veglia di Natale, pochi giorni fa, dopo aver aperto la Porta Santa esclamava: «Senza indugio, andiamo a vedere il Signore che è nato per noi, con il cuore leggero e sveglio, pronto all’incontro, per essere capaci di tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita. E questo è il nostro compito: tradurre la speranza nelle diverse situazioni della vita. Perché la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme. Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede – direbbe Sant’Agostino – di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia. Impariamo dall’esempio dei pastori: la speranza che nasce in questa notte non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità – e tanti di noi, abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità -; la speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; la speranza è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Al contrario, la speranza cristiana, mentre ci invita alla paziente attesa del Regno che germoglia e cresce, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità, e non solo, anche attraverso la nostra compassione. E qui forse ci farà bene interrogarci sulla nostra compassione: io ho compassione? So patire-con? Pensiamoci».
Se il Giubileo è un invito forte alla conversione e, dunque, a rientrare in se stessi come lo è stato del figlio prodigo (cfr. Lc 15,17), il cristiano ora, e non dopo, è chiamato a vivere il pellegrinaggio interiore e personale del cuore.
Liberiamo la nostra coscienza dalle antiche e nuove forme di schiavitù, da atteggiamenti infantili di puro egoismo e distruggiamo le maschere di false sicurezze.
«La speranza cristiana – continua Papa Francesco – è proprio il “qualcos’altro” che ci chiede di muoverci “senza indugio”. A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo. Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù. A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. Portare speranza lì, seminare speranza lì. Il Giubileo si apre perché a tutti sia donata la speranza, la speranza del Vangelo, la speranza dell’amore, la speranza del perdono».
Il pellegrinaggio del cuore nuovo si risolve nella carità misericordiosa. Infatti, è proprio nella carità che Dio viene incontro all’uomo e l’uomo risponde a Lui con filiale obbedienza. In tal senso ogni gesto di autentica carità misericordiosa può e deve interpretarsi come vero pellegrinaggio verso Dio. Al pellegrinaggio di Dio verso l’uomo deve dunque corrispondere il pellegrinaggio fraterno dell’uomo verso il proprio simile: «Se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11). Proprio come è avvenuto nell’esperienza del Giubileo della Misericordia del 2016 con gesti concreti e segni visibili di carità verso i poveri, i sofferenti, gli anziani, i bambini, gli emarginati, gli scartati, le singole persone e le comunità.
Per chi crede, il Giubileo sarà azione di Grazia perdonante che risanerà molti cuori dando speranza alle sofferenze dell’umanità. Come in un grande e infinito abbraccio di misericordia. Non abbiamo «un Dio meschino» e neppure «un Dio fermo». Il nostro è «un Dio che esce» per «cercare ognuno di noi». E quando ci trova, «ci abbraccia, ci bacia», perché è «un Dio che fa festa» e in cielo si fa «più festa per un peccatore che si converte che per un centinaio che rimangono giusti». «Dio ci aspetta: sempre, con le porte aperte». Perché il suo cuore «non è chiuso: è sempre aperto». E «quando noi arriviamo come quel figlio, ci abbraccia, ci bacia: un Dio che fa festa». Questo «è l’amore di Dio; Dio ci ama così, senza misura» (Francesco 20 ottobre 2015).
Un appuntamento giubilare, questo, nel quale la Chiesa tutta è chiamata, illuminata dalle scelte sinodali, a cercare e trovare le risposte pastorali più vere e adeguate nei riguardi delle comunità locali, considerandole nella loro singolare e affascinante bellezza e insieme nelle loro molteplici ferite. Una ripresa, dunque, e un rilancio di grande spinta, una vera e propria svolta pastorale – voluta dal Sinodo e dai tavoli che abbiamo celebrato – una svolta che vivremo a chiusura del Sinodo e del 180 della Diocesi.
Nella parte iniziale di questa solenne celebrazione s’è proclamato: «Questo rito è per noi preludio di una ricca esperienza di grazia e di misericordia, pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi, specialmente in questo tempo di guerre e disordini. Cristo nostra pace e nostra speranza, sia nostro compagno di viaggio in questo anno di grazia e di consolazione. Lo Spirito Santo, che oggi inizia in noi e con noi questa opera, la porti a compimento fino al giorno di Cristo Gesù».
Cristo è nostro compagno di viaggio, ci attende e ci incoraggia, ci prende per mano e ci consola. Nella nostra debolezza diventa àncora di pace, per la nostra fame e sete di giustizia si fa pane di vita eterna, nelle pagine dolorose si fa balsamo di grazia, nel giorno delle nostre paure si fa coraggio, nell’ora delle tenebre svela la sua luce gentile, nel giorno della nostra morte spalanca le porte dell’eternità.
«Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario» (Sl 26,4).
Siamo discepoli del Signore che ammirano il volto di Dio impresso nel santuario che è il cuore dell’uomo. «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1 Cor 3,16-17).
Ma è pur vero che la casa del Signore, questo edificio sacro fatto di pietre e superbe decorazioni, cattedra del Vescovo, qui a Noto, da secoli risplende fiera per la sua impeccabile e mediterranea bellezza. La Cattedrale di Noto ferita dall’usura del tempo e dal crollo del 13 marzo 1996 è stata amata, fasciata, curata…è risorta dalle macerie e ora ostenta il suo antico splendore ai pellegrini e ai turisti che provengono da ogni parte del mondo per ammirarla. Tutto racconta dell’importanza artistica, religiosa, sociale, turistica di questo tempio e dello sviluppo economico territoriale ingenerato dalla sua maestosa presenza. Auguri anche a te, Magnifica Cattedrale di Noto, apri le tue porte e a tutti ricorda la via della santità.
A Cristo, Pellegrino di speranza rivolgiamo la nostra preghiera perché la comunità cristiana della Diocesi di Noto rifiorisca nella speranza, nella fede e nella carità misericordiosa.
O Signore Gesù Cristo
Unico Salvatore del mondo
a Te, sorgente di vera speranza,
rivolgo umilmente il mio amorevole sguardo!
Pellegrino di pace e di gioia
sii Tu il mio sostegno,
mite compagno di viaggio,
mostrati amico fraterno!
Pellegrino sulla via della croce
sii Tu il mio conforto,
asciuga benigno le lacrime,
a tutti concedi il Tuo abbraccio!
Pellegrino sulle strade del mondo
sii Tu la mia speranza,
il Tuo Cuore ascolti l’umil preghiera,
luce di grazia dona ai Tuoi figli!
Dammi la forza Signore
ch’io canti in eterno il Tuo Amore!
Non starmi lontano ti prego
Tu sei il mio Pastore! Amen
Sia Lodato Gesù Cristo!
