Chiesa che va amata con fede con amore con la preghiera e la speranza creativa

E’ proprio vero che il Signore scrive dritto sulle righe storte degli uomini; solo così si spiega come una sessione di Esercizi Spirituali, con l’incognita del dove e quando fino a qualche giorno prima, si possa trasformare in una occasione preziosa e ricca di stimoli per i diaconi permanenti convenuti alla Villa Mater Dei di Belvedere nei giorni 3 e 4 settembre per l’abituale momento di esposizione all’azione dello Spirito Santo. Poiché il Signore non ricorre spesso ad eventi straordinari, ma utilizza ordinariamente le persone che si affidano totalmente a Lui per realizzare i suoi progetti, dobbiamo essere grati immensamente alla lungimiranza del responsabile della formazione del nostro corpo diaconale, don Corrado Lorefice, che ha individuato in mons. Greco, già Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Siracusa e sempre innamorato della Parola di Dio, la persona idonea a fondare biblicamente l’ontologia e il ministero del diacono permanente. Con l’amabilità, la chiarezza espositiva e la profondità teologica che lo contraddistinguono, mons. Greco ci ha guidati alla riscoperta del nostro essere diaconi, servi della Parola e testimoni dell’amore di Dio nella storia degli uomini del nostro tempo e del nostro territorio. Il riferimento biblico utilizzato non poteva essere più appropriato: At., 6-7, che ci presentano la vicenda umana del diacono Stefano, prototipo e figura esemplare per chiunque desideri rispondere al meglio alla chiamata al servizio nella Chiesa di Cristo con particolare attenzione agli ultimi, i prediletti del Signore.  Il diacono Stefano era, intanto, un uomo conformato a Cristo, “pieno di grazia e verità”, la sua vicenda ripercorre le tappe della Incarnazione, Passione e morte di Gesù, di Colui che è venuto per servire e non per essere servito. E’ questo il Dio cui Stefano dà testimonianza, servendo la Parola e la Carità. Quale l’oggetto verso cui il diacono deve rivolgere il servizio? Innanzitutto la società, svolgendo il proprio lavoro con competenza e impegnandosi nel campo civile e sociale; poi la Chiesa che va amata con fede, perché è di Dio e non degli uomini, anche quando le cose non vanno; “nella Chiesa c’è troppo di umano? Ma è lì che c’è Cristo” ( De Lubac ); con amore, con “viscere di misericordia”, scoprendo il volto di Cristo nei poveri e superando le difficoltà legate alla mancanza di comunione tra di noi; con la preghiera e la speranza creativa che è certezza perché fondata sulla Parola. Il diacono Stefano fu ordinato per il servizio alle mense, alla carità, ma subisce il martirio perché serve la Parola: come Cristo ai discepoli di Emmaus, sintetizza con grande competenza la storia dell’AT e la legge come preparazione all’evento cristiano, suscitando l’ira dei suoi interlocutori.  La competenza nell’utilizzo della Sacra Scrittura, un esercizio indispensabile per chi è chiamato a spezzare il pane della Parola, che non può essere affrontato con improvvisazione e superficialità e, soprattutto, senza aver prima pregato per ricevere la luce dello Spirito. La Parola è Verità e come tale può far male a chi ascolta, pertanto, bisogna mettere in conto l’opposizione, l’indifferenza e la freddezza. Il diacono è anche colui che serve il silenzio, perché indica il mistero di Dio; il silenzio predispone all’ascolto, chi non sa ascoltare non sente Dio che parla, non sente i poveri che si lamentano o non avverte il loro silenzio dignitoso. Il servizio alla Carità richiede l’essere pieni di Spirito Santo, per attingere al mistero di Dio ed evitare il rischio dell’autocompiacimento e della frenesia, che fanno perdere il senso del primato della Parola. Il diacono deve essere attento alle povertà, vecchie e nuove, ma deve saper guardare anche oltre, per risalire alle cause che le determinano ed individuare le fonti che producono le ingiustizie; dopo di che, non può restare inerte, è chiamato ad intervenire con i mezzi a disposizione, non per sostituirsi ai servizi sociali, ma per rispondere alla chiamata a collaborare alla costruzione del Regno di giustizia e di pace, inaugurato da Cristo con la sua prima venuta tra noi e che attende ancora il suo compimento escatologico.  Ecco perché il diacono è e deve essere considerato “uomo di speranza”.  Le parole ascoltate hanno avuto l’efficacia di un farmaco dell’anima, che ci ha trasmesso consapevolezza, serenità e coraggio per continuare il nostro cammino di fede e di servizio a Cristo e alla sua Chiesa, per affrontare meglio le incertezze, le incomprensioni nelle relazioni umane, per superare la tentazione della pigrizia spirituale che potrebbe farci sentire arrivati e non bisognosi di crescere in santità e grazia.  Un ottimo esercizio per prepararci ad affrontare il cammino faticoso ma esaltante del nuovo anno pastorale sorretti dalla certezza della misericordia divina.