Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi

 Carissimi, vi saluto di cuore tutti, insieme, come popolo di Dio, e ciascuno, come “persone”. Tutti in cammino per crescere nella fede in Gesù, vivendo, nella nostra umanità: guardiamo all’umanità bella e buona e vera del Maestro di Nazareth, il Signore che ci salva la vita, liberandola da ogni schiavitù vecchia e nuova.
 
L’incontro con Gesù libera
1. L’incontro con Gesù libera sempre, scioglie il male che è dentro di noi e fuori di noi, mentre chiede di stabilire tra noi, e con gli altri, nuove relazioni umane calde e generose, pacificanti e solidali. Certo, perché questa liberazione accada, è indispensabile conoscere Gesù, “via verità e vita”, perché si realizzi la promessa: “conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,32). Gesù è la verità-in-persona. Qui, allora, non si può indulgere su discorsi teorici, men che meno su parole facilmente riconducibili a chiacchiere. In Gesù, la verità ha carne, perché l’amore vero, che egli porta, vive e soffre in un corpo umano, toccabile da tutti. Nei sacramenti della fede, tutti i cattolici possono far diventare quest’amore “proprio corpo”, “propria carne”.
 
“La pace è finita, fuori, andate a Messa”
2. Pertanto, resta fondamentale – per incontrare Gesù, la Verità che libera –, partecipare all’Eucarestia domenicale. Qui, Dio si lascia toccare e mangiare. Qui avviene la “santa trasformazione”: i segni del lavoro dell’uomo (pane e vino) diventano corpo e sangue di Gesù, e l’amore eucaristico di Gesù diventa partecipato al nostro cuore, facendosi in qualche modo corpo nostro. “Fate questo in memoria di me”, non riguarda il gesto rituale (cioè, celebrare l’eucarestia), ma la vita eucaristica del cristiano. Nel suo intuito profetico, don Tonino Bello chiedeva al diacono di terminare la celebrazione eucaristica con questa frase: “la pace è finita, fuori andate a messa”. Di quanta conversione personale e comunitaria c’è bisogno, per iniziare a manifestare la missionarietà delle celebrazioni dei sacramenti della Chiesa cattolica! La preghiera sia sempre legata all’opera della carità e questo avvenga nella comunità e come comunità, per le strade del mondo
 
Le ceneri sul capo, l’inizio di un cammino
3. La quaresima è “tempo propizio” (kairòs) di conversione. È come una palestra nella quale si va per praticare degli esercizi capaci di allenare i nostri muscoli, allo scopo di fare sforzi non ordinari, recuperando snellezza, velocità. Si tratta, qui, della palestra del cuore: è quel muscolo fondamentale che rende gustosa la nostra esistenza, perché la riempie di senso, attraverso la pratica dell’amore. Sarà un caso, ma “cuore fa rima con amore”. Tuttavia, parlando dell’amore come lo vuole Gesù – “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12) –, allora non si corre il pericolo di rendere flaccido l’amore. Questo amore è concreto, incarnato, operoso nella carità. Perciò, il cammino quaresimale comincia ricevendo le ceneri sul capo: tutti abbiamo bisogno di riconoscere di non essere all’altezza di questo amore. Chiediamo perdono e speriamo nella misericordia di Dio che è grande, immensa, unilaterale e incondizionata, solo in Gesù, crocifisso per amore.
 
Attraverso la cruna dell’ego…
4. L’educazione è una questione del cuore, ha detto don Bosco. Educare viene da e-ducere, letteralmente “portare fuori”. Se il nostro cuore è imbrigliato da risentimenti, da rancori, da invidie e gelosie, da sospetti e permalosità, da desideri di vendetta e progetti d’intrighi, dovremo, in questo cammino verso la Pentecoste togliere fuori il nostro “io” da questo imbroglio. Dovremo attraversare la “cruna dell’ego”, e trasformare anche le ferite in feritoie: aprire fessure, allargare gli orizzonti, avere occhi nuovi sul dolore e le sofferenze di tanti fratelli, quelli vicini e quelli lontani. Soprattutto penso a quelli che da lontano si avvicinano, attraversando deserti e rischiando la vita sul mare per giungere da noi, sulle nostre coste, nella speranza di uno sguardo amico, di un abbraccio accogliente.
 
…per un cuore di carne
5. Dopo tanti annilo abbiamo capito per via di esperienza. La Quaresima può passare “senza che accada nulla di concreto, quanto alla mia conversione”. Da settimana in settimana, da domenica in domenica, anche la partecipazione ai riti e alle preghiere non mi trasforma, come se la grazia di Dio non fosse efficace. Eppure, con Gesù risorto, si è già realizzata la profezia della discesa dello Spiritoche ci risuscita dai sepolcri dei nostri peccati, dalle tombe delle nostre miserie e toglie da noi il cuore id pietra, donandoci un cuore di carne (cfr. Ez 36,26). Il cristiano è un “rinato nello Spirito”, vive di una potenza di amore che è “onnipotente”, può veramente tutto, perché, anzitutto, l’amore di Dio è stato effuso nel suo cuore (cfr. At 2,33). Il suo cuore di carne pulsa col ritmo dello Spirito santo che lo abita. Perciò, sensibile allo Spirito, afferrato da Cristo, il cristiano ha occhi nuovi, limpidi, per guardare in faccia il male e annientarlo, per riconoscere il bene e praticarlo.
 
Esercizi di cristianesimo
6.Il cristiano ora agisce “secondo lo Spirito” e la sua spiritualità non può essere mai disincarnata. Lo Spirito è, infatti, lo Spirito di Gesù, il Verbo nella carne che ha sofferto ed è morto per noi, mostrando soprattutto sulla croce la forma bella e umana dell’amore. Si ama così, se si vuole amare: stabilendo con l’altro una relazione di bene per la quale ci s’impegna a dare la vita. E allora? Capisco perché il cristianesimo va esercitato, praticato. Deve diventare pratica dell’amore, opera di misericordia spirituale e corporale. La Quaresima è dunque un tempo favorevole, palestra del cuore per “esercizi da compiere” e, così, allenare la vita all’amore di Gesù per tutti, in particolare per quelli che sono poveri e indifesi, non hanno voce in capitolo e sono emarginati e soli, vivono – come dicono alcuni teologi della liberazione – “nel rovescio della storia”.
 
Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra
7. La fede del cristiano è operosa nella carità. Ha due nuclei incandescenti: la preghiera, per la quale incontra il Signore e lo ascolta, mentre si affida totalmente a Lui, ricevendo “corporalmente” la sua grazia; la carità con la quale dona testimonianza del cambiamento (metanoia, conversione) della sua vita, in gesti concreti di vicinanza e di prossimità ai fratelli, di condivisione e di solidarietà, nell’obbedienza a quanto ha sempre chiesto Gesù a tutti: “dai da mangiare all’affamato, da bere all’assetato, vesti il nudo e vai a trovare il disperato” (Mt 25,31-46). Tutto questo, per altro, bisogna fare senza ostentazione, senza alcun vanto. Piuttosto nel nascondimento, perché “il Padre che vede nel segreto possa ricompensarti” (cfr. Mt 6,4). C’è scritto e tutti possono leggere e rileggere: “non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra” (Mt 6,3).
 
Attenzione al narcisismo dell’anima
8. Chi fa il bene e si esibisce, ha già ottenuto la ricompensa nel “plauso della gente”, nell’ammirazione conseguente, e rischia di coltivare quella malattia diffusa in tutti (particolarmente presente in chi ritiene di non averla): il narcisismo dell’anima. Questa malattia trasforma tutto in una grande specchiera, perché dovunque si guardi si possa riconoscere la propria “bella” faccia. Anche questo appartiene al “cattolicesimo convenzionale” che ospita in sé forme sottili di spiritualità mascherata: quando la maschera è tolta (e prima o poi capita) si vede subito che non è Dio a essere adorato, ma sempre il proprio io. Qui, la Quaresima diventa palestra difficile da abitare, perché chiede un supplemento di sforzo per una snellezza più grande, che tenga conto di quanto fu scritto: “l’orgoglio dell’umiltà è la quinta essenza della superbia”. E, a proposito del nostro servizio ai poveri, resta attuale quell’espressione demistificante di Mazzolari: “far strada ai poveri senza farsi strada”. Il narcisismo pastorale è sempre incombente.