La riflessione del Vescovo di Noto, Mons. Giuseppe Malandrino

A quasi nove anni dal mio ingresso come Vescovo della Diocesi di Noto, posso rendere grazie di tutto cuore al Signore per avermi consentito di attuare pienamente, sempre con la sua Grazia e con l’intercessione dei nostri Santi Patroni Maria SS. Scala del Paradiso e S. Corrado Confalonieri, quanto allora avevo programmato circa la ricostruzione della Cattedrale netina.
Infatti, nell’omelia che pronunciai allo Stadio Comunale di Noto il 29 agosto 1998, in occasione della celebrazione eucaristica solenne per il mio ingresso, ebbi a dire fra l’altro: «Quale compito il Signore ci assegna da portare avanti insieme, nella storia concreta di oggi e nel luogo specifico della nostra Chiesa particolare? Due priorità si impongono tra loro: la ricostruzione della nostra Cattedrale, senza dimenticare gli altri edifici sacri dissestati della Città di Noto e di tutta la Diocesi, e l’attuazione, già del resto in atto, del nostro ottimo Sinodo diocesano. Per il primo obiettivo occorrerà certamente un impegno ancor più sollecito, sinergico, motivato e generoso, bandendo qualsiasi forma ingiustificata di ritardo, di speculazione e di interesse privato. Pertanto, faccio vivamente appello a tutte le singole persone e a tutte le istituzioni, civili e religiose, perché sappiano superare l’atavica nostra tentazione del “particolarismo” e del tornaconto privato che hanno spesso appesantito e ritardato soprattutto le opere pubbliche, lasciandole spesso “eternamente incompiute”. Senza ombra di dubbio – e ne è testimone il mondo intero – non intendiamo ricostruire una delle tante “Cattedrali nel deserto”, ma una Cattedrale nella Città e nella storia».
Il miglior commento di quelle parole è la sollecita – meno di sette anni! – riapertura della grandiosa Cattedrale di Noto. Ed è un bene evidenziare che si tratta di una ricostruzione tutta in pietra. Oltre il buon Dio, allora, è più che giusto ringraziare anche coloro – istituzioni, direzione dei lavori, impresa, maestranza, singole persone – che, accogliendo il mio appello di allora, hanno veramente contribuito alla ricostruzione della Cattedrale, senza lesinare energie ed impegno, in uno sforzo corale e sentito che trova ora il suo giusto coronamento. Le immancabili difficoltà sono state superate con senso di responsabilità e corale slancio: e, così, la Cattedrale è venuta fuori – ancor più “forte” di prima – come frutto rigoglioso della preghiera e dell’apporto operoso di tutti quanti vi hanno creduto e operato. Ovviamente, sono stati innumerevoli i momenti in cui, soprattutto nelle varie conferenze di servizio, sono dovuto intervenire per offrire una parola di mediazione e d’incoraggiamento; spesso ho dovuto indossare il casco di sicurezza e la tuta di lavoro per entrare nel cantiere. Francamente, ho sempre trovato un pronto e sincero riscontro alle mie sollecitazioni ed esortazioni, con un’alacrità veramente encomiabile da parte dei tecnici ed operai. E, così, questa alacrità in cantiere avrà trovato un buon incoraggiamento dal vedere un Vescovo che, nonostante i suoi 70 e più anni, si arrampicava sui ponteggi metallici fino ad arrivare sulla cima della lanterna della cupola?
Valeva la pena affaticarsi così tanto per la ricostruzione della Chiesa “materiale”? In fondo, la Chiesa non è fatta da tutte quelle “pietre vive” (cfr. 1Pt 2,4?8) che sono i singoli battezzati? Rispondo dicendo che l’impegno profuso per la Cattedrale non ci ha distolto affatto dagli impegni nei confronti delle “pietre vive” che sono tutti i diletti figli dell’amata Chiesa di Noto. Ne sono buona prova, per esempio, la fruttuosa realizzazione della Missione Popolare e Permanente, la Visita Pastorale, le Lettere e i vari Convegni pastorali e, soprattutto, la tenacia per l’attuazione del Sinodo: impegni che hanno comportato non meno fatiche che per la ricostruzione della Cattedrale.
Desidero qui ribadire quanto ho detto e scritto ripetutamente in tutti questi anni. La ricostruzione della nostra mirabile Cattedrale ha un triplice spessore, un vero Trittico: 1) di fede, innanzitutto, perché è “casa di Dio” e, quindi dei suoi figli: per l’ascolto della sua Parola e per la preghiera; 2) di cultura: essendo, certamente, l’espressione più rinomata – una maestosa icona! – del Barocco di Noto, Patrimonio dell’Umanità; 3) di sano e fiducioso meridionalismo: per una valida spinta al superamento dell’atavico e diffuso senso di fatalismo, di rinuncia e di “delega”. Non ritengo, pertanto, del tutto temerario asserire che la ricostruzione della nostra Cattedrale di Noto se non è stato un miracolo, poco ci manca! Difatti, tutta una serie di elementi supporta questa sensazione: il superamento discretamente rapido, delle tante e comprensibili difficoltà per un’opera così imponente; l’uso e la tecnica dei lavori in pietra oggi non certamente diffusi; la durata breve di tutta l’impresa, di appena circa sei anni (2000-2007); la collaborazione – spesso anche vivace e critica – di tutte le componenti (autorità ecclesiastiche e civili, direzione dei lavori, impresa, operai); il contributo economico, questa volta abbastanza puntuale, dello Stato.
Nell’evidenziare il vitale rapporto che intercorre tra Chiesa di pietre “materiali” e Chiesa di pietre “vive”, ci sono state di aiuto e di sprone le parole dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, in occasione del millenario della Cattedrale di Magonza: «Come si rapportano costruzione in pietra e casa fatta di pietre vive? Si addice ai cristiani festeggiare la costruzione di un duomo? E nel caso di risposta favorevole, cosa festeggiamo veramente? Lo Spirito edifica le pietre, non viceversa. Lo Spirito non lo si può sostituire con il denaro o con la storia. Dove lo Spirito non edifica, le pietre diventano mute. Dove lo Spirito non è vivo, non opera e non guida, i duomi diventano musei, monumenti del passato, la cui bellezza rende tristi, poiché è morta. Questo è in un certo senso l’ammonimento che proviene da questa celebrazione per il duomo. La grandezza del
la nostra storia e la nostra potenza finanziaria non ci salvano; entrambe possono diventare macerie in cui noi soffochiamo. Solo la fede può tener vive le cattedrali, e la domanda che il duomo vecchio di mille anni pone a noi oggi è se noi abbiamo la forza della fede per dargli un presente e un futuro» .
In verità, potendo mostrare a Benedetto XVI le foto dell’iter della ricostruzione della Cattedrale di Noto, in occasione della recente Visita ad limina, io stesso mi sono sentito di ricordargli queste stesse verità, quasi a rincuorarci scambievolmente che la Chiesa, a fronte dei recrudescenti e ripetuti attacchi contro di essa, si fonda invincibilmente su Gesù, pietra angolare scartata dai costruttori (cfr Sal. 118,22?23; Mt 21,42). Vorrei concludere con un fiducioso auspicio: abbiamo anche nel nostro caro meridione potenzialità tali, di uomini e cose, che non possono permetterci atteggiamenti gravemente rinunciatari suggeriti spesso da diffuso disfattismo. Senza alcuna presunzione, allora, vorremmo consegnare la ricostruzione della nostra bella Cattedrale alla storia, con una esortazione, ispirata all’icone evangelica del lievito: “parva favilla gran fiamma seconda”. Come avevo sollecitato in quell’Omelia d’inizio del mio ministero episcopale a Noto nel 1998, non abbiamo per nulla dimenticato, né frainteso, nella ricostruzione materiale della Cattedrale, il monito del Crocifisso a S. Francesco d’Assisi: «va’, edifica la mia Chiesa». Adesso, poi, diventa ancor più impellente.

 

Noto, 27 maggio 2007

Domenica di Pentecoste

+ Giuseppe Malandrino, Vescovo di Noto