L’omelia di S.E.R. Card. Paolo Romeo

Fratelli e sorelle amati dal Signore e a me tutti carissimi!
1. Ritorna la consueta celebrazione in onore del beato eremita Corrado e, come ogni anno, la Chiesa di Noto, che lo venera come suo patrono e invoca la sua costante protezione, si ritrova tutta in festa per onorarne la memoria e lodare il Signore per il suo esempio di vita generosa e santa. Per questo desidero far giungere a voi tutti il mio più cordiale saluto, e l’augurio di vivere questo giorno soprattutto alla luce di un confronto intenso con la statura alta della sua santità.
Saluto Sua Eccellenza Mons. Antonio Staglianò, Padre e Pastore di questa porzione di popolo santo di Dio che è pellegrina in Noto, e lo ringrazio non soltanto per il dono delle sue parole, ma soprattutto per l’amicizia che nutre nei miei confronti, suggellata dalla fraternità episcopale nella quale il Signore ci ha inseriti.
In questa stessa fraternità episcopale sento vicini i Vescovi emeriti di Noto, S.E. Mons. Salvatore Nicolosi, a cui mi lega una lunga ma sempre fresca amicizia, e S.E. Mons. Giuseppe Malandrino, che per quasi un ventennio ha guidato la mia diocesi nativa di Acireale e ne era Pastore quando nel 1984 il Servo di Dio Giovanni Paolo II, imponendomi le mani, mi associava alla successione apostolica.
Il mio deferente saluto va anche alle gentili e distinte Autorità che questa mattina impreziosiscono con la loro presenza la nostra celebrazione. Questo ci fa auspicare una maggiore e fattiva unità di intenti e di prospettive che – sia pure in ambiti diversi – la Chiesa e le Istituzioni devono saper intrattenere per promuovere il bene comune che non è altro che il bene di tutti e di ciascuno dei cittadini.
Per la presenza devota e numerosa ringrazio anche il Capitolo della Cattedrale, i presbiteri, i diaconi, i religiosi, le religiose, i cari seminaristi: l’assemblea qui riunita oggi è segno di speranza per il futuro di questa nobile Diocesi.

2. Ripercorrendo la vita di Corrado ritroviamo una storia di grande e luminosa lealtà nella sequela di Cristo.
La coscienza del nobile Confalonieri non rimane indifferente di fronte ad un evento che getta nel dolore e nello sgomento un povero innocente accusato di essere responsabile dell’incendio appiccato proprio dal giovane Corrado, uscito per una battuta di caccia insieme con gli amici. Egli si lascia interpellare dall’ingiustizia che si sta consumando a causa sua: è il primo e più autentico passo nella sequela di Gesù Cristo.
Così l’uomo nuovo, il nuovo Corrado, più nobile nell’animo che nel lignaggio, nasce proprio nel momento in cui, pur in una dolorosa vicenda di peccato di falsità, si disvela gradualmente il disegno di Dio. Corrado lo scopre, poi rinuncia a tutto per seguire Cristo che lo ha riconquistato, nella vita penitenziale, come eremita, prima itinerante per l’Italia, poi stanziale in Noto, nella Grotta dei Pizzoni.
Lo abbiamo ripercorso e reso attuale nell’orazione colletta propria di questa Solennità in cui abbiamo così pregato il Signore: “concedi a noi… di scoprire attraverso le vicende della vita il tuo disegno di salvezza e di lasciare ogni cosa per se-guire te, fonte di ogni bene”.
È quel percorso che ciascuno di noi è chiamato a fare a partire da quel fonte battesimale che ci ha fatto nascere alla grazia e ci ha inseriti come membra vive nel Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa. E questo impegno deve sostenerci specie quando nei momenti bui e tristi della vita ci è difficile comprendere la volontà di Dio, le sue vie e i suoi pensieri così distanti dalle nostre logiche spesso chiuse e superficiali.
Corrado diventa discepolo nel secolo XIV. Spronati dalla sua testimonianza noi siamo chiamati ad esserlo oggi, scoprendo ogni giorno i tratti del nostro discepolato, confrontandoci con le vicende della vita, con la storia fatta anche di limiti e contrarietà,

3. La scelta penitenziale ed eremitica di San Corrado ci parla di un vero e proprio “esodo”: da un lato il distacco autentico dalle “zavorre” che potevano limitare la sua vita, dall’altro il cammino di un pellegrino, icona di un viaggio interiore alla sequela di Cristo. Essere discepoli di Cristo, alla scuola del suo Vangelo, implica sempre un’uscita da noi stessi, dai nostri egoismi, dalle nostre autoreferenziali sicurezze, ed un mettersi in viaggio, che significa ricerca, crescita interiore, costruzione dell’uomo nuovo.
È l’esperienza che ha vissuto Abramo, come abbiamo ascoltato nella prima lettura. Dio gli comanda: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò” (Gen 12,1). È l’esperienza vissuta dal giovane Corrado che comprende che potrà seguire il Signore solamente distaccandosi dalle certezze del suo casato nobiliare, dalla sicurezza dei suoi beni, persino dagli affetti e dai luoghi che rischiavano di prendere il primo posto nel suo pensare e nel suo agire.
Ad Abramo Dio promette una discendenza: “Farò di te una grande nazione e ti benedirò… e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (cf. Gen 12,2-3). Anche la rinuncia di Corrado si apre alla fecondità delle relazioni che resistono al trascorrere del tempo: Corrado diviene strumento di Dio per tanti che vengono a chiedergli un consiglio, che nel suo esempio vedono un incoraggiamento, che nella sua scelta di vita vedono la possibilità concreta di vivere il Vangelo. La sua testimonianza è ancora oggi fonte di ispirazione e sostegno per il cammino del popolo santo di Dio.

4. Come San Paolo – che abbiamo ascoltato nella splendida pagina della seconda lettura – Corrado ha preferito “perdere” ciò che agli occhi del mondo è considerato un guadagno. La posizione, l’onore, le certezze personali e materiali: è riuscito a dare un nome a tutte queste “catene” e tutto è divenuto spazzatura dopo che i suoi occhi si sono aperti ed egli ha scoperto il disegno amoroso di Dio e la necessità di una salvezza piena, autentica, che riempie il cuore.
“Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù”  (Fil 3,12). Così San Paolo continua a descrivere la sua conversione, con l’immagine di una corsa. Non si può correre “zavorrati” dal peso del peccato, del male, degli inganni e dei compromessi. Chi, come Corrado, ci ha preceduto in un radicale cammino di fede, ha testimoniato che rinunciare alle suggestioni del male, spesso fascinosamente mascherate, non è facile, richiede coraggio e decisione.
La “spazzatura” dell’egoismo, dei desideri mondani, del materialismo sfrenato, del piacere senza regole, può essere rigettata solo se le coscienze riman-gono vigili, solo se le motivazioni sono forti, solo se l’incontro con il Signore, nella nostra vita, è stato autentico.

5. Essere discepoli, seguire Gesù. Spesso pensiamo che questo “seguire Gesù” sia qualcosa riservata a pochi “eletti”, come i Dodici di cui parla il vangelo di oggi, che hanno a capo Pietro: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (cf. Mt 17,29).
Dimentichiamo che la sequela non è appannaggio dei soli consacrati. Essa ha certo un’espressione speciale nelle diverse vocazioni e nei differenti stati di vita che lo Spirito suscita nella Chiesa, ma ha la radice comune in un profondo, vero, compromettente amore per il Signore.
Tutti siamo chiamati a seguirlo, nei sentieri propri a ciascuno stato di vita. Tutti siamo chiamati a coltivare e garantire il primato di Dio nel nostro quotidiano, nei nostri ambienti di studio, di lavoro, di servizio. San Corrado ci insegna però che il chiasso della nostra contemporaneità distratta, rischia di privarci dell’ossigeno del rapporto profondo con la Parola di Dio, della preghiera autentica e vissuta, del silenzio ricercato e gustato come intimo colloquiare con il nostro Dio. Pur non essendo chiamati tutti alla vita eremitica, siamo chiamati ad allargare a spallate – come si racconta facesse il santo – la grotta della nostra interiorità con la volontà ferma di non cedere all’inganno di una società atea e materialista che relega Dio nel privato delle coscienze: “contemplativi nell’azione” come ci invitava ad essere il Servo di Dio Giovanni Paolo II.
Anche noi, come Pietro, ci facciamo spesso la domanda sul premio, entrando nella logica del mondo: “Che cosa dunque ne avremo?” (cf. Mt 17,29). Eppure nel seguire il Signore non sta altro premio che una vita toccata dalla sua misericordia, spesa nell’amore, unica cifra significativa e fondante del nostro pellegrinaggio terreno. Il resto – ci garantisce Gesù – ci verrà dato in sovrappiù.

6. Ed è proprio questo un aspetto della vita di Corrado che può essere fonte di feconda ispirazione nell’attuale momento di particolare ed allarmante crisi economica, che determina con un doloroso ed allarmante incremento delle povertà che affligge fasce sempre più ampie della popolazione.
Corrado si ritira nella povertà dell’eremo della Grotta dei Pizzoni, ma si racconta che al Vescovo di Siracusa abbia offerto del pane caldo, alla stregua di come avrebbe fatto con tanti bisognosi che, nel periodo della peste del 1348-1349 bussavano alla porta della sua generosità.
Nell’eremo, in modo prodigioso, Corrado unisce insieme l’intensità della vita contemplativa con una carità generosa e fattiva; il silenzio di unione con Dio con l’azione al servizio dei fratelli; la tensione ascetica con l’attenzione ai bisogni degli altri.
Come non far nostra questa testimonianza che ci riporta all’esigenza del nostro essere Chiesa? Mai possiamo separare le due dimensioni del nostro discepolato che per essere autentico e credibile deve saper coniugare costantemente l’amore di Dio e l’amore del prossimo.
Specie oggi, la testimonianza cristiana deve concretizzarsi in azioni concrete e decise di solidarietà comune, di condivisione dei bisogni dei fratelli in difficoltà con quella delicatezza ed attenzione che mai offendano la loro dignità, sapendo riconoscere nel volto dei nostri fratelli, spesso sfigurato dalla miseria e dalla emarginazione, il volto sofferente di Cristo.
L’austerità di vita di Corrado deve farci realmente pensare a quanto di superfluo possiamo eliminare dalla nostra vita, ad una revisione dei nostri stili in una sobrietà che non è soltanto virtuosa, ma che può diventare aiuto concreto in tante situazioni di povertà. In fondo il “pane caldo” offerto da Corrado domanda a questa Chiesa netina se è stato fatto tutto il possibile per crescere nel suo impegno di evangelizzazione e di promozione umana, nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II e ripetutamente ricordatoci dai Sommi Pontefici..

7. A San Corrado affidiamo i frutti di questa festa, che il Signore vorrà far maturare nella vita di ciascuno: affidiamo il nostro desiderio di scoprire i suoi disegni nelle vicende della vita, la volontà di uscire dai nostri egoismi, la ricerca della libertà interiore, ma soprattutto la corsa comune nella carità, vero banco di prova di ogni devozione ai santi e di ogni festa popolare, perché cuore autentico che muove il nostro pellegrinaggio terreno verso la meta eterna.