“Non semplice ripartenza, ma rinascita” – ha sottolineato, alla fine del ritiro diocesano dello scorso 28 febbraio a Pozzallo a Santa Maria della fiducia, il vicario generale don Angelo Giurdanella. E il nostro vescovo Mons. Antonio Staglianò, che ha presieduto l’Eucaristia, ha chiesto che – alla radice – tutto si rinnovi nella conversione al vero volto di Dio, che è sempre e solo amore, insieme alla consapevolezza dell’unità della mensa della Parola, dell’Eucaristia e della vita. “Il frutto – ha sottolineato – è nel segno della bellezza e dello stupore! Sostanziale e vera trasfigurazione!”.
E la meditazione biblica di don Carmelo Russo, biblista e parroco nella diocesi di Messina, ci ha aiutato a comprendere questo tempo di pandemia alla luce del naufragio di Paolo narrato negli Atti degli apostoli, non per avere una ‘ricetta’ ma per sentirsi amati da Dio, anche noi in una tempesta insieme agli altri – come ci ha ricordato lo scorso 27 marzo papa Francesco. La nostra ‘nave’ assomiglia molto a quella in cui viene fatto salire l’apostolo per ‘essere portato’ a Roma dopo che, stanco delle persecuzioni, fa appello a Cesare come cittadino romano. E non viene ascoltato nel suo saggio consiglio di aspettare di salpare visto l’inverno … Ieri come oggi siamo in una barca comune ma con dentro idee diverse e con alcune categorie di persone: i soldati (i governanti se pensiamo alla pandemia), i marinai (i tecnici, i comitati scientifici), i prigionieri (noi e tanta povera gente sottoposta alle decisioni dall’alto). E un comune smarrimento: senza sole e senza stelle! Paolo interviene per scuotere dalla deriva più insidiosa: lo scoraggiamento, la disperazione.
Profetizzando: saranno salvate le vite umane, non la nave. Possiamo dire: la nave con cui abbiamo navigato, ci siamo organizzati prima della pandemia, nave che va anche oggi alla deriva se pensiamo ai praticanti, sempre più diminuiti, e soprattutto se pensiamo alla durezza della crisi che ricade anzitutto sui più deboli. E il dolore non sempre è redenzione: sotto i flutti, se siamo egoisti, possiamo anche diventare più egoisti! Può anche capitare (nella pastorale) che restiamo immobili: non facciamo danni, ma nemmeno il bene! Accogliere questa parola significa invece rischiare a caro prezzo, come Paolo e come Gesù sulla croce, ma la croce va preparata lungo tutta la nostra esistenza. Non si può improvvisare la lotta spirituale. A questo punto, riprendendo il corso del racconto, Paolo invita a mangiare, e lo fa il 14 di Nisan (chiara evocazione della pasqua ebraica e di Gesù e dell’Eucaristia) e poi, altro nuovo pericolo, di nuovo una tempesta di fronte alla quale i soldati decidono di uccidere i prigionieri… L’unica scialuppa diventa l’amicizia coltivata da Paolo con il centurione, uomo buono che ora ferma la decisione dei soldati. Che permette a tutti di salvarsi, accolti con rara umanità dai maltesi che accendono un fuoco, danno da mangiare, curano. Ecco l’accoglienza, per la quale non abbiamo bisogno di istruzioni per l’uso. Il problema è quello che c’è prima, è uscire dalla rassegnazione che si accompagna al cinismo (e qui don Carmelo ha inserito efficacemente un collegamento letterario con i “Malavoglia” di Verga) e che si supera se viviamo la tempesta non come spettatori ma nella disponibilità a cogliervi – come nei naufragi di Sant’Antonio – una maturazione della fede e dell’amore.
EUCARISTIZZARE I NAUFRAGI… E DIO SAPRÀ FARNE CAPOLAVORI
Don Carmelo Russo ha accompagnato la meditazione con quattro piste di approfondimento pastorale, a partire dalla consapevolezza che il discernimento va fatto anche nella tempesta per portare anche nelle prove della storia e della vita la Parola di Dio, magari prima non ascoltati e poi ‘urlando’, come fa Paolo di fronte al rumore cupo dei flutti e al grido della paura.
1) Paolo VIENE CONSEGNATO: il naufragio diventa paradossalmente una tappa della realizzazione della missione di Paolo che vuole far giungere il Vangelo fino a Roma. Come Gesù, che “fu consegnato”…Tra ricevere e trasmettere il Vangelo diventa importante che l’attualizzazione avvenga nella nostra carne.
2) L’EMPATIA è il presupposto di una lettura accogliente della realtà. L’amicizia con il centurione risulta importante: non è che quando tutte le navi vanno in frantumi resta solo l’amicizia? Forse occorre passare da una pastorale dei servizi a una pastorale della relazione, che diventa ‘sacramentale’.
3) Importante il NOI: stare insieme, uniti nei pericoli in un “noi” che ci coinvolge. L’automatismo fa perdere lo stupore e la capacità di leggere la realtà. Per andare oltre parole logore occorre mettere a tema il NOI. In questa pandemia chi può vantarsi di avere la barca all’asciutto? Chi pensa di essere restato tranquillo al porto, sappia che è una persona.