Sanremo 2018. Materiale per una nuova intervista

In molti continuano a snobbare il Festival, deridendo chi ancora si blocca davanti al video per cinque serate consecutive.
Lei da quale parte sta e come ha seguito le serate del Festival.
 
Ho il mio ritmo di vita. Faccio fatica a stare davanti alla Tv per troppo tempo. Mi sono gustato parte della prima serata. Avevo però letto i testi delle canzoni di Sanremo 2018 velocemente per poter partecipare a Domenica In qualche giorno prima che iniziasse il Festival. Veniva là presentato il mio libro Pop-Theology per giovani che lavora appunto sulle “canzoni” di Sanremo, per valorizzare letterariamente quei testi e scavare nel messaggio umano che offrono. Questo messaggio umano m’interessa per predicare il Vangelo di Gesù che è la “sua” proposta di umanità bella e buona, quell’umanità che può salvare i giovani perché libera dalla noia, dall’accidia, dalla frustrazione, dalla chiusura nel proprio egoismo e sprigiona una potenza straordinaria di amore vero che ti fa vedere il dolore e la sofferenza di molti, aprendo alla fratellanza, alla solidarietà. Perciò mi aggiorno su Sanremo appena posso strappare qualche minuto di tempo al mio lavoro di Vescovo. Snobbare Sanremo è banale, specialmente oggi, perché in quei testi c’è poeticità e, dunque, profondità dell’umano che a noi predicatori serve per annunciare il Vangelo.
 
Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, a proposito dei testi delle canzoni presentate già ieri al festival ha dichiarato che quest’anno “c’è poca attenzione alla dimensione esteriore, sociale e generale. C’è piuttosto un’attenzione all’intimità e alla sostanziale insoddisfazione che fiorisce all’interno delle coscienze”.
 
Il Cardinale Ravasi è un grande esegeta di testi e un acuto osservatore. Quello che ha detto è vero. In alcuni testi – pensiamo ai Decibel con Lettera dal Duca- si propone un ritorno in se stessi, chiedendo di chiudere gli occhi, per superare i limiti, oltre ogni immaginazione, e vedere “l’infinito in me”. Si auspica come una specie d’immersione subacquea nell’anima silenziosa “che questo sole illumina” per guardare paesaggi di indescrivibile bellezza. Come “fuori dal tempo”, ma “qui nel mio cuore” (here in my heart), contempli città e montagne. Si dischiude una nuova frontiera (a new fronteer) e anche un nuovo gioco da giocare (another game to play) e “raggiungo un’altra dimensione”. Non ricordo chi disse, mi pare Proust, che “il viaggio di scoperta non è giungere geograficamente a nuove terre, ma solo nel cambiare lo sguardo sulla realtà”. E’ vero, d’altronde anche Gesù disse: “io creo cieli e terra nuove” e questa ri-creazione del mondo coincise con l’effusione dello Spirito santo, l’amore di Dio in persona che, con la fede cristiana, dona un nuovo sguardo sulla realtà, nuovi occhi per vedere l’invisibile. Da questo versante, interessa molto ciò che i Decibel affermano: “se chiudi gli occhi vedi l’infinito in te…ti accorgerai che un mondo spirituale c’è, fuoco dentro all’anima che tutto illumina”. Il problema che questa “attenzione all’intimità” non sia intimismo vacuo: porterebbe all’amore flaccido, l’amore romantico dell’incantamento che – come un fuoco di artificio- svanisce presto al vento, nel tempo che divora tutte le cose, anche i propri figli, come Kronos. Lo stesso Caccamo in Eterno insiste sull’amore eterno e lo fa con parole che inneggiano alla chiusura nell’intimità della coppia: “chiusi dentro di noi, io e te per sempre”. Così Noemi con Non smettere mai di cercarmi: “ci pensi mai a quello che è stato… i nostri sogni… dentro ogni cosa che vivi”. Lo stesso Mario Biondi in Rivederti: “resta forte impresso nel mio cuore ciò che era di noi”. D’altronde San Remo è sempre stato il festival della canzone d’amore.
 
Celentano nel 2012, ospite del Festival di Sanremo, attaccò proprio la Chiesa, “scomunicando” i preti sempre responsabili di non parlare più di Dio.
 
Una certa afasia sulle “cose di Dio” sicuramente esiste. Si parla poco del paradiso, forse perché non sappiamo come descriverlo e, in passato, lo abbiamo fatto male, parlando troppo d’inferno, col rischio di comunicare un cristianesimo della paura e non della gioia. Abbiamo rimosso il tema della “grande speranza”: vedere Dio faccia a faccia come “motore” per un impegno storico in un amore fattivo che coraggiosamente ha occhi per il dolore e la sofferenza dei fratelli e dona da mangiare all’affamato, da bere all’assetato e veste il nudo e accoglie il disperato. Abbiamo pensato che questo si potesse/dovesse fare anche “senza fede” o “senza la grazia di Dio”. Così, però, Dio diventa un’idea vaga d’infinito, un sentimento generico del tutto che avvolge il cosmo e alcuni, vedendo i cattolici rintanati nelle loro chiese, non credono nemmeno più in Dio. Penso a Gabbani che con Amen, a San Remo giovani di due anni fa, criticava i cattolici chiamandoli “astemi in coma etilico per l’infelicità, la messa è ormai finita figli andate in pace, cala il vento nessun dissenso e di nuovo tutto tace”. Un giudizio severo sull’alienazione religiosa dei cattolici che li apre al miracolismo visionario: “e allora avanti popolo che spera nel miracolo”. In Sanremo 2017 rivince con Occidentali’s Karma, ma qui se la prende con l’alienazione religiosa del Buddismo.
 
Le canzoni di Sanremo per avviare un forte e più intenso dialogo con i giovani. Secondo lei è una trovata pubblicitaria destinata a far scrivere fiumi di parole oppure un modo nuovo per stare accanto ai giovani e invitarli a un confronto sui fondamentali valori della vita.
 
La PopTheology per giovani s’impegna non tanto a parlare di Dio, ma dell’umanità bella e buona di Gesù che comunica e conduce al “suo” Dio, il Padre dell’eterno amore. Le canzoni di Sanremo – nella misura in cui portano a parola l’umano dell’uomo – possono essere uno strumento utilissimo per parlare dell’umanità di Dio in Gesù. La fede cristiana crede in Gesù come Figlio di Dio nella carne umana. Questo vuol dire tante cose: per esempio che l’uomo è capace di eterno, è infinito, ma anche che l’uomo è fatto per amare (perché Dio è amore) in quanto è “immagine e somiglianza di Dio” e dunque “ama secondo Dio”, nelle stesse modalità di Dio che ha mostrato Gesù, col suo cuore solidale, compassionevole, giusto e caritatevole. Se qualcosa di questo è portato ad espressione in Sanremo, allora può servire al predicatore per far capire in che senso l’umanità di Gesù può e deve interessare la vita del giovane, perché l’incontro con Lui salva e libera, dona nuovo gusto e sapore all’esistenza. La PopTheology non è per attirare i giovani. Non avrebbe senso. Chi vuoi che venga in Chiesa perché si “canterebbe” una canzone di Sanremo? E, invece, canticchiare versi poetici importanti delle canzonette conosciute dai giovani li mette in connessione e può aiutare la comunicazione del messaggio del Vangelo sui valori fondamentali della loro esistenza.
 
La scorsa edizione due brani su tutti richiamarono la sua attenzione: Lei parlò a lungo, anche durante le sue omelie, di Occidentali’s Karma e di Che sia benedetta. Quest’anno all’orizzonte c’è qualcosa di nuovo?
 
Secondo il metodo collaudato tutto dipenderà dalle canzoni che piaceranno ai ragazzi e ai giovani, da chi vincerà, dalle canzoni che saranno più seguite. Interessa che gli interlocutori conoscano il testo citabile, condividendone il senso immediato, con il quale la predicazione del Vangelo può interagire. Quando accade questo, allora l’ascolto non è passivo: c’è interattività sui problemi esposti, sui sentimenti comunicati, sulle emozioni provate e i concetti offerti. Così accade la comunicazione e l’approfondimento, in libertà. Certamente, la canzone di Caccamo che parla dell’amore che salva perché è “eterno” o “senza addio”, sarà importante. E vorrei sottolineare che ha delle risultanze sociali, considerata la “crisi sociale” dovuta alle famiglie frantumate, al crollo demografico e alle difficoltà dei figli di coppie divorziate e separate. E anche Stiamo tutti bene di Mirkoeilcane che stimola sentimenti di accoglienza e di solidarietà davanti al dramma degli immigranti che rischiano di morire nel nostro mare Mediterraneo.
 
La canzone sociale è di più facile presa?
 
Questo si, anche se bisogna sempre tener presente ciò che Giovanni Paolo II ha insegnato: tutti i problemi sociali corrispondono a questioni antropologiche. Dicendolo in termini più semplici: la corruzione che fa strage di tanti nella società (pensiamo al lavoro che manca e a tante forme di barbarie nelle tante ingiustizie sociali) rimanda all’avarizia e all’egoismo del cuore di tante persone che, per questa via, oscurano la bellezza umana originaria, creando mostri. Perciò, ad esempio, la canzone che istruisce sulla necessità di imparare ad amare e “a perdonarsi, giorno per giorno, senza sapere cosa mi aspetta”, cioè in modo anche unilaterale e senza condizioni, ha un significato sociale eccome. Nelle nostre società liquide e frastagliate, in cui tutti sono in competizione e concorrenti, pronti- come in una giungla- a sbranarsi pur dia vere successo, è ancora più grande di sempre il bisogno di riconciliazione, di perdono. “Imparare a perdonarsi” è come un comandamento che dovrebbe entrare nei discorsi dell’economia e della politica, come Benedetto XVI ha spiegato e anche papa Francesco sta predicando. James Taylor e Giorgia hanno cantato insieme una canzone che è “un inno al sentimento eterno dell’amicizia”. E se domandassi cos’è il bene comune che la politica deve servire? Chi si meraviglierebbe alla risposta vera: l’amicizia sociale.