Staglianò: “Un codice comune con i giovani”

Riportiamo qui di seguito un’intervista di Salvatore Fazio rilasciata dal nostro vescovo, Mons. Staglianò, al Giornale di Sicilia, sul rapporto tra musica e fede e che approfondisce il senso della Pop Theology.

«La Chiesa deve saper comunicare bene e non parlare in “ecclesialese”. Molte canzoni possono essere utili per farlo. Anche nelle prediche che vanno svecchiate». Lo spiega monsignor Antonio Staglianò, vescovo di Noto, che su questo ha fatto scuola cantando e suonando durante le celebrazioni brani di Mengoni, Ligabue, Zero e tanti altri: «Brani – sottolinea – che per musica e contenuto sono qualitativamente degni. Sono capaci cioè di comunicare valori veri».
 
Papa Francesco al convegno Internazionale di musica sacra organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura ha esortato a rendere più attuale la musica in chiesa per aumentare la partecipazione… Cosa ne pensa?
«La prospettiva del Papa è coerente con quello che ci ha detto nella Evangelii Gaudium, l’enciclica in cui la Chiesa Cattolica si impegna in una missione concreta rivolta alle periferie e si parla di una Chiesa in uscita. È evidente che l’uscire della Chiesa non è solo uno spostarsi geografico, ma è esistenziale verso le tante forme di povertà umana. È un uscire dagli schemi che attualmente ingessano l’iniziativa della Chiesa, bloccandola in qualche misura. In questa prospettiva dell’Evangelii Gaudium rientra pure la musica “sacra”. Bisogna uscire dallo schema del “sacro” e capire che il cristianesimo ha interpretato la sacralità della religione, come “santità” dell’umano. Per cui è veramente “sacro” ciò che interpreta l’umanità degli uomini e la rilancia sulle vie della giustizia vera, dell’onestà autentica, dell’amicizia e della fraternità solidale perché in questa umanità si rende gloria a Dio, si canta davvero un canto nuovo».
 
Il Papa parla di superficialità, banalità spesso nelle celebrazioni. Le nota anche lei?
«Il Papa si riferisce a certa banalizzazione musicale introdotta nelle celebrazioni liturgica. Come l’introduzione delle batterie, della chitarra, delle tastiere al posto dell’armonium. Questo ha effettivamente comportato questa banalizzazione come se la Chiesa si trasformasse in una piazza per concerti. Ma bisogna anche dire che la banalizzazione non sta negli strumenti utilizzati, quanto nella mancanza di qualità, di alcune musiche, sia per il motivo sia per i testi. Perciò occorre mantenere alto il livello e la serietà. Serve una buona qualità del contenuto comunicato e della musica. Occorre tenere presenti, come dice il Papa, le tendenze musicali più genuine dell’epoca contemporanea. Ci sarà un motivo perché il premio Nobel per la letterature viene dato a Bob Dylan… Bisogna non tanto seguire le tendenze della moda, ma occorre valorizzare le dimensioni della qualità, del musicale e del contenuto umano di alcune canzoni. Per esempio citando delle canzonette che per musica e contenuto sono qualitativamente degne. Sono capaci cioè di comunicare affetto, amore, amicizia vera, bisogno di lealtà. Valori perduti nella società dell’ipermercato. C’è anche un altro rischio da evitare».
 
Quale?
«Si può banalizzare anche il canto liturgico quando un coro che canta anche in modo perfetto la musica sacra si esibisce e non fa cantare il popolo. Se il popolo diventa spettatore si banalizza il canto liturgico».
 
Il Papa esorta ad una adeguata formazione musicale, anche in quanti si preparano a diventare sacerdoti. Secondo lei perché?
«Saper suonare uno strumento e avere una disciplina del musicale deve fare parte della formazione umana, cristiana e pastorale del futuro presbitero. Spesso ciò avviene. La passione musicale serve a dare ordine all’umano che c’è in noi. Oltre che a farci apprezzare la musica come linguaggio dell’animo. Ricordiamoci che pure Platone diceva che la musica è fondamentale per l’educazione dell’anima e dell’intelligenza».
 
Cosa si potrebbe fare inoltre per rendere più partecipata la liturgia?
«Si potrebbe dare un ampio spazio di tempo all’omelia in cui si usa la musica, il popolo partecipa, anche attraverso il canto… Occorre svecchiare la predica facendola entrare nella quotidianità dei fedeli… Deve essere interattiva. Non è solo una proposta del predicatore. È un evento coinvolgente per tutto il popolo di Dio. Servirebbe uno spazio comunitario dell’omelia per esempio intonando con i fedeli dei canti che aiutano a riflettere meglio e a comprendere il messaggio. Proprio su questo sto scrivendo il libro Come ti svecchio la predica con Rubbettino Editore».
 
Com’è il linguaggio usato dalla chiesa oggi?
«Parliamo troppo “ecclesialese”. E soprattutto i giovani non ci capiscono più. Per questo mi spingo, oso e intrepreto i testi delle canzonette di Sanremo… almeno quel linguaggio i giovani ce l’hanno… quei testi li conoscono».

 

Quali tra quelle dell’ultimo Festival?
«Utilizzerò per le omelie “Occidentali’s Karma” per esortare a contrastare l’alienazione. Il testo indica che l’uomo non è qualcosa di statico, ma si cresce nell’umanità. C’è un affondo critico al punto in cui l’Occidente è arrivato nell’alienazione complessiva. Gli uomini giocano incontri virtuali e regrediscono: “la scimmia nuda balla”, canta Gabbani citando Nietzsche. E adesso noi essere umani cadiamo da tutte le parti, perché “quando la vita si distrae, cadono gli uomini”. C’è poi il riferimento al web come “coca dei popoli, oppio dei poveri”, mutuando Marx. La canzone denuncia anche la virtualità dell’amore: “AAA cercasi umanità virtuale, sex appeal”. Che cosa si cerca: l’amore come dono o come piacere sessuale? Dobbiamo riscoprire la bellezza straordinaria come canta la Mannoia in “Che sia benedetta”. La vita è perfetta solo dentro il superamento delle imperfezioni di ciascuno, specie di quella “imperfezione perfetta” che impone di scoprire la propria identità solo nella relazione fiduciosamente aperta all’altro».