Staglianò un elogio al sud: “occorre trasformare la crisi in speranza”

ll Mezzogiorno può riscrivere un’altra grammatica della ricchezza e della povertà. La resistenza al degrado dell’umano ed al  narcisismo della competizione ha nel Sud la linfa necessaria per aiutare l’Italia e l’Europa a vincere le gravi sfide che hanno davanti.
Il nostro è tempo di crisi, ma anche di krisis, cioè di giudizio, di discernimento, di setaccio.In alcuni dialetti della Calabria il setaccio si chiama “crivu” ed è lo strumento usato per fare la cernita, per lasciar andare via la pula, conservando il grano buono: buttare il superfluo e custodire l’essenziale, appare sempre più un criterio di sapienza per realizzare condizioni di vita degne dell’uomo, delle comunità e dei popoli.
Nel tempo della crisi, alla krisis appare troppo evidente che la pace e la giustizia nel mondo non possono essere solo il frutto di strategie politiche facenti capo a organizzazioni istituzionali precise (che ovviamente sono da auspicare e realizzare), ma dipenderanno da una conversione di cultura e di mentalità, fondata su una conversione del cuore degli uomini agli ideali di fratellanza universale e di solidarietà globale.
Se il Mezzogiorno potrà/dovrà essere una grande risorsa per tutto il Paese, questo non dovrà/potrà accadere senza il contributo fondamentale della fede cattolica (ma anche di ogni altra religione che volesse verificarsi sulla sua capacità di servire l’umano dell’uomo  a partire dall’attivazione di processi di solidarietà e comunanza). La fede cristiana e cattolica, infatti, hanno al centro del suo messaggio la rivelazione di una singolare paternità di Dio, quale promessa e speranza di una ritrovata fratellanza umana. Su questo criterio bisognerà verificare – in particolare in questo Anno della fede che Benedetto XVI inaugurerà l’11 Ottobre 2012, a 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e a 20 della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica -, tutte le nostre tradizioni religiose, le nostre feste, le nostre celebrazioni rituali: aiutano i credenti a diventare più umani, cioè solidali e fratelli tra loro?
Occorre trasformare la crisi in speranza: passare dalla krisis al kairos, al tempo opportuno per risorgere, al tempo propizio per ridare alla bontà dell’uomo la parola decisiva. Il kairos dischiude la speranza dello sviluppo sostenibile e umano, della convivenza solidale, ma anche il senso dell’attesa di un futuro migliore. Il kairos dice anche che il tempo non è semplicemente kronos o cronometro: non è superficialmente un fluire di minuti nell’orologio della vita. Il tempo è cura, inter-esse per l’altro, la cui dignità di esistenza è riconoscibile come valore, “sacro”, cioè non dissacrabile, da accogliere sempre e mai rendere “oggetto” manipolabile. Il kairos afferma che l’uomo è sempre “qualcuno” e mai “qualcosa” e che questo impone l’esaltazione della sua dimensione più profonda, quella personale, per la quale e nella quale l’uomo è relazione amativa con altri, tra gli altri, per gli altri. Il passaggio dalla krisis al kairos punta sulla ricostruzione della relazione umana, per rifondarla sull’amore e non sul dominio o sulla sopraffazione. In questo passaggio la questione di Dio appare non solo importante, ma dirimente, perché in “questione” c’è la sua presenza, la sua vita nella storia in quanto vita di un Altro che libera, salva, che vuole l’umanità dell’uomo e la ama, la pensa e l’aiuta ad affermarsi in tutta libertà. Il Dio è “Dio per gli uomini” è “Dio per la vita dell’uomo”: occorre mostrarlo, è necessario poterlo raccontare, non solo per pensarne l’esistenza, ma soprattutto per percepirla reale, vicina: Dio veramente cammina con l’uomo e, insieme all’uomo, percorre i suoi (dell’uomo) sentieri. Perciò, si può essere ragionevolmente convinti che la religiosità del Mezzogiorno e della Calabria costituisce uno spazio di esperienza umana che “salva” e “libera” gli uomini e le donne dalle tentazioni individualistiche del narcisismo competitivo e guerrafondaio, per il quale l’altro è un lupo per me e “se non me lo mangio io, lui mangerà me”. Anche da qui il Mezzogiorno è risorsa per tutto il Paese. Certo, è necessario però rovesciare l’ottica del giudizio e del discernimento sulla realtà, la prospettiva con cui guardiamo le cose e indaghiamo sui processi umani, sapendo valutare dove si trova il degrado e dove invece si trovano le energie per resistervi.
Sono convinto che l’attivazione di processi di “resistenza al degrado dell’umano” può trovare nel Sud energie ancora non consumate e risorse inestinguibili, sempre a disposizione di chi ha intelligenza per individuarle, rielaborarle e renderle feconde. Condivido questa affermazione di F. Cassano: «il sud, con la sua lentezza, con i tempi e spazi che fanno resistenza alla legge dell’accelerazione universale può diventare una risorsa e quindi il collegamento tra i Sud sottrae il pensiero ai luoghi dove oggi esso ama assidersi e star comodo, alla forza di gravità del conformismo moderno» (Il pensiero meridiano, Laterza, Bari 1996, p. 5).
Rovesciare l’ottica per la quale le patologie del Sud nascerebbero da un deficit di modernità, potrebbe risvegliare la consapevolezza che proprio le insufficienze e le imperfezioni del Sud rispetto ai processi di modernizzazione costituiscano una chance per tutelare la modernità dalla spirale senza ritorno nella quale sembra avviluppare il mondo intero: il feticismo dello sviluppo, il nichilismo disperante della secolarizzazione infinita. E’ legittimo – in questa angolatura, convertita rispetto agli schemi intellettuali dominanti – interrogare il Sud d’Italia sul proprio deposito valoriale, etico-religioso. Assunto come territorio umano, identificabile e apprezzabile in una unità culturale ovviamente non omologata, ma creativamente plurale nel suo percorso storico, il Meridione d’Italia può contribuire a riscrivere “un’altra grammatica della povertà e della ricchezza” e aiutare l’orientamento della globalizzazione verso realizzazioni adeguate all’essere di ogni uomo, perché appariranno come mete più solidali, più comunitarie, più giuste e più pacificanti. Certo più lente. L’elogio della lentezza sembra essere un tratto caratteristico di un pensiero del Sud. La velocità distrae dall’umano, l’accelerazione nevrotizza, rende insensibili, impedisce di accorgersi dei veri problemi della vita, consuma il superficiale, rendendo tutto ingranaggio per continuare la corsa, senza soste, senza freni, sempre in avanti. La visione della realtà costruita dai processi di modernizzazione è quella di un “mondo in fuga” che ridisegna e cambia prepotentemente la vita di ogni giorno e le mentalità delle persone: alla fine però essa realizza, paradossalmente una “fuga dal mondo”, un modo di evadere dalla realtà vera, dalla crudezza e dalla serietà dell’impatto con la vita quotidiana, non più capace di nominare le “cose dell’umano esistere”.
Il pensiero meridiano ha un’altra concezione del progresso e dello sviluppo: coglie la velocità come un regresso e un impedimento e orienta a un “pensare a piedi”, più idoneo a prestare attenzione, maggiormente disponibile ad accorgersi dell’altro, della natura, della bellezza, sicuramente aperto a riflettere sulle ragioni di tutti, sviluppando dinamiche di ascolto, di reciprocità, di riconoscimento dei valori degli altri. Aspetti importanti della cultura meridionale, oggi particolarmente decisivi, per quella nuova centralità assunta del Meridione d’Italia: non più marginale periferia del mondo, ma nel cuore del Mediterraneo che è divenuto centro di ogni movimento verso il Sud, il Nord, l’Est e l’Ovest. Dai recenti eventi del mondo il Sud è stato ricollocato in un punto di incrocio. Da qui può svolgere le sue funzioni di mediazione, avvalendosi dell’adagio classico di una delle sue originarie culture: in medium stat virtus. Per questo compito storico, deve aver gusto per i confini che non possono essere aboliti globalmente. Tuttavia colti da un’altra prospettiva, i confini non separano, bensì uniscono, sono “ponti”.

Mi piace concludere con alcuni versi di una poesia che scrissi tanti anni fa sul Sud:

Risuscita
Risorgi
Sud di tutti i mondi
inonda quei terreni
rendili fecondi
il cuore ancora palpita
resiste in te Idealità
è un sogno aurorale
l’antica Identità