Una Pasqua mancata, una Pentecoste necessaria

Ci pesano sulla coscienza i recenti centocinquanta morti nel Mar Mediterraneo: vite in cerca di libertà e di giustizia che non possiamo relegare nell’emozione di un momento. Ci vuole almeno un ricordo e, poiché “ri-cordo” vuole dire portare al cuore, dobbiamo ricordarli dilatando il nostro cuore. Ad ogni sbarco abbiamo fatto quel poco che abbiamo potuto e e nell’ordinario parrocchie e centri di ascolto moltiplicano gli sforzi per dare un aiuto malgrado la sproporzione tra mezzi e bisogni. Ma pensiamo che dobbiamo tutti fare di più. Dobbiamo offrire nell’immediato le possibilità che ci sono (a iniziare da quelle che ci sono come, per i richiedenti asilo, i Centri Sprar) e dobbiamo avere particolare cura dei minori e delle donne che portano un carico maggiore di sofferenza e di violenze. Dobbiamo però anche organizzare meglio nel coinvolgere e coinvolgerci di più, in un circolare collegamento tra livelli istituzionali, protezione civile, volontariato, città, chiesa. Dobbiamo pensare a qualcosa di costante e capace di affrontare la complessità di un processo storico che è stato già annunciato negli anni cinquanta del Novecento e che ora si sta realizzando nella forma di un esodo inarrestabile. La Caritas dopo aver offerto al territorio con il “Coordinamento nazionale” esperienze e materiali di riflessione di grande spessore, nel Convegno regionale delle Caritas di Sicilia continua a chiedere il coraggio necessario per ripensare insieme un incontro tra Sud e Nord del mondo che può tutti farci crescere in umanità. Ogni volta che un immigrato è salvato si ripete la Pasqua; ogni volta che un immigrato muore siamo all’antipasqua. Ora si avvicina Pentecoste: è la Pasqua che si dilata perché molti si lasciano immergere nella morte e resurrezione di Cristo. Immersione che per i cristiani dovrà essere concreta e che anche laicamente si può pensare come capacità di ridirci la radice del nostro essere uomini che è nella relazione. Entro la relazione ci sono pure contenimento e correzione, ma ci sono anzitutto riconoscimento, accoglienza, accompagnamento. E quindi concretezza, pazienza, perseveranza. Siamo sicuri che, se si vuole, si troveranno modi per concrentrare e coordinare sforzi e avviare cammini di convivialità e giustizia. Evitiamo di esternare facili emozioni, ma assicuriamo – in sintonia con il forte appello del Vescovo nell’omelia al pellegrinaggio della diocesi al Santuario della Madonna della Scala – che non ci daremo pace finché la pace non avrà il nome di “opere” e “parole” di accoglienza.