Carissimi fratelli e sorelle
a tutti voi giunge il mio affettuoso saluto. Al Signor Sindaco, Dott. Corrado Figura, al Vice Prefetto, alle Autorità civili e militari, alla Dott.ssa Amelia D’Angelo, Dirigente della Polizia di Stato locale che ha concluso il suo mandato a Noto, ai portatori di San Corrado e dei Cilii, alle Dame e ai Cavalieri del Santo Sepolcro, ai pellegrini di Pachino e Rosolini che, camminando nel cuore della notte, hanno raggiunto in preghiera l’Arca di San Corrado, ai fedelissimi devoti del nostro Santo Patrono provenienti da ogni parte della Diocesi o che ci seguono via social, a tutti voi il mio personale benvenuto!
Ai carissimi e amati confratelli sacerdoti e diaconi che mi collaborano nel ministero per il bene spirituale dell’intera Diocesi, al Vicario Generale, Mons. Ignazio Petriglieri, al parroco della Cattedrale Don Maurizio Novello, al vicario foraneo Don Angelo Busà e ai parroci delle comunità parrocchiali di Noto la mia stima e il mio affetto, a Don Stefano Modica, a Don Giuseppe Canonico, a Padre Jan e ai miei amati seminaristi: grazie! Il nostro Seminario Vescovile diventi sempre più scrigno di santità sacerdotale ed esempio per i giovani che hanno deciso di seguire il Signore da vicino. Ai religiosi e religiose, lampade di profetica e radiosa luce, alla Corale della Cattedrale per la premurosa e attenta animazione della liturgia, all’Associazione Nazionale Carabinieri, ai nostri fratelli ammalati, preziosi compagni di viaggio: grazie a tutti per la vostra affettuosa presenza.
«Il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria
e dalla casa di tuo padre,
verso il paese che io ti indicherò.
Farò di te un grande popolo
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e diventerai una benedizione» (Gn 12, 1-2).
Lasciare la propria patria per diventare popolo e benedizione. La vicenda del Patriarca Abramo si apre con la chiamata da parte di Dio che gli chiede di abbandonare tutti i suoi punti di vitale riferimento: terra, famiglia, clan. Dio chiede ad Abramo di avviarsi verso un paese ignoto. Al Patriarca non resta altro che mettersi in cammino lasciandosi guidare da Dio.
«Farò di te un grande popolo
e ti benedirò, renderò grande il tuo nome
e diventerai una benedizione» (Gn 12,2).
Abramo parte perché crede senza esitare. Lascia tutto quello che possiede, quello che egli è, quello che lo identifica nel suo intimo. Invitato a lasciare il suo piccolo mondo, si incammina verso qualcosa di grande, di impensabile e inimmaginabile.
In questi tempi così difficili, fragili, di grave precarietà, chiediamoci se la nostra fede è simile a quella di Abramo: ci fidiamo totalmente di Dio o ci fermiamo dinanzi alle prove della vita non riconoscendo la Sua Onnipotenza? Forse abbiamo anteposto i nostri ai Suoi pensieri?
L’Apostolo Paolo, nella Seconda lettura, ci ricorda che mentre prima, tutto per lui era un forte guadagno in termini di legge, di osservanza, ora, tutto questo è una perdita a motivo di Cristo.
Carissimi fratelli e sorelle, l’Apostolo delle Genti consegna ancora oggi la pienezza del cristianesimo posta nella conoscenza del Signore Gesù. Non una conoscenza teorico-intellettuale, ma conoscenza intima, amicale, vera, sponsale e filiale.
È così triste vedere come molti cristiani riducano il cristianesimo all’osservanza di qualche comandamento. Il cristianesimo è qualcos’altro! Non è l’osservanza della legge per la legge: è un incontro di salvezza, è questione di puro amore!
La pagina del Vangelo di oggi vede sulla scena della vita Pietro e Gesù, l’umile pescatore di Galilea e Gesù, il figlio del falegname. Il discepolo si lascia sfuggire un dubbio legittimo: qual è il vantaggio dell’essere seguaci del Signore?
Oggi il Vangelo ci mette dinanzi la domanda di Pietro. «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
«Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» rispose Gesù a Pietro.
Gesù ci consegna uno stile nuovo di presenza nel mondo: fratelli lasciate che il Vangelo entri veramente nella vostra vita, in tutto ciò che vi riguarda, fidatevi e affidatevi a Lui e avrete «cento volte tanto»: il centuplo è Dio stesso. Avrete Dio nel cuore!
Il Vangelo, per chi lo accoglie, allora, è vita che aumenta, è vita che si moltiplica a dismisura. Ecco la scoperta che hanno fatto i discepoli seguendo Gesù: trovare Dio.
Così si presenta la divina avventura di San Corrado. Quando proclama la santità dei suoi figli, la Chiesa li presenta come modelli di vita cristiana, per la fedeltà con cui hanno vissuto il messaggio di Cristo e per l’esemplarità con cui hanno risposto alla loro vocazione.
E oggi siamo qui a onorare e venerare il nostro Patrono San Corrado. A tutti i fedeli, San Corrado è presentato come un credente convertito che ha testimoniato una fede schietta e incrollabile nel Signore Gesù e, al tempo stesso, si è fatto pellegrino sulle vie dell’umanità immersa in mille fragilità. San Corrado offre l’esempio di una dedizione, senza riserve, al servizio dell’uomo mendico e sofferente!
I Santi ci sono ancora, sono sempre vivi e attuali, non vanno mai in soffitta, perché rappresentano un affasciante commento vivo del Vangelo. La loro vita è l’illustrazione della Buona Notizia che Gesù ha donato all’umanità: Dio è nostro Padre e sta vicino ai suoi figli.
E oggi, mi rivolgo a lui, nostro amato patrono perché vegli costantemente sulla nostra città.
Carissimo fratello San Corrado, il mio non vuole essere un dire ardimentoso e sfrontato ma oggi, come Padre e Pastore di questa Chiesa, voglio rivolgermi a Te con filiale venerazione e devozione.
Il tono confidenziale non è mancanza di rispetto ma familiarmente rivela il mio e l’amore di questa Chiesa verso te che dalla beatitudine del Paradiso tutti proteggi.
Anche tu sei partito, come Abramo, da un paese lontano e il Signore ha voluto che ti fermassi in questa meravigliosa terra, dove la natura è un libro di vita rivolto verso il Cielo e le nostre Città, testimonianza di vera bellezza nata dalla fede audace e dalla fantasia estrosa dei nostri Padri.
Animato da vera conversione, sei arrivato in una regione dove il lieto messaggio, duemila anni fa, per l’intraprendenza dei primi discepoli del Signore, intagliava volti di santità e di feriale vita cristiana.
Nei secoli passati, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici hanno ascoltato, predicato, vissuto, celebrato e testimoniato l’amore per il Signore. La Chiesa netina ha tracciato vie di straordinaria bellezza e santità. Sono stati diversi i testimoni che, seguendo il tuo esempio, hanno formato le coscienze di tanti uomini e donne che, incarnando le Parole di Cristo, si sono adoperati nella missione dell’edificazione delle comunità cristiane.
Il 15 maggio 1844, centottantanni fa, per volere della Divina Bontà, la nostra Chiesa fu eretta come Sede Vescovile da Papa Gregorio XVI con la bolla Gravissimum sane munus.
«Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (Sl 126,1).
Dopo l’immane tragedia del 1693 i nostri padri, abbandonando l’antica città orgogliosamente posta sul monte Alveria, riuscirono con arguzia, ingegnosità e grande spirito di resilienza a ricostruire la loro nuova città riconosciuta nel mondo intero come «giardino di pietra».
E oggi siamo dentro la nostra amata Cattedrale, carissimo fratello San Corrado, ricostruita dopo l’ennesima tragedia, quella del 13 marzo 1996, immane ferita al cuore del popolo netino e della Nazione intera.
Noto, oggi, fondamentalmente viene visitata per contemplare la Cattedrale risorta dalle macerie. E in questa occasione, mentre festeggiamo il nostro 180mo, voglio ricordare tutti coloro che si sono spesi per la sua rinascita: vescovi, sacerdoti, presidenza della Repubblica, governo italiano, autorità locali, ingegneri, tecnici e maestranze che hanno lavorato con passione e non senza difficoltà di qualsiasi genere e natura.
Ma nel cuore e nella memoria del popolo netino rimane impresso per sempre il giorno in cui, era il 26 luglio 1996, l’Arca contenente le tue spoglie, estratta dalle macerie della Cattedrale, trionfalmente alle 19:11 – come ricorda in un articolo il nostro Francesco Balsamo – scendendo da via Montoro, venne portata ai piedi della nostra scalinata, «in mezzo al tuo popolo» come ebbe a dire il compianto Mons. Salvatore Nicolosi, mio venerato predecessore.
«Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (Sl 126,1).
Carissimo fratello San Corrado, oggi più che mai chiediamo supplici la tua protezione su Noto e sull’intera Diocesi.
La storia racconta della bontà e della passione del popolo netino, dell’amore verso le tradizioni e l’attaccamento ai fasti di un tempo che non è più. Dal giorno dell’elezione a Vescovo di Noto, la mia personale biblioteca si è arricchita di volumi, studi e saggi sulle città della nostra Diocesi, e in modo particolare, su Noto «città ingegnosa che mai fu conquistata». Preziose testimonianze di laici e sacerdoti, diversi presenti ora in questa celebrazione, cultori della fede e dell’amore patrio.
Il tempo presente racconta di sofferenze e inadempienze, di rallentamenti e gravi omissioni, di logiche, progetti e poteri forti che hanno trasformato Noto e dintorni in terra di conquista. Altro che «numquam vi capta!».
Noto non ha più voce, la fama per la sua manifesta bellezza si va sostituendo con il progetto di una città dove tutto è possibile, dove le politiche agrarie sono in libera caduta e i casolari e le masserie della nostra fertile e invidiata campagna diventano location per il turismo di nicchia e, purtroppo, non solo. A Noto non conviene ammalarsi perché le politiche sanitarie regionali stanno trasformando il nostro ospedale nell’ennesimo gigante addormentato da svendere, per l’occasione, al milionario di turno. E noi, non possiamo rimanere inermi, con le mani in mano!
A Noto non esistono regole e la cultura, quella vera, stenta a decollare viaggiando su binari morti. Ciò che fu culturalmente costruito dalla genialità e operosità di molti oggi perde la sua forza originaria! Chi vuole creare laboratori, contenitori di speranza e spazi di riflessione per la crescita culturale stenta a trovare nei singoli o nelle associazioni, validi alleati con cui intraprendere percorsi di maturazione intellettuale. Non condividiamo l’idea che l’unica agorà sia quella virtuale dove, senza cognizione di causa, tutti si assurgono a paladini o detentori della verità.
La coscienza critica viene messa a tacere dalla mediocrità imperante e il progetto dei mecenati del profitto sta trasformando la città in una sorta di slot machine dove la morale dice che, anche con la complicità del dio denaro e di qualche affarista di turno, tutto è lecito e possibile: ma non è così perché, come affermava Martin Luther King «la libertà propria finisce dove inizia quella degli altri».
Alle comunità cristiane, alle istituzioni civili, alle famiglie, alla scuola, ai cittadini che, nonostante tutto, continuano ad amare Noto, tu caro San Corrado ricordi la necessità di alzarsi, di camminare, di progettare in tempi brevi, percorsi di vera umanità dove le relazioni dicono rispetto, accoglienza, amore disinteressato, dialogo e ospitalità gratuita.
La celebrazione del 180°, carissimo San Corrado, spinga soprattutto le nostre comunità cristiane ad un profondo, serio e vero esame di coscienza che porti tutti a riscoprire la centralità della persona e la freschezza del Vangelo, a leggere i nostri continui fallimenti educativi non come la fine di un processo incapace di formare le coscienze ma un nuovo inizio che, sinodalmente, veda il coinvolgimento di tutte le agenzie educative.
Insegnaci, o santo Patrono, che la nostra Chiesa deve essere capace di incidere concretamente sulla realtà sociale. Le comunità si diranno veramente cristiane solo se disposte a servire il Regno di Dio con le parole dell’annuncio ma soprattutto con la stessa comunione che anima la vita di coloro che sono impegnati a scrivere pagine di vero cristianesimo e di sana storia civile.
La sfida urgente riguarda la costruzione di nuovi modelli educativi che dicano vera umanità e misericordia perdonante favorendo la nascita della civiltà dell’amore e del rispetto.
Ti preghiamo, o nostro amato San Corrado: non distogliere lo sguardo paterno su ciascuno di noi e perdona il mio ardire.
A voi carissimi fratelli e sorelle ricordo che la Chiesa è segno e strumento del Regno di Dio che viene nella storia, che esiste solo per comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio. Se non svolge questa funzione, ogni Sua iniziativa per il bene della collettività, finirà per ostacolare e tradire la missione affidata da Cristo agli Apostoli e ai loro Successori.
Sentiamo il bisogno di metterci in ascolto di Cristo Maestro e di lasciarci plasmare, con umiltà e vera obbedienza, dalla potenza della Sua Parola. La nostra missione è legata fondamentalmente alla predicazione cristiana. Con il cuore colmo di gioia, dobbiamo trovare il coraggio di partire con il Vangelo in mano, di lasciare le nostre sicurezze e vivere la stagione della missione.
La gioia è la condizione principale di ogni stagione missionaria e viene donata solamente attraverso l’incontro con Gesù Cristo, il Signore annunciato dalla testimonianza di vite trasformate dalla Sua forza. In Lui possiamo sperimentare la presenza liberatrice e salvifica di Dio che dà a ciascun uomo la possibilità di ricominciare nuovamente dopo essere caduto nella morsa del peccato. Egli è pienezza di vita.
L’esempio di San Corrado illumini le menti delle donne e degli uomini del nostro tempo, ravvivando la fede, animando la speranza e accendendo la carità, affinché ciascuno si senta attratto dalla bellezza di Dio e nessuno si smarrisca nelle nebbie del non senso e della disperazione.
La «terra netina» che ospitò San Corrado, pellegrino di Dio, non disdegni di ritornare ad essere pagina vivente di vera umanità e santità. La bellezza delle nostre città sia immagine visibile di quel Dio che è Bontà infinita ed Eterno Splendore. Noto, noi qui presenti, ti amiamo!
Sia lodato Gesù Cristo! Viva San Corrado!