«LA FORZA DELLE MANI»

Omelia in occasione del II Anniversario dell’Ordinazione episcopale Basilica Cattedrale
18-03-2025

Ho stretto le mani del Successore di Pietro, Papa Francesco, che ricordiamo nella nostra giornaliera preghiera, e ricevendo la Sua Santa Benedizione ho avvertito, indegnamente, nel mio cuore il fremito e il passaggio dello Spirito di Dio, fiamma viva d’amore. Con l’animo trepidante, stando dinanzi al Successore dell’umile Pescatore di Galilea, colui che conferma tutti nella fede, ho ascoltato la voce del Consolatore che mi invia ancora, come Successore degli Apostoli, a prendere il largo e annunciare il Vangelo della Misericordia. Senza sosta alcuna e senza timore. Con coraggio e parresia evangelica.

Credo che, nella forza della parola profetica di Isaia, si sveli la potenza del volere di Dio e confesso, come Vescovo della Chiesa netina, di tenere fisso lo sguardo su Cristo Gesù Buon Samaritano, e con Lui, solo con Lui, «fasciare le piaghe dei cuori spezzati e vivere l’anno di grazia del Signore».

Consacrandomi con la Santa Unzione, il Signore mi ha chiamato ad essere consolazione per chi giace nell’afflizione, corona di gaudio per chi vuole liberare l’anima dalla caducità della cenere, olio di letizia e veste di lode per chi ha lo spirito intriso di dolorosa mestizia.

Ho stretto le mani dei nostri sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose. Scorgo sempre nei vostri occhi, negli occhi di ciascuno di voi, la vita, la passione, gli slanci e la fantasia pastorale, la trepidazione e la ricchezza spirituale del ministero che vi avvolge di santità. Nella fatica pastorale, la presenza del Popolo di Dio, che vi è stato affidato dal Signore, sia balsamo di prossimità e ristoro di fraternità autentica. Alla preghiera dei nostri sacerdoti ammalati, uniti spiritualmente alla celebrazione odierna, affido il cammino di fede della nostra amata Chiesa.

Ho stretto le mani dei nostri carissimi seminaristi. Nei loro sogni contempliamo il futuro delle comunità; nelle loro preghiere, intravedo la forza giovane di una Chiesa che, nonostante i limiti e le soste, rinasce nella speranza e nell’amore. Grazie ai sacerdoti formatori che ogni giorno si spendono per la loro crescita. E un grazie particolare va a quelli che, nelle parrocchie, con costanza e fedeltà pregano per il Seminario, per le vocazioni e per la santificazione dei sacerdoti.

Ho stretto le mani di chi soffre nel corpo e nello spirito. Le sorelle e i fratelli infermi sono il vero tesoro della comunità cristiana. Il mondo oggi è sorretto dalla loro forza, tenacia, offerta e immolazione sull’altare della croce dolorosa, a volte incomprensibile e inaccettabile.

Ho stretto le mani di chi è avvolto da mille inquietudini, lacerazioni interiori e ferite del cuore. Fino a poche ore fa, nella Casa di Reclusione della città di Noto, le mani di Pietro, Michele, Francesco, Salvatore (nomi inventati) mi hanno trasmesso le tragedie che custodiscono nel cuore e la sofferenza provata per la lontananza dagli affetti familiari.

Ho stretto le mani dei nostri bambini, ragazzi e giovani. Ringrazio il Signore per la loro presenza nella vita delle comunità. Stringo le mani di Francesco, giovane netino sedicenne, che l’altra notte ha perso la vita a causa di un incidente stradale. La città di Noto piange un altro figlio andato via prematuramente. Il Signore lo accolga nella sua dimora e ai familiari, particolarmente alla mamma, doni la pace del cuore.

Come Chiesa dobbiamo spenderci lavorando con passione per la serena crescita delle nuove generazioni. I nostri spazi siano luoghi di vera fraternità, laboratori di creatività fantasiosa, spazi aperti, accoglienti e inclusivi dove i ragazzi possano sperimentare e sentire il calore e le premure di tutta la comunità educativa. Devono sentirsi amati e accolti così come sono. «Basta che voi siate giovani perché io vi ami assai» diceva Don Bosco. La posta in gioco è alta: la loro vita. Carissimi con i ragazzi non si scherza, si fa sul serio. In caso contrario saranno loro a voltarci le spalle.

Ho stretto le mani a molti fedeli laici impegnati ad amministrare e a dare un volto dignitoso ai comuni della Diocesi: per il bene della collettività si superi ogni difficoltà, ogni screzio e attrito camminando insieme per dare un futuro stabile e certo al nostro popolo.

Ho stretto le mani della meravigliosa Chiesa di Noto che sono chiamato ad amare, guidare, servire e portare sempre nel cuore. Fino alla fine. A tutti, in modo particolare alle famiglie e agli operatori pastorali, volontari della Caritas, catechisti, educatori e insegnanti di religione, dico il mio «grazie» per il dono della vostra presenza e impegno feriale a servizio della crescita dei più piccoli.

Dinanzi allo sposo della Chiesa che è Cristo, dichiaro ancora e sempre la mia disponibilità a «farmi tutto a tutti» affinché insieme si possa incontrare Colui che può veramente rinnovare nella gioia, la vita di ciascuno: Gesù, il Risorto.

Ho stretto le mani dei miei familiari, dei miei parenti e degli amici di sempre. La vita della nostra casa e della nostra amicizia fraterna la custodisco scolpita nel cuore come canto di vita bella e gioiosa. È il Signore, ora, mi chiama a vivere altre pagine di grazia e fraternità.

Da tutte queste mani, soprattutto da quelle più umili e sofferenti, ho ricevuto solo benedizione, amore, amicizia sincera, protezione e cordialità. La mano tesa è icona di comunione, una stretta di mano è già accordo per la condivisione di un progetto comune: il bene di tutti. Di questo ringrazio il Signore.

«La carità di Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14) ad andare verso tutti, ad incarnare la cura pastorale intesa come servizio d’amore puro, incondizionato e totale. Nel mio servizio episcopale, sento la responsabilità di accompagnare tutti alla comprensione di cosa lo Spirito chieda alla nostra Chiesa.

«Genesi d’amore. Ritorniamo al Vangelo di Gerusalemme». La Lettera Pastorale di questo anno di grazia 2025 ci ha ricordato che la Chiesa si impegna a portare sempre e solo la potenza inaudita della Parola di Dio, lasciandosi guidare dalla carità dello Spirito verso «la verità tutta intera» (Gv 16, 13) e facendo di tutto per non sostituirla o annacquarla con altre verità.

Carissimi fratelli e sorelle torniamo ad una Chiesa che sappia, con sapienza e prudenza, leggere i segni dei tempi, sappia andare controcorrente, senza tradimenti della croce di Cristo o compromessi di comodo. […] La Chiesa saprà coltivare la sua missione se porrà di nuovo al centro dei suoi criteri di valutazione, delle sue parole e delle sue scelte, la comunione e la misericordia, se annuncerà la benevolenza di Dio divenendo immagine visibile e concreta di tenerezza, offrendo strutture pastorali e relazioni segnate dalla vicinanza e dal perdono, dalla riconciliazione e dal continuo cambiamento» (LP, 14-15).

In questo tempo giubilare, e a pochi mesi dalla chiusura del 180mo di fondazione della nostra Diocesi e del Sinodo della Chiesa italiana, torniamo a scorgere il volto di un’assemblea orante e viandante: esempio e modello di vita evangelica che ancora oggi, nel tempo della fragilità, diventi capaci di generare percorsi di vita cristiana, pronta a incrociare tutti e, così, testimoniare e condividere la bellezza dell’incontro con Cristo.

Come ricordavo il 27 settembre 2024 a conclusione del Convegno di inizio anno pastorale qui in Cattedrale: «la Chiesa del post-sinodo e del post-giubileo o sarà specchio fedele della Chiesa delle origini pronta al martirio in nome di Cristo o la si potrà paragonare ad una ONG di lusso che compie meritoria azione sociale sul territorio e non solo».

«Duc in altum…Chiesa di Noto». Prendere il largo per la pesca, significa, lasciarsi «trasfigurare» dal Signore in una Chiesa orante!

La via della trasfigurazione è via di bellezza che rivela l’unità profonda tra la Terra e il Cielo, come avvenne duemila anni fa nel Cenacolo di Gerusalemme. Pur con i nostri limiti, questa via santa ci rende capaci di vedere oltre i confini delle cose cogliendo l’unità profonda di tutto e facendoci testimoni di Gesù. E sulla via della bellezza, la nostra Chiesa ha molto da vivere, annunciare e mostrare.

Non possiamo non pensare a percorsi di vera preghiera che educhino le nuove generazioni al gusto dell’orazione, alla comprensione e al significato più elevato della preghiera. Adorazione, lectio divina personale e comunitaria devono sostenere i passi del cuore di coloro che sono alla ricerca della propria vocazione.

La preghiera è cammino di prossimità, misericordia, tenerezza e santità. Le nostre liturgie siano consolazione per chi è provato e ferito dalla vita e siano capaci di dare ragioni per sperare.

La liturgia che ci attende sarà a immagine del Cristo che proclama: «Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e io vi darò riposo» (Mt 11, 28). Solo così la liturgia della Chiesa sarà all’altezza del Vangelo di Cristo.

«Duc in altum…Chiesa di Noto». Prendere il largo per la pesca, significa, «abitare» in una Chiesa accogliente!

 Abitare è mistero di conoscenza, cura e trasformazione della realtà che ci circonda: è mettersi in sintonia con se stessi e con gli altri. La Chiesa deve abitare la città degli uomini con l’intento di annunciare Gesù Cristo ricevuto e accolto e, così, permettere di essere «sale della terra e luce del mondo» (Mt 5, 13.14).

Sono i cambiamenti del tempo presente ad imporre una domanda: riusciamo a conservare l’orizzonte e la freschezza di una Chiesa di popolo che investe sulla formazione e promuove l’impegno del laicato come presenza profetica? Dobbiamo abitare la città sapendo ritrovare il coraggio di una parola che dica testimonianza di vita fatta di concretezza, trasparenza e cultura della legalità.

Prima di mettere mano, quanto prima, agli Orientamenti Pastorali Diocesani, chiediamoci se siamo in grado di aprire le porte e le finestre dei nostri Cenacoli per accogliere il dono dello Spirito che tutto trasforma e rinnova per una nuova stagione missionaria!

Abitare, significa, incarnare lo spirito del servizio e dell’amore nella vita di ogni giorno. Il cammino missionario ha messo la Chiesa sulle strade della vita e ha spinto ad andare alle periferie esistenziali, quelle abitate dagli ultimi, gli scartati dalla società, ponendoli al centro delle nostre scelte pastorali.

Abitiamo le frontiere dove l’umano è messo alla prova. Questo permette di sperimentare la potenza umanizzante e liberante del Vangelo di Gesù che restituisce dignità, voglia di vivere, speranza ai piccoli e ai poveri che lo accolgono.

«Duc in altum…Chiesa di Noto». Prendere il largo per la pesca, significa, «educare» in una Chiesa credente!

 Educare è il cuore della vita ecclesiale, costituisce l’animo più profondo, l’arte e la sfida più difficile! A che cosa e in che modo vogliamo educarci ed educare per realizzare la nostra piena umanità?

L’educazione non prescinde mai dalla relazione. La fiducia, oggi più che mai, si rivela come il luogo essenziale in cui accade l’educazione alla fede. Educare costruendo relazioni significative, trasmettendo significati, formando coscienze e lasciandosi interpellare da Gesù: questo dovrebbe essere il cammino della nostra attività catechistica a favore delle nuove generazioni.

Scrive Papa Francesco: «abbiamo bisogno oggi più che mai di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spicca la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito» (EG 171).

I temi al centro della condivisione dei nostri tavoli sinodali – anima dei prossimi Orientamenti Pastorali Diocesani – sono stati accomunati da un’unica preoccupazione: accogliere il dono della fede che viene da Dio ed educare i bambini, i ragazzi, i giovani e gli adulti, realizzando cammini formativi adeguati alle loro domande profonde e alle nuove istanze culturali.

«Duc in altum…Chiesa di Noto». Prendere il largo per la pesca, significa, «uscire» per una Chiesa testimone!

 Sappiamo bene che l’invito ad uscire non è solo questione di movimento fisico. Siamo invitati ad abbandonare tutti i luoghi delle nostre anguste prigionie, tutto ciò che ci incatena in usi e tradizioni preziose del passato ed oggi superate. Non siamo nati come Chiesa per quelle abitudini né per quegli usi. Li abbiamo abbracciati perché un tempo servivano la causa di Gesù, ma non esiste una motivazione teologica per abbarbicarci ad essi se oggi non servono che alla nostra gloria passata.

Siamo invitati ad uscire da coscienze infantili, puerili, insicure, incapaci di dialogo, ferme a situazioni di stallo che chiudono un «inviato del Signore» in un ruolo di custode di mura sacre o di cianfrusaglie pseudo-teologiche.

Uscire, implica, audacia della profezia, apertura e spirito esodale: senza l’apertura al confronto non c’è spazio per la fraternità condivisa; questo è l’aspetto fondativo che deve accompagnare il cammino di tutti.

Per uscire e andare verso qualcuno abbiamo innanzitutto bisogno di uscire da noi stessi e dalle nostre corte vedute. Dobbiamo percorrere tutte le strade, cercare e condividere concretamente la vita di quanti sono afflitti nel corpo e nello spirito, consapevoli che spesso il dolore allontana dalla fede, sfigura e disumanizza.

La «Chiesa in uscita» è immagine del Dio pellegrino sulle strade del mondo. Per la Chiesa, dunque, uscire è in primo luogo la risposta ad un invito avvolgente e coinvolgente che proviene da Dio stesso e ci giunge in Gesù Cristo nello Spirito Santo. Uscire verso gli altri comporta l’esodo dal proprio mondo, definisce il volto della Chiesa misericordiosa attenta ad un discernimento ecclesiale orientato ad incontrare e accompagnare.

 

Come ci ricorda spesso Papa Francesco con il suo magistero e la sua personale testimonianza, una Chiesa ripiegata su se stessa, è una Chiesa asfittica, destinata a morire. Il mondo avverte la necessità di contemplare una Chiesa che esce per farsi compagna di viaggio dell’umanità intera. Già nell’omelia inaugurale e programmatica del 19 marzo 2013 Papa Francesco aveva messo in chiaro che nella Chiesa necessita grande coraggio unito però ad altrettanta «tenerezza che non è la virtù del debole, ma denota forza d’animo». (Francesco, 19 marzo 2013).

 «Duc in altum…Chiesa di Noto». Prendere il largo per la pesca, significa, «annunciare» in una Chiesa mistero!

 Evangelizzare non è una scelta nostra, è una vocazione: è il «primum» della Chiesa. È l’identità e la missione della Chiesa che consiste nel comunicare la Parola in una società in cui sono in atto profonde trasformazioni sociali, politiche, economiche e tecnologiche.

Se davvero la gioia della Buona Notizia ci ha trasformati interiormente non possiamo custodirla per noi. Il cristianesimo prima ancora di essere un compendio di leggi e di dottrine è un’esperienza che si traduce in relazione umana e spirituale. È un incontro con il Cristo!

Annunciamo, allora, con il coraggio di una proposta liberante: si costruisce un nuovo umanesimo attraverso il kerygma che si trasmette con la santità di vita dell’evangelizzatore.

Come è attuale quel passaggio di San Paolo VI quando affermava: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri lo fa perché sono anche testimoni credibili e coerenti della Parola che annunciano e vivono» (EN 41). Dire la fede è rinarrare il Vangelo nella cultura di oggi, all’interno delle domande di senso e dei bisogni di salvezza di chi ascolta liberamente.

«La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare» (EG 174); anche chi già vive la fede ha bisogno di ricevere l’annuncio. Da questo rinnovato annuncio parte l’azione missionaria. A tutti e a ciascuno deve giungere il lieto annuncio che la Chiesa include e non esclude, che accoglie chiunque desideri godere della bellezza di Gesù e delle sue tenerezze (cfr. Pr 5, 19).

Il nuovo umanesimo, che sgorga dall’incontro con Cristo salva l’uomo nella sua interezza, è un umanesimo incarnato e trascendente che arriva a toccare il corpo e l’anima. In un contesto pluriculturale e plurireligioso l’unica parola credibile, accettabile e comprensibile da tutti è la «testimonianza della carità che viene dal Cuore di Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo».

«Camminare» con una Chiesa misericordiosa

 Cinque vie ma un unico grande approdo, condotti per mano da chi «si è fatto Strada» per la liberazione e la redenzione di tutti. È l’Amore Misericordioso che genera la Chiesa e che ci porta a camminare insieme. portando nel cuore la legge del Cenacolo di Gerusalemme.

«Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza» (Francesco, 27 luglio 2013).

Chi non sa aprirsi alla bellezza, in ogni sua forma, chi non sa stupirsi per le meraviglie che ci circondano, chi non sa cogliere negli occhi di un bambino lo splendore dell’intero universo, chi ha smesso di amare e non riesce a far sobbalzare il cuore di semplice gioia, non sarà mai capace di accogliere e vivere di misericordia. Quando è autentica, la misericordia non si presenta mai come un «dovere» o come un «avere», ma sempre come «stupore di essere», «forza dell’umile amore», «forza di amare». Dobbiamo saper leggere i segni, se vogliamo vivere da cristiani nel mondo.

Questa è la strada che Papa Francesco indica alla Chiesa e a noi tutti per affrontare il nostro tempo! Innanzitutto una «via rivoluzionaria», una via che vada controcorrente. Antica e sempre nuova: la via dell’amore e della misericordia.

L’amore è sempre rivoluzionario perché rompe i confini, perché non accetta il «si è sempre fatto così» (EG 33), perché inventa modi sempre nuovi per rispondere a quello di cui c’è bisogno. È una via generativa quella che ci propone Papa Francesco. Generare dice della nostra miracolosa capacità di rimettere al mondo le persone che incontriamo, tutte le persone: amandole, riconoscendole e favorendo le condizioni per una vita dignitosa. Chi non ama non può annunciare e chi non riesce a perdonare può praticare solo altre vie. Il cristianesimo è perdono!

Siamo esseri aperti a relazioni e capaci di viverle fino in fondo. Siamo uomini e donne che nascono al mondo, in grado di ricominciare da capo, di convertirci e di trasfigurarci. L’Incarnazione ci dice qualcosa di ancora più importante per la nostra vita. Ci mostra come essere felici. Sempre e ovunque!

Felicità è saper vivere pienamente la propria incarnazione. Il che significa sapersi esporre al mondo e a tutto ciò che di bello potrà venire da esso, in modo costruttivo, sereno e fiducioso. Amando ciò che l’altro mi può donare e amandolo per questo suo dono. Promuovendo sempre e comunque relazioni buone, come ha fatto Gesù. Sicuri che, se anche la nostra carne conoscerà la morte, non sarà la morte ad avere l’ultima parola.

Impegniamoci a vivere intensamente la nuova stagione ecclesiale, tempo in cui il Vangelo torni al centro delle nostre preoccupazioni pastorali e della vita delle nostre comunità. Il Vangelo è tutto. Il Vangelo è Cristo. Torniamo a Lui.

«Misericordia eius in aeternum». Chiesa di Noto diventa «casa di Misericordia». Chi incontra e rimane con il Signore impara e accoglie come dono l’esercizio profondo dell’amore: avverte, in primo luogo, la necessità del perdono e della riconciliazione ed è chiamato ad essere nel mondo un testimone gioioso della Misericordia di Dio.

Con grande coraggio e spirito di vero rinnovamento sinodale dobbiamo tornare a rileggere con sapienza e senso critico il magistero sociale e culturale dei miei illustri predecessori, uomini illuminati che hanno amato e governato la Chiesa netina con abnegazione, umiltà e intelligenza pastorale cogliendo le sfide e le urgenze del loro tempo.

Oggi, dinanzi a tutti voi, affido nuovamente il mio Ministero episcopale a Colui che tutto muove e sostiene con la Sua Provvidenza, riempiendo di significazione il pellegrinaggio di ogni anima, perché sia segno visibile, sulla nostra terra, della Sua premura e della Sua materna Misericordia, àncora di salvezza per tutti, per chi professa la fede in Gesù Cristo e per coloro che credono di non meritare il Suo Sguardo amorevole e il Suo perdono.

Come primo segno giubilare la nostra Chiesa ha voluto la Mensa dell’incontro “Don Giovanni Botterelli” alla Fiducia di Pozzallo, simbolo di comunione, speranza e fraternità. È mio desiderio, inoltre, che nel Palazzo Vescovile di Noto vengano ricavati degli spazi – già individuati – da destinare alla Caritas Diocesana per l’accoglienza diurna e notturna dei senza fissa dimora o di chi sta attraversando disagi o solitudine.  Nella casa dove vive il Vescovo è bene che ci sia un segno tangibile di prossimità evangelica. E’ bene che i bisognosi trovino riposo e ristoro! Altri segni sorgeranno in questi mesi. A partire dai locali dell’Annunziata di Noto che saranno gestiti dalla Caritas di Vicariato.

Tutti siamo chiamati ad essere santi: piccoli e grandi. È il cammino del discepolo del Signore. Dopo la chiusura dell’Inchiesta diocesana per la Causa di Beatificazione del Servo di Dio Nino Baglieri, alla cui intercessione affidiamo i nostri giovani, vogliamo inoltrare, agli uffici competenti diocesani, regionali e alle Congregazioni vaticane, il nulla osta per iniziare la fase diocesana per la Beatificazione della carissima Sarah Calvano, giovane avolese, ritornata alla Casa del Padre, a soli 19 anni, il 3 agosto 1992, Festa di Maria SS. Scala del Paradiso, Patrona della nostra Diocesi. Sarah aveva frequentato con brillanti risultati il Liceo classico e si era poi iscritta alla facoltà di matematica presso l’Università degli studi di Catania dove poté frequentare le lezioni soltanto per i primi due mesi a causa di una grave malattia. Della sua intensa esperienza di adolescente, dotata di una straordinaria interiorità e di una fede esemplare, ha lasciato un carissimo ricordo in tanti amici e parenti. Alla mamma di Sarah, signora Nella Ballatore e al fratello Sebastiano, qui presenti, l’abbraccio della Chiesa netina. Ci assista dal Cielo, in questo cammino, il papà Santo Calvano che, fin dall’inizio ha creduto nella semplicità della fede della figlia Sarah.

Come i discepoli riuniti con Maria nel Cenacolo di Gerusalemme, spinti dalla forza dello Spirito, usciamo per dire Dio a tutti, per dire che il Vangelo è libertà, amore e semplicità.

Alla Vergine Maria, Scala del Paradiso, Donna del silenzio e Madre del Buon Pastore, stringo umilmente e filialmente le mani come segno di obbedienza, affidamento e richiesta di intercessione perché fioriscano germogli di santità nel bel Giardino della Chiesa di Noto. Annunciamo con la vita che «la misericordia di Dio è eterna». Pregate per me. Sia lodato Gesù Cristo.