Cari fratelli e sorelle, carissimi ragazzi
celebriamo oggi la Domenica delle Palme, giorno che apre i cuori alla preghiera, al silenzio e al sacrificio: sarà il tempo della Passione e Morte del Signore che si conclude con la Pasqua di Risurrezione. La celebrazione si è aperta nella gioia di una festa, nella memoria di un incontro del Signore con la città di Gerusalemme.
Egli, giunto al termine del lungo viaggio iniziato in Galilea, entra in Gerusalemme accompagnato dai discepoli e da una folla festante. Gesù, solo lui, sa che è giunta la sua ora, quella di passare da questo mondo al Padre. L’ora di Cana si fa presente nella vita di Gesù. «Donna non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Questa adesso è l’ora di Cristo.
Nell’accompagnare Gesù nel cammino verso la Città Santa, nello stare vicino a Lui nel momento della Passione chiediamoci cosa significhi per noi «incontrare il Signore».
Tutta la città è «agitata» da questo arrivo e si domanda: «Chi è costui?». E la folla proclama che Gesù è il profeta venuto da Nazareth di Galilea. E i canti della festa poco dopo si trasformano in grida di condanna e di dolore: la folla dal gridare «Osanna» passa a urlare «Crocifiggilo», non riconosce più in Gesù il profeta, ma un traditore.
Dalle note e dalle urla di gioia si passa alla sofferenza più atroce. Lo aveva detto qualche giorno prima: non è possibile che un profeta muoia fuori da Gerusalemme, e piangendo sulla città disse: «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le sue ali e voi non avete voluto, ecco la vostra casa è abbandonata a voi» (Mt 23,37).
Oggi, Gerusalemme, la casa abbandonata e devastata, è il cuore dell’uomo, è il mondo intero colpito da guerre che aggiungono dolori su dolori, con milioni di profughi, dentro e fuori, popoli in attesa di tornare nelle loro case in un futuro che diventa sempre più lontano. Gerusalemme sono i paesi ancora lacerati dai conflitti, sono i luoghi dove è cresciuta la povertà, la miseria e l’abbandono.
È in questa Gerusalemme del mondo che oggi il Signore entra, ma entra come un re mite, umile, seduto su un puledro d’asina, per sconfiggere il male e instaurare il suo regno di amore. Noi, come discepoli qui e nel mondo, lo accompagniamo benedicendo la sua venuta. Abbiamo iniziato così la santa liturgia di questa oggi: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace nel cielo e gloria nel più alto dei cieli».
Lo abbiamo fatto agitando i rami di ulivo e i seguaci del Signore nel mondo lo fanno stendendo i mantelli della misericordia e della compassione, per sollevare i colpiti dalla guerra, i profughi, i malati, piccoli e grandi.
La liturgia di questo giorno ci fa passare subito dal vangelo dell’ingresso a quello della passione, come a legare insieme sin da subito questi due momenti importanti dell’ultima settimana di Gesù.
In pochi giorni tutto è cambiato, anche i discepoli. Dalla gloria alla polvere, dalle tenebre alla luce. È bastato davvero poco per loro, perché lasciassero il Signore da solo.
Sappiamo quanto le divisioni e i silenzi tra i cristiani siano amari, colpevoli e persino complici. C’è poi la folla, in pochi giorni è passata dall’«osanna» dell’ingresso al «crocifiggilo» del venerdì.
Gesù è l’unico che rimane saldo. Entra in Gerusalemme con amore, con un amore mite per sconfiggere il male e la sua forza distruttiva. E continua così, con la sua mitezza, sin sulla croce, mostrando il suo volto pieno di misericordia.
In un mondo lacerato dalla forza bruta della guerra, dall’orrore di omicidi e femminicidi, da disgrazie che continuano a seminare morte, pensando così di salvare se stessi e la propria causa, l’unico con il volto mite, disarmato, privo di ogni violenza, è Gesù, il Signore. Egli continua ad amare gli altri più di se stesso. È questo l’amore che salva, l’amore di cui tutti abbiamo bisogno e, oggi soprattutto, tutti ne abbiamo bisogno, dal più piccolo al più grande.
La Comunità ci raccoglie e ci conduce accanto al Signore, perché a nostra volta possiamo accogliere nei nostri cuori almeno una goccia di quel suo amore. Lasciamoci attrarre ancor più per legarci al suo disegno di salvezza. In questi giorni la contemplazione del Suo Volto ci spingerà ad amare ancor più i colpiti, gli ultimi, a farci prossimi dei poveri e dei deboli e a stare accanto a tutti per crescere nell’amore.
Care sorelle e cari fratelli, teniamo fissi i nostri occhi su Gesù, cresceremo nell’amore e nell’unità tra tutti noi, in un cuor solo e un’anima sola. Secondo la legge del Signore. E da Lui riceveremo la forza per attraversare l’assurdità di questo tempo, aiutando a togliere i pesi che schiacciano e a scorgere così i segni della resurrezione di un mondo nuovo, più fraterno e più solidale.
Sia lodato Gesù Cristo!