«NEL CENACOLO l’OLIO SANTO DELLA DELLA VITA»

Omelia della Santa Messa del Crisma - Basilica Cattedrale San Nicolò
17-04-2025

«Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato;
la mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza». È l’ora, carissimi fratelli e sorelle, dell’olio che consacra la nostra vita, olio che infiamma il cuore dei figli amati, olio che ci fa casa di Dio il quale ci fortifica con la sua mano e il suo braccio potente, olio che ci trasforma in letizia per la vita dei fratelli, olio che profuma di santità.

Carissimo confratello Mons. Giorgio Demetrio Gallaro, vescovo emerito di Piana degli Albanesi e figlio di questa amata chiesa netina, confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi e fedeli laici tutti, carissimi ammalati, siamo radunati nel Cenacolo della nostra Chiesa Cattedrale per celebrare la viva memoria della nostra consacrazione battesimale che ci rende cristiani e per contemplare l’altissimo mistero del Sacerdozio ministeriale.

Carissimi sacerdoti siamo stati unti per annunciare il Suo Vangelo, celebrare i santi misteri e vivere la carità senza confini: questi i doni che Cristo trasmette a chi crede in Lui e ha detto il personale «sì» come discepolo fedele.

Mi rivolgo a voi presenti qui in cattedrale e ai nostri confratelli anziani e confratelli ammalati che celebrano il mistero della salvezza portando ogni giorno la Croce del Signore divenendo altare, vittima e sacerdote.

Grazie, dunque, per il vostro ministero a servizio della Parola; arda in voi il desiderio di amarLa, conoscerLa sempre più profondamente e di saperLa ridire con parole che siano in grado di incrociare le domande espresse e nascoste del nostro popolo; in questo tempo sinodale guardiamo con fiducia al futuro certi che, nella ricchezza della Parola di Dio, troviamo un sicuro orientamento per le nuove sfide che incombono sulle nostre comunità nei giorni a venire.

Grazie per il vostro ministero di pontefici tra l’umanità e il suo Fattore, voi che siete generosi annunciatori della grazia che viene dall’alto; in un mondo che segue altre strade, sentite come particolare vostro impegno profetico quello di risvegliare, nella nostra gente, il bisogno dell’invocazione per le cose sante; alimentate sempre in voi la speranza, perché nessun ostacolo vi porti nello sconforto o nell’inerzia: abbiamo la certezza che il Risorto fa nuove tutte le cose.

Servire, amare e custodire la Chiesa significa, anzitutto, impegno ad accogliere il primato di Dio. Solo restando uniti a Lui, sia la nostra identità sacerdotale che il nostro servizio nella Chiesa potranno trovare verità ed efficacia. Non manchi mai nella nostra vita quotidiana lo sguardo verso Cristo, il dialogo con Lui e il lasciarci da Lui guidare e sostenere.

Grazie per come, nel vostro ministero, animate le comunità a voi affidate. Siamo ministri della Chiesa e il nostro servizio è sempre per la venuta del Regno di Dio tra noi, nei segni di bene che aiutiamo a far sbocciare e nel contributo che siamo in grado di offrire per la crescita della vita sacramentale nella storia personale di ciascun membro del popolo di Dio.

Più volte ho richiamato ad uno stile di vera comunione tra i sacerdoti che non è appiattita uniformità, ma un intrecciarsi di relazioni nella diversità delle esperienze. La comunione presbiterale è la forma più alta di vera evangelizzazione. Nella Chiesa di Cristo senza comunione con il Vescovo e con il popolo di Dio non si va da nessuna parte. Senza comunione ci allontaniamo dal Vangelo.

«Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto». (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 43)

La spiritualità del Cenacolo di Gerusalemme ci insegna che il presbitero è testimone e dispensatore di un annuncio colmo di speranza, è chiamato ad immergersi nella storia per prendere su di sé le gioie, i dolori e le speranze dell’uomo. I presbiteri e i diaconi che sono nel mondo e lo abitano, pertanto, devono vivere con la speranza di risvegliare le coscienze attraversate e tormentate da un profondo senso di smarrimento, di vuoto e di fragilità, vivere con l’ansia per la conversione dei peccatori, vivere con il desiderio di sostenere i poveri e i sofferenti e avere la gioia nel cuore per poter esultare con chi è nel giubilo.

Il mondo oggi da noi attende una parola di speranza, di vicinanza, di consolazione, di prossimità perchè ha sete di vera felicità. Il popolo di Dio desidera incontrare il Signore della vita, vuole incontrare Dio. Pertanto come presbiteri e diaconi sentiamo il bisogno di «rimanere nel Cenacolo», di stare ai piedi del Maestro, di metterci in ascolto di Cristo Signore e lasciarci plasmare, con umiltà e vera obbedienza, dalla potenza della Sua Parola.

Soltanto nella preghiera, che è stare con Dio nel Cenacolo della propria anima, si impara la scienza dell’amore che spinge, seguendo l’esempio del Buon Pastore, a dare la vita per i fratelli.

Soltanto chi prega nella solitudine del cuore, proprio per aver sperimentato in se stesso la misericordia di Dio, può annunciare lo «scandalo» che oggi porta in se il messaggio evangelico della misericordia: lo «scandalo» della logica disarmante di Dio!

Attraverso la preghiera si scopre la carità che viene da Dio e che a Lui ritorna con l’amore ai fratelli. Da questa carità discendente di Dio, nasce la dimensione missionaria della Chiesa: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35); «Siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).

Occorre, infine, «uscire dal Cenacolo» e partire con volontà decisa: spalanchiamo le porte per accogliere il Volto dell’Amato, per ascoltare la Sua voce e il Suo silenzio.

Il ministro ordinato sarà riconosciuto, prima che per ogni altro aspetto, come il «buon samaritano», l’uomo della misericordia che, nel dialogo tra la debolezza degli uomini e la pazienza amorevole di Dio, accompagna e aiuta ad accogliere la «buona notizia» della grande speranza cristiana. Chi si lascerà avvolgere dalla Misericordia di Dio, oltre a non sentirsi solo e abbandonato a se stesso, scoprirà il senso di un’esistenza piena, illuminata dalla fede e dall’amore del Dio vivente.

La Chiesa di Cristo crede nei sacerdoti che coltivano il coraggio di dialogare con le tante ferite della vita dell’uomo, che sono in grado di scardinare le logiche di questo mondo, facendo della trasparenza uno stile feriale e della carità una via d’amore.

Il cardinale Joseph Ratzinger rivolgendosi a catechisti e a docenti di religione, in un convegno celebratosi a Roma dal 10 al 12 dicembre 2000 affermava:

«La vita umana non si realizza da sé. La nostra vita è una questione aperta, un progetto incompleto ancora da chiudere e da realizzare. La domanda fondamentale di ogni uomo è: come si realizza questo diventare uomo? Come si impara l’arte di vivere? Quale è la strada alla felicità? Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada, insegnare l’arte di vivere. Gesù dice all’inizio della sua vita pubblica: Sono venuto per evangelizzare i poveri (Lc 4, 18); questo vuol dire: Io ho la risposta alla vostra domanda fondamentale; io vi mostro la strada della vita, la strada alla felicità – anzi: io sono questa strada. La povertà più profonda è l’incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria. Questa povertà è oggi molto diffusa, in forme ben diverse sia nelle società materialmente ricche sia anche nei paesi poveri. L’incapacità di gioia suppone e produce l’incapacità di amare, produce l’invidia, l’avarizia e tutti vizi che devastano la vita dei singoli e il mondo. Perciò abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione: se l’arte di vivere rimane sconosciuta, tutto il resto non funziona più. Ma questa arte non è oggetto della scienza: questa arte la può comunicare solo chi ha la vita, colui che è il Vangelo in persona».

Alla luce di queste parole possiamo comprendere la saggia decisione presa dai Vescovi italiani e dai laici impegnati nei comitati diocesani, di rimandare la chiusura del Sinodo al prossimo autunno (ottobre 2025). La riforma della Chiesa ha motivazioni serie perché fondata su dati biblici e teologici. Riforma è conversione non di pochi ma di tutti. Non si torna indietro. La radice di ogni cambiamento è nell’identità e nella forza dinamica dello Spirito di Dio che consacra, risana, profuma e rinnova.

Il santo olio che a momenti sarà portato all’altare per essere benedetto e consacrato, sarà «offerto al Salvatore del mondo»

«Simbolo vigoroso di vita contro gli assalti del demonio, l’unzione del crisma rinnovi gli uomini tutti e la loro dignità ferita ritorni all’antico splendore…Tu che sei nato dal cuore del Padre, e sei disceso nel grembo della Vergine, strappa alla morte e rivesti di luce
chi riceve l’unzione del crisma». (Antifona per la presentazione degli oli).

Il teologo Nicola Cabasilas scriveva: «È già grande misericordia che il Cristo combatta con noi: egli tuttavia non solo ci porge la mano in soccorso, ma ci dona se stesso; non solo si versa per noi come unguento odoroso, ma trasforma noi stessi in unguento e ci fa diventare profumo. Nulla, così, viene lasciato di intermedio fra il Cristo e l’uomo; creato in ordine a Lui, in Lui l’uomo consegue il proprio essere e la propria felicità, e in lui totalmente si trasforma: è a questo fine che tende tutta l’opera della salvezza».

In questo anno giubilare la Chiesa sarà chiamata a curare le ferite dell’umanità, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia o che uccide: apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli privati della dignità e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità.

Il tempo del sacerdote è tempo di Dio e, quindi, tempo per l’uomo. Così scriveva Papa Francesco nel 2016: «Con l’olio della speranza e della consolazione, il sacerdote si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza. Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza».

La testimonianza va al di sopra di tutto perché è manifestazione autentica di vita evangelica. «Sa che l’Amore è tutto. Non cerca assicurazioni terrene o titoli onorifici, che portano a confidare nell’uomo; nel ministero per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono affidate. Il suo stile di vita semplice ed essenziale, sempre disponibile, lo presenta credibile agli occhi della gente e lo avvicina agli umili, in una carità pastorale che fa liberi e solidali. Servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione. È un uomo di pace e di riconciliazione, un segno e uno strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi». (Francesco, 16 maggio 2016).

Carissimi confratelli sacerdoti e diaconi, lasciamoci afferrare e inebriare dallo Spirito di Dio, coltiviamo il gusto di una vita semplice, decorosa e vera. Spendiamoci senza riserve per la santità del nostro popolo e la nostra.

La santità è l’ideale del cristiano. Non è dunque un lusso o una meta

facoltativa, non è un privilegio per alcuni predestinati, ma è l’intrinseca esigenza della vita cristiana. La santità consiste nell’unione con Dio, che si realizza mediante l’amore. Dio è la santità! «Tu solo il santo», ripete la Chiesa nella liturgia, indicando con queste parole semplici la trascendente ed infinita perfezione di Dio. Con Dio che è amore l’uomo è chiamato ad entrare in comunione, a formare una cosa sola. La meta dell’unione con Dio diventa non solo possibile, ma addirittura doverosa, poiché l’uomo non può rimanere estraneo al piano di Dio. La santità è l’unica vocazione del cristiano e tutte le vocazioni non sono che vie diverse per raggiungere attraverso Cristo il traguardo dell’unione eterna con Dio.

La santità è Dio in noi e la nostra vita in Lui! Dio Amore in noi, affinché la nostra vita sia Amore in Lui. Ecco perché Caritas est vinculum perfectionis! E questo “vincolo di perfezione” annoda amicizie e genera legami che stringono e spingono a mettersi insieme… in cammino verso la santità.

Per cui la santità è luogo teologico e luogo significa testimonianza e affermazione. La teologia, il mistero di Dio, la fede, non si spiegano attraverso la ragione, ma attraverso la testimonianza viva, la Parola del Signore, la tradizione della Chiesa e i santi che sono un luogo teologico ed una testimonianza viva della Chiesa.

«Amiamo la nostra gente, il Signore, i poveri e il nostro Sacerdozio. Il resto non conta nulla» così amava ripetere sempre ai suoi sacerdoti l’indimenticabile Don Tonino Bello. Trasfigurati dalla Parola del Signore procediamo insieme, sulle vie dei nostri paesi, per presentare a tutti la bellezza del Sacerdozio, la gioia di spendersi senza riserve, di essere «sale e luce» nelle aride crepe delle ferite umane. Amiamo il nostro Seminario e i ragazzi che sono in cammino verso l’altare di Dio. Non vergogniamoci del nostro sacerdozio ma a tutti diciamo la gioia e la bellezza di appartenere solo a Lui.

Sia lodato Gesù Cristo!