«UN TRAMONTO CARICO DI SPERANZA»

Omelia della Santa Messa «Nella Cena del Signore» - Basilica Cattedrale San Nicolò
17-04-2025

Giorno santo in cui celebriamo il passaggio tra la Prima e la Nuova Alleanza, tra la figura dell’Antico e la realtà del Nuovo Testamento. La storia di Israele in Egitto illumina l’evento supremo della morte di Cristo, che egli anticipa proprio nell’ultima sua cena con i discepoli.

Israele, che nella schiavitù in Egitto ha perso la propria identità e il legame con il Signore, è immagine della condizione dell’umanità che mette continuamente in pericolo la propria identità e relazione con Dio.

A liberare dal male è un vero sacrificio. In Egitto, per Israele, è il sacrificio di un agnello, figura di un altro agnello, l’Agnello di Dio, Gesù, che verrà anch’Egli sacrificato.

La Redenzione passa attraverso il dono di sé, dal dono totale e oblativo del Figlio e non, come vorrebbe la logica del mondo, con una presa di possesso, una trasformazione mediante la violenza.

Gesù dona sé stesso, dona la Sua vita e ci consegna il suo esempio come un mandato. Lo fa nella cena con i discepoli prima della Passione, anticipando il significato della sua Croce nei segni del pane e del vino, che quella sera diventano il Suo Corpo e il Suo Sangue, in cui si consegna ai discepoli perché facciano questo come memoriale di lui nei secoli a venire: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11, 24.25). Questa è la celebrazione della nostra salvezza. L’offerta di sé: mistero d’amore di Gesù e programma di vita per chi partecipa alla sua mensa.

Il sangue dell’agnello, posto sullo stipite delle case degli Ebrei li libera dalla morte che incombe sull’Egitto, e un futuro di libertà si apre per loro, che si mettono in cammino nutriti da un cibo condiviso nella comunione familiare, una comunione aperta all’accoglienza del prossimo.

Un mistero di vita, di liberazione e di fraternità vissero gli ebrei nella notte della Pasqua in Egitto e continuarono a celebrare «di generazione in generazione… come rito perenne» (Es 12,14). Un mistero di vita, di liberazione e di fraternità Gesù celebra nella sua Pasqua.

È, questo, un mistero di perenne attualità e di speciale valore in questo nostro tempo, in cui la vita è minacciata in varie forme. La crisi dell’umano assume molti volti nel nostro tempo: la distruzione dei rapporti fraterni fino alla guerra che insanguina tante parti del mondo; il disprezzo della dignità della persona fino a toccare le condizioni più fragili dell’inizio e della fine della vita; l’illusione di poter governare l’identità umana fino a manipolarla geneticamente nella fluidità dei generi e perfino negarla nel voler dare forma a un mondo trans-umano.

Un tempo, il nostro, in cui incombono pericolose forme di oppressione e di sfruttamento che limitano la libertà di persone e di popoli, le violazioni alla dignità della donna, fino alla violenza omicida; bambini vittime di violenze e abusi; anziani e malati lasciati nella solitudine di fronte alla sofferenza.

E non sono migliori gli scenari sul fronte della fraternità offesa dagli egoismi eretti a sistema nell’ottica della società degli affari e dei consumi, in cui si coltiva la cultura dello scarto; fraternità lesa e offesa dal venir meno della coscienza dei propri doveri verso gli altri, nelle forme di ingiustizie e corruzioni o nella sottovalutazione delle proprie responsabilità; la scelta della guerra come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli con la devastazione di vite di innocenti.

Il Vangelo di Giovanni – come abbiamo ascoltato – narra che prima di morire e risorgere per noi, Gesù amò i discepoli «sino alla fine» (Gv 13,1) e compie un gesto che si è scolpito nella memoria dei discepoli: la lavanda dei piedi. Questa è la logica di Dio: non dell’offesa ma del perdono, non della morte ma della vita, non del peccato ma della grazia.

Un gesto inatteso e sconvolgente, al punto che Pietro non voleva accettarlo. Vorrei soffermarmi sulle parole finali di Gesù: «Capite quello che ho fatto per voi? […] Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13, 12.14). In questo modo Gesù indica ai suoi discepoli il servizio come la via da percorrere per vivere la fede in Lui e dare testimonianza del suo amore. Gesù stesso ha applicato a sé l’immagine del “Servo di Dio” utilizzata dal profeta Isaia. Lui, che è il Signore, si fa servo!

Ci ricorda Papa Francesco che: «lavando i piedi agli apostoli Gesù ha voluto rivelare il modo di agire di Dio nei nostri confronti, e dare l’esempio del suo “comandamento nuovo” (Gv 13, 34) di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato, cioè dando la vita per noi. Lo stesso Giovanni lo scrive nella sua Prima Lettera: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli […] Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1 Gv 3, 16.18)» (Francesco, 12 marzo 2016).

L’amore è il servizio concreto che rendiamo gli uni agli altri: un servizio umile, fatto nel silenzio e nel nascondimento, come Gesù stesso ha detto: «non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (Mt 6, 3). Esso comporta mettere a disposizione i doni che lo Spirito Santo ci ha elargito, perché la comunità possa crescere (cfr. 1Cor 12, 4-11).

Un gesto, quello di Gesù, impegnativo, perché il livello di impegno è dato da Lui stesso: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). E questo è possibile solo se ci lasciamo lavare da Gesù: solo il suo perdono, la sua misericordia, ci rende capaci di essere misericordiosi, servitori degli altri.

C’è qualcosa di più che una lezione di umiltà in questo gesto del Maestro. È come un anticipo, come simbolo della Passione, della umiliazione totale che soffrirà per salvare tutti gli uomini.
Il teologo Romano Guardini dice che «l’atteggiamento del piccolo che si inchina davanti al grande, tuttavia non è umiltà. È semplicemente verità. Il grande che si umilia davanti al piccolo è il vero umile».

Per questo, Gesù Cristo è autenticamente umile. Davanti a questo Cristo umile i nostri schemi si rompono. Gesù inverte i valori puramente umani e ci invita a seguirlo per costruire un mondo nuovo partendo dal servizio.

Il rito che celebriamo e che rinnoviamo ogni volta che partecipiamo all’Eucarestia e ci nutriamo di essa implica una novità di vita che impegna. Il rito deve diventare vita. È quello che chiediamo stasera per noi, per la Chiesa e per il mondo in questo grande Cenacolo d’amore.

Sia lodato Gesù Cristo!