1. Pop Theology e Sanremo 2019. La ricerca di parole nuove per raccontare l’amore

 La pop-Theology del vescovo di Noto si lascia interpellare dalle canzoni di Sanremo, “studiate” come luogo antropologico, cioè come mondi di significati umani che attraverso il racconto di una canzone hanno la pretesa di comunicare i nuovi valori della vita per il futuro dei giovani. Qui la pop-theology si esercita come vera “teologia popolare”, cioè come una riflessione critica e non negligente che intende cogliere – alla luce della fede cristiana e dell’ispirazione personalista che ne consegue- aspetti positivi o problematici delle proposte che i giovani ascoltano, stimolando un esercizio critico della ragione, soprattutto toccando anzitutto l’immaginazione che è sempre soggiacente a ogni proposta di pensiero, anche a quel pensiero che pretende chiedere di “non pensare”, come fa Arisa nella sua canzone Mi sento bene.

 

L’etica  minimalista di Arisa piace ai giovani, ma è un elogio alla frivolezza

Arisa, con Mi sento bene, ha sicuramente preteso di innovare il suo repertorio. Per non annoiare con le solite sue canzoni, ha voluto “sperimentare nuovi mondi” e comunicare i valori in cui crede, utilizzando “melodie leggere e veloci”. Riconosce in una intervista – a TV Sorrisi e canzoni del 29 gennaio 2019- che il tempo cambia le persone e bisogna avere “il coraggio di ammettere con sé stessi che abbiamo l’esigenza di cambiare”. È vero, l’umanità degli esseri umani pendola da un estremo all’altro: dalle sublimi altezze (primo polo) dell’amore donato e vissuto anche al costo di ogni sacrificio alle bassezze (l’altro polo) dell’amore cinico che si accontenta di sfruttare l’altro e stare con l’altro solo per soldi, come pure critica Mahmood in Soldi: “Ti sembra amore/ era altro” e “ho capito in un secondo che tu da me volevi solo soldi” o, ancora, “penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai”. Usa e getta, l’amore cinico è una ferita profonda e perciò “è difficile stare al mondo/ quando perdi l’orgoglio”. In un dialogo ideale tra le canzoni, Arisa può rispondere a Mahmood con la sua scelta minimalista: “non pensarci; prendila vita come viene, se non ci penso più/ mi sento bene”. È vero che alla fine della sua canzone – collocata in alto nella classifica provvisoria dal voto demoscopico- si conclude con un verso che sembra riscattare l’intero testo: “se cogli il buono di ogni giorno/ ed ami sempre fino in fondo”. E però Arisa sigla: “Adesso voglio vivere così”. Così come? Vuole sentirsi bene e, si sente bene, solo se non pensa a niente, anzi “non pensa in generale”. Per questa via, il pensiero della morte – “se un giorno tutto questo finirà” – aiuta a capire meglio questa etica minimalista del carpe diem (=cogli l’attimo) del tipo “mangiamo e beviamo, tanto domani moriremo”. La vita sembra assurda, ed è un controsenso e allora perché cercare un senso? È inutile, di più, è una “stupida follia”. I sogni nei cassetti, i grandi amori, o i giuramenti degli amanti: tutto finisce con la morte o svanisce nei fallimenti. E dunque perché andare “in paranoia” pensando che ci sia un senso a tutto e che “gli occhi di mia madre” possano avere un progetto grande e diverso per la propria bambina, portata al fiume al pomeriggio per una scampagnata. No. Arisa ha deciso di vivere diversamente. È un elogio alla frivolezza: vuole sentirsi bene guardando una serie alla Tv, leggendo il giornale e sdraiandosi al mare, prendendo la vita come viene. E non tanto cercando un senso che non c’è, ma godendo di quei piccoli piaceri che l’esistenza elargisce, senza esigere nulla di speciale: “le calze a rete, i baci in corsa, e gli inviti a cena per fare l’amore”. Importante è non pensare, nemmeno “a cosa dire”, denudarsi del tutto per raggiungere la leggerezza dei bambini e così “lasciarsi andare”. È una ricetta addirittura contro l’invecchiamento. Certo si invecchia comunque, e però se non ci pensi ti passa “la paura di invecchiare”. Ora, se questa è l’impostazione della vita che Arisa vuole vivere (“senza credere più all’eternità perché è difficile”), la domanda è: che senso ha la sua proposta di cogliere il buono di ogni giorno e amare sempre fino in fondo? Cosa è buono? Cosa è amore? Domande divenute oggi impertinenti per Arisa che “non vuole pensarci più”. Se è cambiata Arisa, certo non si può dire che sia cambiata in meglio. Forse si è lasciata trasportare dai venti odierni dell’ipermercato. Ha sicuramente tradito i grandi messaggi delle sue precedenti canzoni, sostenendo addirittura proprio il contrario. In Controvento, canzone con cui Arisa vinse il festival di Sanremo qualche anno fa, aveva insegnato qualcosa di molto bello, di umanamente profondo sull’amore: “risolverò, magari poco o niente, ma ci sarò e questo è l’importante, acqua sarò che spegnerà un momento, accanto a te, viaggiando controvento”. È una straordinaria testimonianza dell’amore come prossimità e cura: l’amore di cui l’uomo ha bisogno per amare fino in fondo. È quell’amore di cui Nek dice: “non ci sono parole o canzoni o film per stare alla sua altezza”, ma per il quale bisogna essere pronto, “pronto per non essere pronto mai”. Sanremo 2019 cerca “parole nuove” che siano all’altezza dell’amore: una ricerca che mi pare sicuramente soddisfatta se a vincere il festival quest’anno sarà – come speriamo- Abbi cura di me di Simone Cristicchi. La sua è di certo una canzone con parole “nuove”, all’altezza dell’amore vero.