Babele: tra ironia e identità politico-religiosa

Molta gratitudine a conclusione del Convegno Biblico, nei confronti del prof. Giuntoli, al quale bisogna riconoscere oltre che la competenza, dovuta alla preparazione accademica e personale, anche le doti della sintesi e della chiarezza che hanno permesso a chi ha seguito le tre serate su Gn 1-11 di apprezzare testi biblici la cui comprensione è spesso affidata al buon senso e alla logica spirituale appartenente più al nostro tempo che a quello in cui sono stati redatti. Per restituire ai testi il senso che l’autore o il redattore si è preoccupato di trasmettere è necessaria allora una lettura capace di compiere un salto dal testo letterale, attraverso una comprensione del momento storico nel quale viene alla luce e della cultura che lo condiziona, al senso teologico che il redattore vuole consegnare ai destinatari. Così l’episodio di Babele verrà compreso non a partire da categorie moralistiche, come quelle che siamo abituati ad applicarvi, ma in una dimensione politica che illustra la visione di Israele sugli usi e costumi dei babilonesi, popolo con cui, a causa dell’esilio, era in stretto contatto al momento della redazione, e soprattutto sulle pretese assolutistiche dei loro re; il tutto condito da una buona dose di ironia che permette al redattore di distanziarsi allo stesso tempo dal mondo mesopotamico e di recuperare attorno alla singolarità e diversità del proprio Dio l’identità nazionale e religiosa persa a causa della deportazione. Allora possiamo ben dire che l’autore di Gn 1-11 dimostra una abilità particolare nel copiare dalle culture con cui entra in contatto, perché è capace di filtrare gli elementi mutuati rimanendo fedele alle ideologie e alla teologia propria del popolo di Israele.