“Giardino di Misericordia”. Il Vescovo Salvatore scrive alla Chiesa di Noto la sua prima Lettera Pastorale

Ieri sera, 3 novembre 2023, nella splendida cornice della Basilica Cattedrale, il Vescovo di Noto, mons. Salvatore Rumeo ha fatto dono alla comunità diocesana, riunita in gran numero, della sua Lettera Pastorale, la prima da quando ha iniziato il suo ministero episcopale nella Chiesa netina, lo scorso 18 marzo.

“Giardino di Misericordia”: questo è il titolo così evocativo di questo messaggio che Mons. Rumeo rivolge agli uomini e alle donne che vivono e professano la loro fede in questo lembo di terra siciliana, così ricco di fede, di cultura, di arte, di storia, di tradizioni, dove certamente non mancano difficoltà economiche e disagi sociali, ma dove non manca neppure la voglia di fare, di rimboccarsi le maniche, dove una Chiesa fatta di laici maturi e collaborativi, vive ogni giorno la fatica e la gioia di edificare il regno di Dio.

In numerosi sono accorsi alla presentazione e alla consegna della Lettera Pastorale, la quale rappresenta non solo un atto formale del ministero del Vescovo di Noto, ma una comunicazione, un messaggio che rivela la cura e la sollecitudine premurosa del pastore verso il suo gregge.

L’evento, trasmesso in diretta streaming dall’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali e rilanciato dai media locali, si è articolato in tre momenti, con tre “letture” dei temi enunciati dalla Lettera: la prima in prospettiva biblica, con un approfondimento del brano lucano dei Discepoli di Emmaus – al centro del messaggio del Vescovo – presentato da don Mario Martorina.

Una seconda prospettiva è stata invece di carattere teologico, illustrata da don Ignazio Petriglieri; una terza lettura è stato invece in prospettiva pastorale, offerta da don Salvo Bella, delegato diocesano per la Pastorale, al fine di mettere in luce le indicazioni per un’applicazione pratica dei contenuti del messaggio che hanno a che fare con il vissuto concreto delle nostre comunità cristiane, in questo tempo di grandi fermenti nella Chiesa, universale come pure locale: il Sinodo, il 180° anniversario di fondazione della Diocesi di Noto, il Giubileo del 2025.

“Il Giardino di Misericordia – osserva mons. Rumeo – è uno spazio di riflessione, di ricerca, di dialogo, pensato per accogliere tutti, aperto a 360° anche verso i lontani, gli agnostici, i non praticanti ed i non credenti, con i quali è nostro grande desiderio confrontarci, ascoltare e ricevere idee, domande, consigli, critiche, convinti come siamo che soltanto il dialogo ci fa crescere, anche sul piano spirituale, e rende fecondo il nostro essere Chiesa”.

Così si presenta la Lettera del Vescovo che si articola seguendo un filo rosso, ponendo l’accento “sugli aspetti legati all’esperienza quotidiana – scrive ancora Rumeo a commento del messaggio – che parlano alle donne e agli uomini del nostro tempo, in questa nostra terra in cui troppo spesso la delusione, il senso di abbandono, lo scoraggiamento, tengono prigioniere le energie dei nostri giovani, vanificano le competenze dei nostri professionisti e lavoratori, distruggono i legami sociali e l’identità delle nostre comunità”.

Il messaggio del Vescovo tiene sullo sfondo il brano dell’incontro del Risorto con i discepoli di Emmaus – icona che  accompagnerà il cammino sinodale delle Chiese in Italia nell’anno pastorale 2023-2024 – per sviluppare alcune indicazioni utili a tracciare più chiaramente il cammino sinodale della Chiesa di Noto.

Un cammino, quello dei discepoli di Emmaus allora e oggi quello della Chiesa e di ogni battezzato, non esente tante volte da sfiducia, smarrimento, pesantezze: “Gesù appare e condivide il cammino dei due discepoli – scrive mons. Rumeo – delusi nelle loro attese e nei loro sogni, ancora sconvolti da un evento che li ha prostrati nel dubbio e nella tristezza: la morte di Colui nel quale avevano riposto ogni loro speranza. Gesù si unisce a loro in maniera silenziosa e inaspettata, ne ascolta i lenti ragionamenti e si fa loro «compagno di viaggio». Facendo dei loro passi il Suo cammino, ne condivide le lentezze e i rallentamenti. E, infine, suscita nuovamente in loro la speranza, fino a manifestarsi come il Risorto”.

L’uomo di oggi ha dunque bisogno di una “terapia della speranza” (Papa Francesco), per ritrovare nuove energie e nuovi slanci del cuore: “Nel loro continuo cammino, viandanti dalla speranza sopita e in continua ricerca di senso – leggiamo nella Lettera – questi due discepoli sono immagine di ogni uomo, pellegrino per le strade di un’esistenza tante volte alienante, buia e triste. E nella vicenda quotidiana di questo peregrinare, Gesù si associa al cammino dell’uomo, ovunque egli vada, senza mai allontanarsi da lui. Con stile di «vicinanza», «prossimità» e «misericordia»”.

La delusione e la tristezza dei discepoli di Emmaus, li porta a separarsi dalla comunità, da Gerusalemme “quella città che per loro è diventata il simbolo del fallimento e di ogni speranza delusa”, scrive ancora il Vescovo ed “entrano nel tramonto della loro anima; loro che dovevano essere i grandi testimoni, il sostegno e le guide della comunità. Dirigendosi verso Emmaus stanno compiendo il cammino inverso rispetto alla loro vocazione. L’orgoglio di seguire il Signore in ogni istante e la fretta di abbandonare tutto dinanzi alle difficoltà della vita: questa è la storia di sempre che coinvolge e stravolge la vita di tanti fedeli discepoli”.

Il Vescovo esorta allora a un maggiore impegno nei confronti di fratelli e sorelle che attraversano momenti di stanchezza e di “buio” nella personale esperienza di fede: Abbiamo bisogno, tutti, di coltivare e di dispiegare attitudini spirituali come l’ascolto, il dialogo, l’empatia, la condivisione, la libertà interiore e la libertà di parola, l’umiltà, la ricerca della verità e soprattutto la fede e la fiducia in Dio”.

Il Sinodo in fondo, parte proprio da questa dimensione imprescindibile di cura e di custodia reciproca: È un cammino di umanità e di fraternità che ci fa diventare «una famiglia», «comunità vera»”, si legge nel messaggio, un cammino dall’«io» al «noi», “Questa è una transizione decisiva che contribuisce realmente a dare forma a «comunità ricomincianti» – scrive il presule netino – nelle quali il plurale non è sinonimo di dispersione o, peggio, di divisione, ma dice invece il tentativo di dare vita al «noi» del soggetto ecclesiale nella valorizzazione delle diverse soggettualità”.

Sinodalità, accoglienza nello stile del Vangelo, diventano espressione chiara e inequivocabile di comunione, fondata sul dialogo, sul confronto, necessari quanto mai, aggiunge il Vescovo “per una cultura della pace. L’incontro con l’altro deve coinvolgere i cuori e le menti in un movimento di amicizia e di comprensione reciproca”.

Una Chiesa – quella auspicata da mons. Rumeo – che vinca tentazioni sempre in agguato, quale quella di chiudersi in un’autoreferenzialità asfittica che genera poi un immobilismo che fa spegnere la vivacità del Vangelo. L’immagine che usa il vescovo è chiarissima: “passare da una pastorale della «sedia» a quella della «strada». L’accoglienza richiede la centralità della «gratuità»”.

Ecco dunque la direzione sempre più decisa che si fa strada nella Lettera: “Ritorniamo alla vita concreta di una comunità cristiana che metta al centro di tutto l’amicizia fraterna, attenta ai bisogni di tutti, che susciti ministeri e servizi al servizio del prossimo, accogliendo i bisognosi, i più piccoli, i più poveri e gli ultimi. Camminando sulla via della pace e alimentando la riconciliazione, impegniamoci concretamente nella vita sociale e politica della città”.

Mons. Rumeo, continuando a scandagliare la “crisi” di speranza dei due viandanti di Emmaus, osserva come essi raccontino i fatti accaduti a Gerusalemme riguardanti Gesù , da“freddi cronisti, spettatori senz’anima”, come capita a noi, discepoli di oggi, incapaci di “leggere il nostro cuore”.

Leggiamo ancora: “La nostra speranza a volte è annientata e distrutta da delusioni, frustrazioni, amarezze sul piano personale, relazionale e pastorale: quando non crediamo più nei progetti di Dio, quando non crediamo più di riuscire a cambiare la nostra vita, a convertire noi stessi e gli altri che ci stanno accanto, quando non crediamo più nella possibilità di costruire sulla comunione la vita delle nostre comunità, di far camminare la Chiesa sui sentieri della radicalità evangelica.

Queste prove mettono in crisi anche la nostra identità cristiana, la nostra fedeltà a Dio, al Vangelo, alla Chiesa… La prova arriva anche quando la nostra preghiera sembra inutile, senza senso… o addirittura sterile!”

Da dove allora ci verrà la speranza che non delude (cfr. Rm 5,5), capace di ravvivare il nostro senso di sfiducia e il tramonto delle nostre (piccole) speranze? Scrive Rumeo: “La speranza sostiene il mondo di tutti perché è la voce del Risorto che soffia sulla vita senza senso di tanti viandanti alla ricerca di senso e di significato da dare alla propria giornata terrena. Per questo tutti, in Cristo Gesù, siamo speranza…io sono speranza…per me e per gli altri. Tu sei speranza!”

La speranza sarà tanto più grande, quanto più saremo “animati tutti dall’amore reciproco e dalla carità. La Chiesa necessita di testimoni credibili del Vangelo”.

Il Vangelo che Gesù annuncia ai discepoli di Emmaus è molto esigente: è Il Vangelo della Croce: Dopo averli scossi – si legge nella Lettera – Gesù pone ai due discepoli un interrogativo: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26). L’interrogativo sulla necessità della morte di Gesù ha sempre creato inquietudine e interrogazioni nella mente e nel cuore di ogni viandante e di ogni cercatore di Dio. La verità è che il Risorto è il Crocifisso!”

Questo Vangelo della Croce è la misura alta della vita cristiana: “Il Crocifisso Risorto ci svela che la morte di croce esprime la sua incondizionata dedizione al volere di un Dio che continua ad amare l’uomo nonostante le sue infedeltà” e di conseguenza, aggiunge mons. Rumeo, sull’esempio di questo amore che si dona incondizionatamente e totalmente, “si tratta di imparare a vivere non solo gli uni accanto agli altri, ma gli uni per gli altri”.

Questo amore deve tradursi, nella vita della Chiesa, in una Pastorale “creativa”, più “attraente”, affascinante; per esempio, scrive il Vescovo, prendendo in considerazione la Catechesi, essa deve necessariamente essere ripensata, affinché “permetta di scoprire la fede come incontro ancor prima di rivelarsi come proposta di norme e comandamenti, non una teoria astratta piuttosto uno strumento con una forte valenza esistenziale”.

Il Vangelo della Croce è poter “mostrare con le opere che è possibile crescere come uomini e donne nella libertà e nella responsabilità, capaci di amare in modo oblativo, dimenticandosi di se stessi, impegnati per la realizzazione della giustizia, testimoni del senso della sofferenza e della morte”.

Questo cammino verso Emmaus, quando ormai sembra avviato a un triste epilogo, si apre invece all’invocazione perenne della Chiesa, fino al giorno glorioso del Signore: “Resta con noi”.

Non si tratta soltanto di restare “con”, per il cristiano il segreto è “rimanere in Lui”, facendosi con Gesù “pane di comunione”, celebrando con Lui la “fractio panis” che genera comunione, carità, condivisione: dall’Eucarestia celebrata a quella vissuta: “Il cammino dell’uomo – scrive il Vescovo – è un andare verso l’altro e trova la sua fecondità nel dono completo di se stesso.

L’Amore Trinitario ci rende persone in relazione, soggetti comunionali, nature dialogiche, disposte a creare unità e comunione, suscitando lo stupore, la meraviglia e il senso della vera festa”.

Qui il riferimento è alle nostre domeniche che – si legge nel messaggio – “sono vissute spesso come occasione per evadere, per organizzare la solita visita «fuori porta», per uscire da se stessi, più che per incontrarsi con la comunità cristiana. Quando ci si accorge che si partecipa volentieri all’Eucaristia domenicale perché ci si ritrova insieme ad altri che condividono la stessa esperienza della festa in Cristo, solo allora come veri testimoni possiamo contagiare gli altri al senso della vera fede. Ma una domenica non più in grado di riproporsi come un’autentica esperienza festiva, porta a indebolire l’esperienza stessa della fede”.

Da Emmaus a Gerusalemme: i due viandanti erranti, ora hanno un traguardo, una meta, una direzione, “ritornano in fretta alla «loro» comunità per aiutare gli altri a contemplare la «visione», raccontare la loro esperienza di fede condividendo la gioia della speranza ritrovata. E così Parola ed Eucaristia generano gioia e senso del cammino, facendo ritrovare l’ebbrezza della comunione nella comunità”.

Da qui si sprigiona la missione: “La nostra missione è testimoniare l’amore di Dio in mezzo all’intera famiglia umana. Questo processo sinodale ha una profonda dimensione missionaria. Ha lo scopo di permettere alla Chiesa di testimoniare meglio il Vangelo, specialmente con coloro che vivono nelle periferie spirituali, sociali, economiche, politiche, geografiche ed esistenziali del nostro mondo”.

Il Sinodo inizia da qui: “Non siamo soli, Lui cammina con noi, ci sostiene, ci illumina, entra dentro il cuore di ciascuno. Questa è la vita cristiana!”

Alessandro Paolino
Direttore UDCS