In morte di Benedetto XVI

“Senza frode imparai la sapienza e senza invidia la dono" (Sap 7,13) L’eredità teologica e spirituale di Joseph Ratzinger

IL SUO CONTRIBUTO A UNA FEDE ADULTA, “INCARNATA E PENSATA”
“Il cristianesimo del futuro o sarà mistico o non sarà”, così ha scritto Karl Rahner. È vero. L’esistenza teologica di J.Ratzinger-Benedetto XVI è stata una “metafora viva” di questa verità. Le ha dato “carne”.
Papa Francesco di recente ha affermato del suo predecessore: “Benedetto XVI è un santo”. Non è per nulla una affermazione enfatica, perché già ora – in quest’ora della sua morte e, dunque, dell’incontro definitivo con il Dio-agape che in vita ha tanto amato – emerge con più chiarezza il significato teologale delle sue stesse dimissioni: non fu uno “scendere dalla croce“, come taluni troppo superficialmente hanno giudicato, ma piuttosto un “entrare nello spessore della croce” (San Giovanni della croce), per condividere gioie, speranze e sofferenze della Chiesa e degli uomini di questo nostro tempo.
Il suo ritiro nella preghiera ha aiutato la Chiesa a superare parecchie bufere in questi ultimi dieci anni. Chi crede nella “potenza della preghiera” lo sa bene. Perciò, nell’ora della morte del Papa emerito, il cuore dei cattolici tutti è attraversato da un “dolore carico di gioia”. È la gioia dell’essersi sentiti amati e custoditi, rassicurati e proiettati in avanti, per vivere una fede cristiana adulta perché “incarnata e pensata”.

IL “REALISMO DELLA FEDE” : UN EVENTO CHE “ACCADE” NELLA PERSONA DI GESÙ
Deus caritas est” lo afferma all’inizio: il cristianesimo non è anzitutto un’etica, ma è un avvenimento, quello dell’amore di Dio che abita la storia attraverso i credenti, seguaci di Gesù. Non potremo mai ringraziare Benedetto XVI per tanto “realismo”. Specialmente in un tempo che spinge tutto verso il virtuale, fino a rendere evanescente ogni verità in un relativismo che parte dal livello conoscitivo (=non si può conoscere la verità) per giungere al livello ontologico (non esiste la verità).
L’evento cristiano, invece, afferma che la Verità esiste perché “accade” ed è un evento personale, cioè è la persona stessa di Gesù. È il Gesù dei Vangeli, il Cristo risorto – che nella trilogia su Gesù Cristo – è dimostrato essere l’unico vero Gesù della storia, quello che ha vissuto per le strade della Palestina, essendo il “Gesù reale”, attingibile solo con gli occhi della fede. Il realismo della fede, la quale è inconcepibile senza l’opera della carità (essendo la fede essenzialmente la presenza dello Spirito Santo nel cuore dei credenti), apre alla visione vera su Dio, sull’uomo, sul mondo e la storia, sulla realtà tutta.

UNA FEDE CHE INTERPELLA L’INTELLIGENZA DELLA RAGIONE
Per Benedetto XVI la fede cattolica è una “concezione globale della vita e del mondo” (Romano Guardini) capace di ridestare la “ragione intera” spesso stanca e affaticata nel suo cammino di ricerca verso la Verità, sempre oltre e sempre a venire. La certezza della “potenza epistemica” della fede in quanto autentico sapere è un “ritornello insistente” nella teologia di J. Ratzinger che è sempre stata, nella vita della Chiesa, una teologia innovativa, cioè attenta all’accadere del Novum di Cristo nelle trasformazioni culturali in atto.
È troppo superficiale (per non dire forse troppo mediocre) definire la teologia ratzingeriana come “consevatrice“. Sin dal suo lavoro come consulente teologo al Concilio Vaticano II, Ratzinger fu uomo delle grandi visioni. Certo Egli è sempre stato convinto che non c’è vera ed autentica “novità” se non nella “continuità” dell’insegnamento della grande Tradizione. Senza la Tradizione, le novità teologiche sono uno svuotamento delle verità di fede e dunque un tradimento del Vangelo che viene “ideologicamente” fatto a pezzi o adattato alle mode correnti. Il letto di Procuste di certe correnti di pensiero teologico contemporaneo impoverisce il mistero della fede ecclesiale e apre (inconsapevolmente) le porte all’ateismo o anche all’anateismo o ancora al post-teismo monista.
Il titolo di “defensor fidei” risulta appropriato per Benedetto XVI, perché la sua pacata “apologia della fede” (a cominciare da “Introduzione al Cristianesimo”) non ha mai ceduto a controversie sterili, ma ha inteso sempre “spiegare con intelligenza” i dogmi della fede ecclesiale perché se ne cogliesse il significato salvifico, cioè l’apertura del senso per una vita vissuta nell’amore di Dio, rivelato da Gesù “solo e sempre amore”.

UNA TEOLOGIA “SAPIENZIALE” CHE È SÀPERE/SAPORE NUOVO PER LA FEDE
Dobbiamo pertanto a Benedetto XVI l’aver – una volte per tutte – chiarito che non c’è nessun rapporto tra Dio e la violenza. Nella lezione tenuta a Ratisbona fu l’assunto più bello: “Agire con violenza è contro la natura dell’anima e di Dio“. Se Dio è solo e sempre amore, non vuole la violenza dell’uomo sull’uomo, non chiede a nessuno di entrare in guerra e uccidere altri uomini, per nessun motivo. È questa un’eredità teologica che darà futuro al cristianesimo cattolico nel dialogo con le altre religioni non cristiane e soprattutto nel dialogo ecumenico.
Ecco in sintesi estrema le eredità teologiche di cui in cattolici potranno nel futuro “godere”, nel senso di un sapere che è un sàpere, un sapore di vita, un gusto nuovo dell’esistenza.
“Riforma nella continuità”, quale principio ermeneutico adeguato per il Concilio Vaticano II; insieme alla “priorità ontologica e cronologica della Chiesa universale che vive in ogni Chiesa particolare”; poi anche “l’allargamento sapienziale dei confini della ragione” e dunque “il carattere epistemico della fede per ridestare la ragione intera“. Da papa, infine ha voluto fissare una via maestra con il chiarimento su “il Cristo della fede come la realtà reale del Gesù della storia”.

Grazie a Benedetto XVI per aver esercitato il suo “munus docendi” a servizio della Chiesa e di tutta l’umanità. Il più grande teologo del XX secolo che ha vissuto da “mistico e contemplativo” il cristianesimo, vero modello di santità per tutti.

+Antonio Staglianó
Vescovo emerito di Noto
Presidente della Pontificia Accademia di Teologia