Mons. Staglianò al convegno di Siracusa sulla massoneria: quale vicinanza nell’abissale distanza

Domenica scorsa, 12 novembre, si è tenuto a Siracusa il dibattito “Chiesa e massoneria, così vicini così lontani?”, organizzata dal Grande Oriente d’Italia. Tra gli invitati, mons. Maurizio Aliotta dell’Arcidiocesi di Siracusa, preside e docente di teologia e storia della teologia morale dello Studio Teologico San Paolo di Catania e mons. Antonio Staglianò, teologo, prolifico autore di saggi e poesie e vescovo di Noto.

Poiché, per alcuni, la caratura degli ospiti probabilmente non era sufficiente a tranquillizzare gli animi più diffidenti, nelle settimane precedenti si scatenava una bufera di polemiche – pretestuose nella stragrande maggioranza dei casi, per la verità – le cui principali argomentazioni (ma l’elenco, come immaginerete, non è esaustivo) andavano dall’inopportunità di partecipare ad un convegno di massoni, alla circostanza che – in quanto scomunicati – con gli stessi non si dovrebbe neanche interloquire. Tra le amenità lette, svetta per fantasia e malafede l’accusa di voler costruire un ponte, attraverso incontri volti a sdoganare la massoneria e renderla in qualche modo vicina e compatibile con la Chiesa cattolica. Il punto di massimo delirio si è poi raggiunto quando, criticando l’immagine della locandina con Gesù Cristo che disegna il mondo, la si è ritenuta blasfema o ambigua, mentre si tratta di una miniatura medievale del ‘200 raffigurante il Dio Creatore, antecedente alla massoneria di circa 400 anni. Verrebbe da dire che corre l’obbligo studiare, e tanto, quando lo scopo è attaccare a prescindere! Questo tedioso e a tratti ossessivo atteggiamento di chi, dietro un monitor e con una tastiera sotto le dita, ha messo in piedi nei giorni scorsi una sorta di processo alle intenzioni, rispetto a ciò che certamente avrebbero detto o non detto i due monsignori, si è infranto con la realtà, documentata da chi, come noi, era presente.
Apre il dibattitto, nella sua qualità di moderatore, Elio Cappuccio – presidente del Collegio siciliano di filosofia – che, dopo avere premesso la necessità di dialogo tra mondo laico e religioso, riporta il punto di vista dell’allora card. Ratzinger, durante il confronto con il filosofo Jügen Habermas all’Accademia cattolica di Monaco nel 2004: per prevenire il rischio di totalitarismo insito nelle religioni, ma anche la tracotanza umana in cui cade il sapere scientifico, Ratzinger ribadiva quanto fosse necessario che entrambi si limitassero reciprocamente. Cita anche il giurista tedesco Ernst Wolfgang Böckenförde, secondo il quale la religione può fornire quello spirito altamente etico, che uno stato laico non è in grado di dare, perché, quando vuole obbligare all’osservanza di principi etici, travalica in stato etico (hegeliano) e conseguente totalitarismo. Conclude il moderatore che, a suo parere, tuttavia, la “vicinanza” tra Chiesa e massoneria può esprimersi solo in un dialogo che prende atto delle differenze sostanziali e della “lontananza” data dall’inconciliabilità di fondo esistente tra un Dio persona e un dio inteso come ordine geometrico dell’universo, principi sui quali è impossibile trovare punti di contatto.
Prende quindi la parola mons. Aliotta, che chiarisce subito quanto il tentativo di dialogo non debba assumere i caratteri dell’accordo compromissorio, per la diversa visione dell’uomo che Chiesa e massoneria hanno: il relatore fa notare, per esempio, che un cattolico non scriverebbe mai la parola “uomo” in maiuscolo, come riportato nel depliant dell’evento, proprio perché l’uomo non sia considerato artefice del proprio progetto di salvezza, strappando il primato a Dio. Il breve intervento di mons. Aliotta, come da lui stesso precisato, è finalizzato a consentire a S.E. Staglianò di affrontare gli aspetti più squisitamente teologici in profondità.
Prende, quindi, la parola Sergio Rosso, Gran Maestro Aggiunto Grande Oriente d’Italia, il cui intervento mette in evidenza due aspetti: la libertà dei massoni di professare la propria fede (in quanto la “massoneria autentica” non è contro alcuna religione) e il lungo elenco delle attività filantropiche e solidaristiche da loro organizzate, che, a suo dire, costituirebbe il terreno comune di dialogo con i cattolici.
Subito dopo viene chiamato ad intervenire S.E. mons. Staglianò, che esordisce citando in tedesco la Zauberflöte di Mozart, considerata proprio un’opera dai tratti massonici. Accenna quindi alla vita del compositore, interessante ai fini del dibattito in corso essen do lui massone e cattolico, come emerge dalla corrispondenza con il padre, che gli raccomandava la confessione e la comunione domenicale. Il fatto che la sua musica fu considerata come manifestazione del divino da tanti teologi, nonostante la sua appartenenza alla massoneria, potrebbe indurci a ritenere che una certa vicinanza sia possibile, dice il monsignore. Ma, in realtà, non è così: non solo “non potremmo dire che Mozart è un cattolico esemplare”, ma addirittura che la musica di Mozart non si possa comprendere e capire senza il suo cattolicesimo.
A partire da questo momento, sotto l’incessante suono delle campane dell’attiguo Duomo, che accompagna le parole del vescovo, egli dà il via ad una superba lectio magistralis, di cui chi scrive non può far altro che riportarne alcuni stralci.
Dice Staglianò che “Il cattolicesimo è assolutamente traditio, per cui è sempre lo stesso a partire dalle sue origini e dalle sue fonti, che è il Cristianesimo di Nostro Signore Gesù Cristo; però, vivendo nel tempo, è sempre in continua riforma (Ecclesia semper reformanda), proprio perché consapevole delle origini, la forma perfetta, pura, dogmatica di Gesù di Nazareth. La successione apostolica del Vescovo di Roma continua nel tempo, anche attraverso esercizi del ministero petrino che sono scandalosi. E lo è anche adesso”.
Quindi, rivolgendosi ai gran maestri, mette subito in evidenza la mancanza di trasparenza all’interno delle organizzazioni massoniche e nello specifico il loro “problema di identità…che va mostrata”. Lo stesso problema si pone nel suo rapportarsi con la Chiesa, sia con “quella Chiesa cattolica del Concilio Vaticano II, quindi di Giovanni XXIII, che dice “cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che ci divide”, sia con “la Chiesa Cattolica di Giovanni Paolo II che ha detto prima di morire “fides et ratio” (cioè ha invitato i cattolici a lavorare sull’intelligenza, sulla ragione, sul logos, perché, in assenza di questo, la fede rischia di diventare magia e superstizione), sia con “la Chiesa Cattolica di Paolo VI, che nella Evangelii Nuntiandii dice: la chiesa si fa dialogo, la chiesa è dialogo per sua natura, perché l’elemento fondante della Chiesa Cattolica è il dialogo intratrinitario e non c’è figlio di esseri umani che non sia segnato da Cristo, immagine e somiglianza in cui tutti siamo creati, consapevoli o non consapevoli, accettando o non accettando”.
Replicando, quindi, al moderatore Cappuccio, sul rischio di totalitarismo insito nelle religioni monoteiste, il vescovo Staglianò precisa che Habermas, però, in un primo momento teorizza l’espulsione delle religioni monoteiste, ma poi cambia opinione dopo l’attentato alle torri gemelle, convinto invece che nella futura società comunicazionale “soprattutto le religioni monoteistiche devono stare al centro, perché in queste religioni ci sono due cose fondamentali che servono alla civitas: l’obbedienza alle regole (i comandamenti) e l’apertura nella carità e nell’amore verso il prossimo, cristianamente identificato con il Dio crocifisso che dona la sua vita per l’altro. Nelle religioni monoteistiche c’è un’educazione della coscienza all’apertura verso l’altro (e questo è fondamentale per una società democratica) e soprattutto la consapevolezza che la propria verità va nella direzione di dover obbedire ad una realtà superiore che chiamiamo Dio, che ti da un comandamento non per incastrare la tua libertà nel dogma a cui devi obbedire, ma perché in quel dogma tu possa sviluppare il massimo della tua libertà. Che cos’è la libertà? La possibilità di fare quello che vuoi? La libertà è la possibilità di fare solo il bene, perché quando tu compi il male, non sei libero, ma sei schiavo del male che compi”.
Andando al cuore del tema oggetto di dibattito, mons. Staglianò si interroga intorno alla possibilità di dialogo tra Chiesa e massoneria, precisando che c’è un primo problema quello dell’identità dell’interlocutore da conoscere e un secondo, dato dal significato da attribuire alle parole, nella società liquida in cui ci troviamo: “Dialogare? E come? Potremmo noi pensare che le espressioni pace, giustizia, amore, solidarietà, dette da un vescovo della Chiesa cattolica, suonino a un massone con lo stesso contenuto con cui il vescovo lo vuole comunicare? È lo Sprachespiel: ogni parola vive del suo significato dentro uno spazio linguistico particolare. Dovendo ragionare sulle possibilità di dialogo tra di noi, bisogna anche prendere atto che c’è una grande difficoltà di linguaggio. Lo Sprachspiel determina anche il contenuto, il significato delle parole che utilizziamo, che sono parole comuni, ma non perché sono parole comuni vuol dire che siano parole che ci accomunano”. Questa precisazione tornerà utile più avanti, quando si dovrà tratteggiare il diverso significato da attribuire ai concetti di filantropia e carità.
Fatta tale premessa, mons. Staglianò, senza mezzi termini e con chiarezza, ricorda che “nel 1983 il cardinal Ratzinger ribadisce la scomunica per tutte le persone che appartengono a società massoniche, scomunica latae sententiae, vuol dire che sei fuori dalla comunione cattolica. Da questo versante, non si pone il problema “cosi vicini cosi lontani”, perché se c’è una scomunica in atto siete totalmente fuori. Siccome è stato detto che ci sono tanti cattolici massoni, pure preti e vescovi massoni, questi nostri fratelli un po’ di disorientamento ce l’hanno, perché vuol dire che questa scomunica non interessa. Ma allora c’è un problema di identità cattolica, perché appartenere alla chiesa cattolica è riconoscere la dottrina della Chiesa Cattolica, nella quale c’è l’autorevolezza di un Magistero che interpreta la verità per te, a cui tu obbedisci, per cui c’è una sola obbedienza per il cattolico, l’obbedienza a Gesù Cristo, nostro Signore, visibilizzato in questo tempo dal vescovo di Roma e ciascuno nelle proprie diocesi dal vescovo. Come si può interpretare questo vicini e lontani? Il dialogo non si fa azzerando le differenze e arrivando a un minimo comune denominatore. Dopo il Concilio Vaticano II, molti hanno voluto praticare il dialogo cosi, per riferimento a ciò che disse Giovanni XXIII (“cerchiamo ciò che unisce e non ciò che ci divide”). Ma Giovanni XXIII non voleva dire questo. Il dialogo vero che si può fare è approfondendo le proprie differenze, le proprie identità. Perché se voi siete lupi, io, come Chiesa cattolica, sento Gesù che mi dice “ti mando come pecora in mezzo ai lupi”, per cui vorrei dirlo a tutti questi cattolici scandalizzati per il fatto che sto parlando a voi. Evidentemente questi cattolici hanno un problema di identità cattolica. Se siete nemici della Chiesa, io sono qui mandato dal Signore Gesù che dice “amate i vostri nemici e fate del bene a quelli che vi odiano”. Io oggi ho ritenuto non di distrarmi dalla mia missione, come qualche mio prete mi ha detto, ma sono qui per evangelizzare e dirvi che è il Kerigma di Gesù che può dire a voi di capire se siete vicini o lontani. Visto che la scomunica vi toglie da ogni possibilità di comunanza, perché siete fuori dalla Chiesa cattolica, nel vostro tentativo di mostrarvi con il vostro volto, cercate di autenticare la vostra identità. Chi può giudicare il togliere la scomunica? Il Santo Padre, perché essendo scomunicati voi siete nella più abissale distanza. È possibile immaginare una certa vicinanza nell’abissale distanza? E vorrei dirlo anche a quei cattolici che, non volendo utilizzare la testa e il logos, utilizzano la ghigliottina. Io sono qui per fare un gesto di carità nei vostri confronti, carità intellettuale. (Questa) porterebbe anche i cattolici disorientati perché massoni, o i cattolici che si credono non disorientati perché cattolici doc, a riflettere l’abissale distanza nella più cruda, plastica vicinanza, l’abissale distanza di chi ritiene di essere non solo vicino, ma al centro. Un prete è al centro della chiesa: celebra l’eucarestia, predica il vangelo; se il prete è corrotto mi pare sia abissalmente distante dal Kerigma di Gesù. Peccatori si, corrotti mai. Chi è corrotto è lontano dalla Chiesa cattolica, fosse anche un vescovo!
Mons. Staglianò, in un crescendo entusiasmante, traccia poi la netta differenza e la conseguente distanza tra le attività filantropiche e solidaristiche promosse dalle società massoniche e l’esperienza dell’amore cristiano, citando San Paolo: “potrei non avere la carità”, perché il singolo gesto potrebbe essere mosso da interesse personale, desiderio di accreditarsi, ostentazione o altro ancora. Prosegue il vescovo: “la carità è quella di don Pino Puglisi, che mentre lotta contro la mafia, sa anche sorridere a chi lo ha sparato e ucciso e in quel sorriso gli ha mostrato quello che Gesù di Nazareth sulla croce ha fatto e chiesto per tutti (“Padre perdonali, non sanno quello che fanno”), perché se tu mi stai uccidendo io ti perdono, se tu stai parlando male di me e mi calunni, io parlerò bene di te, se tu stai facendo il male a me, io non risponderò al male con il male, ma con il bene. Questo è il Kerigma cristiano. Rispetto a questo siamo tutti fuori e tutti dentro, tutti lontani e tutti vicini”.
A questo punto, il vescovo tratta un tema a lui caro, spesso ripreso nelle sue omelie: “I cattolici che praticano le chiese e vivono un cattolicesimo convenzionale e non hanno occhi per la sofferenza e il dolore degli altri, non danno da mangiare all’affamato, non danno da bere all’assetato, non vestono il nudo, non vanno a trovare il disperato, che lontananza hanno questi? Sapete che cosa capiterà loro che riescono a fare un’elemosina che chiamano carità? Che nell’ora della loro morte, parola di Gesù di Nazareth, busseranno alle porte del Padre Eterno e il Padre Eterno dirà loro: “Voi, fuori!”.
Rivolgendosi ai massoni presenti, mons. Staglianò così conclude: “Se abbiamo capito che cos’è il Cristianesimo e solo di cristianesimo io potevo parlarvi, voi con la vostra intelligenza potete capire se siete vicini o se siete lontani. Quanto all’immagine pubblica, anche un vescovo che viene con tutte le buone intenzioni potrebbe da domani in poi essere vituperato, e questo sarà una mia sofferenza, però la metto sulla croce del Cristo, perché possa essere salvezza per tutti”.
Chiude il dibattito Santi Fedele, Gran Maestro Aggiunto Grande Oriente d’Italia, che dichiara di accettare orgogliosamente la propria condizione di massone, nella serena consapevolezza di trovarsi fuori dalla comunione dei credenti, con ciò implicitamente affermando l’incompatibilità tra Chiesa cattolica e massoneria.
Non resta molto da aggiungere dopo l’intervento di mons. Staglianò. Ci permettiamo una piccola nota a margine. Da una parte non vi è alcun dubbio su quale sia la posizione dottrinale della Chiesa rispetto all’eventuale dialogo con i massoni, incompatibile dal punto di vista teologico e ontologico. Dall’altro canto, non è mancata l’attenzione paterna, che da buon pastore, il nostro vescovo ha dedicato alle persone, a quei massoni che credono erroneamente di poter conciliare la fede in Cristo con la loro adesione ad una loggia, invitandoli a chiarire la loro identità nel profondo. Sappiamo che mons. Staglianò è conosciuto per la pop-theology, per la sua capacità di collegare i testi di note canzoni al messaggio più autenticamente cristiano, per la sua vitale capacità comunicativa, ma chi vive la Chiesa sa soprattutto della sua profonda competenza teologica, accademica, della sua attività di scrittore e brillante relatore. Infine ci siamo noi, che abbiamo la grazia di avere incontrato il pastore, l’uomo di Dio, quello che domenica scorsa ha provato a riportare dentro il recinto di Pietro le pecore smarrite e ingannate, con sguardo paterno, con il dolore di vedere la loro lontananza da Cristo, con la fermezza di chi, nella verità, ha ricordato che la riconciliazione con la Chiesa non avviene attraverso il compromesso. Per questo servizio di chiarezza reso a noi fedeli, lo ringraziamo.
 
da il quotidiano “La Croce”