Noto. Messa Crismale. Il vescovo: Su di noi inviati e consacrati, è lo Spirito del Risorto

È stata celebrata stamattina, sabato 30 maggio 2020, alle ore 10:00, nella Basilica Cattedrale di San Nicolò a Noto, la Messa del Crisma, solitamente officiata la mattina del Giovedì Santo, ma posticipata quest’anno a causa della pandemia di Covid-19.
 
Come in altre diocesi italiane, anche nella diocesi netina, questo alto momento ecclesiale – seppur vissuto dentro le misure restrittive per prevenire il Coronavirus – ha manifestato, nella partecipazione di un buon numero di presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e fedeli laici, il volto bello di un popolo che vuole riprendere il suo cammino, dopo i giorni difficili del lockdown, a partire da questo convenire che è epifania di una comunione che ha da crescere e maturare sempre di più, con Dio e tra di noi, per mezzo dello Spirito Santo che ci fa Chiesa.
 
Durante la celebrazione i sacerdoti presenti hanno rinnovato davanti al vescovo, mons. Antonio Staglianò – che ha presieduto la liturgia – le promesse fatte il giorno dell’Ordinazione; il presule netino ha poi benedetto gli Oli Santi e consacrato il Crisma profumato, per i Sacramenti della vita cristiana.
 
L’omelia del vescovo, per questa occasione, anziché essere pronunciata a braccio – come solitamente accade – è stata invece letta, sviluppando il passo del Vangelo di Luca, proclamato in questa liturgia, dove Gesù nella Sinagoga di Nazaret, legge il rotolo del profeta Isaia, in cui è scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18).
 
Mons. Staglianò ha esordito manifestando “una grande gioia in questa Eucaristia. Dopo tanta distanza, questa Messa crismale ci ‘ravvicina’”. Appare allora più chiaramente “il valore della relazione effettiva e affettiva, empatica – ha proseguito, citando il Beato Antonio Rosmini – e cosa vuole dire che la Chiesa sia sacramento e Corpo di Cristo!”.
Il vescovo ha quindi rimarcato che lo Spirito Santo, artefice di unità nella Chiesa, “rinnova i nostri rapporti ecclesiali con il dono della comunione, aiutata dalla comunicazione di fede, tema con cui abbiamo iniziato questo anno pastorale”.
 
Sviscerando poi il già citato versetto di Isaia che Gesù applica a sé, come Colui che lo Spirito Santo “unge” per l’annuncio del Vangelo, mons. Staglianò ha concentrato la sua riflessione su tre punti:
 
“Lo Spirito del Signore è su di me”
 
Questa “investitura” dall’alto è il segno della nostra appartenenza a Dio e della nostra “familiarità” con la Trinità intera: “Senza questa intimità con Dio infatti – ha sottolineato il vescovo – sarà più difficile accoglierci ed essere, anzitutto preti e vescovo, capaci di esprimere la paternità di Dio che tutti cerca, tutti abbraccia, tutti raduna”. Per custodire questa intimità -ha seguitato mons. Staglianò – risulta decisivo “il primato della preghiera”; sarà questo “il segreto e la forza della comunione: allora sapremo ascoltarci sul serio, correggerci in modo fraterno, crescere in un’armonia polifonica, ricca di tanti cammini, tante sensibilità personali e tanti carismi”. Lo Spirito Santo suscita inoltre quella fantasia pastorale che può aprire nuove vie di evangelizzazione “dall’arte alla cultura, dalla pop- Theology, come cura particolare dei linguaggi che “avvicinano”, ai social, che tutti abbiamo dovuto usare di più con creatività”.
 
“Lo Spirito del Signore mi ha inviato!”
 
La terza Persona della Trinità anima nella vita del credente quel dinamismo missionario che lo “invia” per essere testimone del Vangelo. Lo Spirito è l’amore riversato nel cuore del cristiano, “un amore che attraversa tutti i tempi e tutte le situazioni – ha osservato il vescovo – un amore che non lascia indietro nessuno! Un amore che si è espresso, nel tempo della pandemia, come un risvegliarsi di tanti semi dello Spirito attraverso tanta carità spontanea, coordinata dalla Caritas, con la preoccupazione di uno stile di attenzione a tutti e di discrezione, per non far mai venir meno la dignità delle persone”. Lo stesso amore “che ha spinto le parrocchie a continuare, con straordinaria creatività, catechesi e legami comunitari, utilizzando social, telefonate, ma anche presenza laddove e per come è stato possibile”.
Questo amore per mons. Staglianò non è una “pia intenzione” che rimane sullo sfondo di una spiritualità alienata e convenzionale, ma “Amore che ha al cuore le relazioni umane e fraterne, anzitutto. Queste relazioni nascono dall’empatia e generano quel ‘noi’, tema centrale dell’incontro unitario che ho voluto fosse tenuto da un testimone come don Luigi Ciotti, fondatore di ‘Libera’”.
“Dilatentur spatia caritatis”: citando Sant’Agostino, il vescovo ha ricordato un grande segno di carità e di comunione nella diocesi, il gemellaggio con la Chiesa africana di Butembo-Beni che “ci ‘apre gli occhi sui drammi dei poveri del mondo’, come è scritto nelle decisioni sinodali, e dilata l’amore a tutto il mondo, Casa comune, creato a noi affidato per ‘custodirlo’”.
 
Mons. Staglianò ha inoltre evidenziato la drammatica questione dei migranti, denunciando la mancanza “di politiche capaci di sapienza” e ricordando come queste persone siano un “segno dei tempi” e una provocazione a edificare la pace e la giustizia per tutti i popoli, specialmente i più poveri. L’attenzione del vescovo si è poi rivolta ai carcerati, alle “loro famiglie, al personale. Attraverso “La vita diocesana” [il periodico della diocesi, ndr] ci raggiunge la loro voce, capace – insieme alla sofferenza – di testimoniare speranza” e ancora un pensiero per la Scuola, “dove l’amore diventa cura educativa continuata anche a distanza e nella nostra diocesi rafforzata, per i ragazzi più fragili, dalla tenacia dei nostri cantieri educativi e oratori che hanno continuato anch’essi, con le dovute protezioni, ad accompagnare ragazzi e famiglie. E per i giovani e le famiglie un grazie di cuore agli uffici pastorali per la loro saggia attenzione e parola”.
Questo amore “missionario” in tempo di pandemia si è visto rifulgere anche nella “dedizione di medici, infermieri, personale sanitario”. Quindi il grazie del vescovo “a quanti date la vita nelle nobili professioni sanitarie ma anche in tutti i servizi, umili spesso ma preziosi, per il bene comune e ciò che serve alla vita!”.
 
 
“Lo Spirito mi ha consacrato con l’unzione!”
 
Infine mons. Staglianò ha messo in risalto la “consacrazione” che opera lo Spirito nella vita della Chiesa, quell’unzione che è “concreta e profonda penetrazione dell’energia dello Spirito e splendore dell’amore!”. Questo avviene attraverso il “segno” degli Oli Santi: quello degli infermi, il cui conforto assicura “una presenza di vicinanza ai malati, sempre più corale, frutto dell’Eucaristia celebrata e vissuta”; quello dei catecumeni, per diventare “testimoni” di una
“fede “pensata” e coerente in tutti gli ambiti della vita”. Infine nel Crisma – ha concluso il vescovo – è condensata la profondità di una liberazione dalla corruzione che ci rende ‘tempio della gloria di Dio’, capaci di ‘spandere il profumo di una vita santa’, il compimento in noi di un ‘disegno di amore’, l’impegno ad una ‘vita integra e pura in tutto conforme alla grande dignità che ci riveste come re, sacerdoti e profeti e ci fa commensali del banchetto della gloria di Dio’: un’intensità unica che ci spinge tutti a una mistica incarnata e profetica!”.
Il vescovo ha quindi invocato l’intercessione di Maria per ricominciare “il nostro adunarci e operare comunitario: senza fretta e senza pigrizia, ma nell’azione suadente dello Spirito! Ci lasciamo penetrare dalla grazia e lasciamo a Dio i tempi e le vie. A Lui – come la prima lettura ci ha ricordato – quel grazie che permette alla sua gloria di manifestarsi e di sostenerci nel cammino verso la patria eterna!”.
 
A conclusione dell’omelia, mons. Staglianò – alla vigilia della solennità di Pentecoste – ha recitato per tutti una preghiera allo Spirito Santo, pregata, sin da bambino, dal Santo Papa Giovanni Paolo II:
 
Spirito Santo,
ti domando il dono della Sapienza,
per una migliore comprensione
di te e delle tue divine perfezioni.
 
Ti domando il dono dell’Intelletto,
per una migliore comprensione
dello spirito dei misteri della santa fede.
 
Dammi il dono della Scienza,
perché io sappia orientare la mia vita
secondo i principî di codesta fede.
 
Dammi il dono del Consiglio,
perché in ogni cosa io possa
cercare consiglio presso di te
e trovarlo sempre presso te.
 
Dammi il dono della Fortezza
perché io non ceda mai al male
e con coraggio vinca ogni tentazione.
 
Dammi il dono della Pietà
perché io possa sempre servire
la tua maestà divina con amore filiale.
 
Dammi il dono del Timore di Dio
perché nessuna paura o considerazione
terrena possa strapparmi a te.
 
 
 
 IN FONDO ALLA PAGINA, IN ALLEGATO, IL TESTO INTEGRALE DELL’OMELIA