Natale, evento che “dà da pensare!”

“Un Bambino è nato per noi”: ecco il vero volto di Dio!

Carissimi sorelle e fratelli con cui condividiamo il cammino della vita,
Carissima e amatissima Chiesa di Noto,

siamo in passaggi delicati e importanti del cammino della nostra diocesi e della storia.
Dallo scorso 1° settembre io mi trovo a rendere un nuovo servizio nella Chiesa cattolica come Presidente della Pontificia Accademia Teologica su invito di papa Francesco, con un particolare impegno a far sì che la teologia si rapporti sempre più alla vita e ai contesti della storia.
Intanto la nostra Chiesa locale è in attesa del nuovo vescovo mio successore. La speranza è di poter ricevere a giorni la gioiosa notizia come un “dono di Natale”. La nostra attesa è comunque vissuta nella preghiera, per accogliere il nuovo pastore nella fede e nell’apertura all’azione dello Spirito che guida i nostri passi sulla via della pace.
La pace manca al mondo e noi desideriamo invocarla con insistenza, insieme all’impegno a uscire dagli anni della pandemia migliorati, e non solo stanchi o preoccupati. Pace insieme alla solidarietà e alla giustizia, allora, è quella che noi invochiamo in questo Natale e di cui vogliamo essere umili strumenti.

Natale: evento che “dà da pensare” e che parla all’intelligenza e al cuore

Natale diventa l’occasione per rinnovare i nostri sentimenti di affetto in questi passaggi, ma è anche un evento che «dà da pensare» (P. Ricoeur): permettetemi allora di condividere con voi qualche riflessione che ci aiuti a viverlo in tutta la sua intensità e bellezza, nell’intreccio tra vita e pensiero.
Vita e pensiero: si tratta di un nesso fecondo, che sempre più dobbiamo riscoprire.
Non è secondario, per la vita, il pensare: la illumina e la orienta. A sua volta non sono secondari, per il pensiero, la vita e la storia: diventano il grembo di sfide che interpellano a un pensare “altro” e a nuovi motivi di verifica e di coerenza tra il nostro “dire” e “fare”, che rende credibili missione e testimonianza.
Il racconto della nascita di Gesù nei vangeli di Luca e di Matteo – su questo nesso tra il dire e il fare-, è ricco di suggestioni che partono dalla vita e arrivano, non solo alla mente, ma anche e forse anzitutto al cuore. Sono suggestioni che si esprimono nella rievocazione della natività attraverso il presepe diventato, soprattutto dopo quello di Greccio ad opera di San Francesco, una tradizione bella da conservare in tutte le nostre case e in tutti i nostri luoghi di vita. Sono suggestioni che diventano contemplazione e stupore per il mistero di un Dio che si fa piccolo e si mette nelle nostre mani, a Natale come in ogni eucaristia!
Scrive papa Francesco nella sua lettera sul valore del presepe: «Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prendere il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra come Dio è entrato nel mondo, ci provoca a pensare la nostra vita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita» (lettera apostolica Admirabile signum, n. 8).
Nei racconti evangelici, come pure nella rievocazione del presepe, la vita e i sentimenti sono importanti e ci introducono anzitutto a un pensiero “altro” su Dio rispetto a quelli di un ragionare slegato dal cuore e dal travaglio della storia (comprese le tradizionali prove sull’esistenza di Dio). A Natale, Dio – potremmo dire con Pascal – ci fa capire che Lui «non è il Dio dei filosofi ma il Dio di Gesù Cristo», il Dio che parla a noi in quell’esistenza precisa collocata in una storia e in una geografia altrettanto precisa.
La teologia fin dall’inizio è impegnata a leggere i fatti e le vicende umane con schemi altri rispetto a quelli usuali!

Leggere i “segni dei tempi” per incontrare Dio che si fa presente nella storia

«Un bambino per noi è nato, un figlio ci è stato donato» – ascolteremo nella prima lettura della messa di mezzanotte, tratta dal profeta Isaia. Questo modo di venire a noi da parte di Dio ne rivela il vero volto. Non un Dio che atterrisce o giudica, ma un Dio che si dona a noi in una condiscendenza che solo Lui può portare fino in fondo e così metterci a nostro agio, con una vicinanza estrema che parla di un eccesso di amore. Nascendo in una mangiatoia, da una famiglia come quella di Maria e di Giuseppe, dentro un preciso luogo e dentro un complesso (ma anch’esso preciso) contesto storico, Gesù ci guida a fare teologia, a comprendere Dio, dal “di dentro” del mondo e della storia, come ha affermato papa Francesco parlando a Napoli, alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale (giugno 2019).
Diventa tutt’uno, questa nuova teologia attenta alla vita, con la lettura della presenza di Dio nei “segni dei tempi”. È questo l’ambito verso il quale il credente deve volgere lo sguardo. Il tema della lettura teologica, infatti, sono «gli avvenimenti» della storia, in particolare, le «attese, le aspirazioni, d’indole spesso drammatiche» (GS 4,11), «i vari modi di parlare del nostro tempo» (GS 44).
Il primo augurio per Natale diventa allora quello di saper leggere i segni dei tempi, di avere quello sguardo sapiente e attento, necessario anche per la seconda tappa del cammino sinodale dedicato al discernimento. Nel racconto di Natale tutti coloro che sono coinvolti operano un concreto discernimento: Maria e Giuseppe dicono il loro “sì”, i pastori si mettono in cammino, i Magi si lasciano guidare dalla stella oltrepassando Gerusalemme e «poi, avvertiti in sogno da un angelo, facendo ritorno da un’altra parte».
All’augurio di saper leggere i segni dei tempi si accompagna allora l’invito ad essere, come Maria, capaci di comporre dentro di noi in unità i molteplici messaggi che riceviamo. A essere capaci, come Giuseppe, di non fermarci di fronte alle difficoltà – né quelle della comprensione di disegni che superano ogni ovvietà, né quelle del coraggio di fronte ai prepotenti – e quindi ad avere fiducia in Dio. A essere capaci, come i pastori, a non fermarsi all’annuncio ricevuto, ma a mettersi in cammino verso le novità di Dio e compiere l’adorazione nei “bassifondi della storia”. A essere capaci, come i Magi, di ricerche sapienti, che decifrano, non solo gli astri, ma le intenzioni degli uomini, le intenzioni corrotte del Palazzo di Erode che si contrappongono alle intenzioni trasparenti di Maria e di Giuseppe. C’è sempre un “sottosuolo” (F. Dostoevskij) nella vita di tutti. Queste figure sono per noi esemplari, con lo scopo di arrivare alla meta di una conoscenza affettiva ed effettiva di un Dio che, facendosi bambino, accorcia definitivamente ogni distanza e si fa incontro a noi in tutti i sofferenti, i piccoli, i migranti, i carcerati, gli affamanti e gli assetati, le vittime di ingiustizia che bussano al nostro cuore.

Far fiorire forme nuove di umanità, grazie alla “sinodalità”

Cerchiamo allora Dio nel “chiaroscuro della storia” e scopriamo come la sua azione, se trova in noi collaborazione e accoglienza, può far fiorire continuamente forme nuove di umanità.
Si tratta di una decisa volontà di Dio, che si è rivelata e si va attuando con l’Incarnazione del Figlio. M.-D. Chenu, uno dei teologi che tanto peso ha avuto sul Vaticano II, notava: «Se la Parola di Dio è manifestata e testimoniata da “segni”, è oggi che la Parola di Dio parla di una storia continua. L’atto liberatore e rivelatore di Dio, in un solo movimento, si iscrive nella storia degli uomini e vi apporta la sua verità».
Siamo coinvolti, però, non solo personalmente ma insieme, tutti abilitati e sollecitati dallo Spirito, camminando insieme, camminando sinodalmente. Il soggetto della lettura dei «segni dei tempi», allora, è l’intero popolo di Dio (GS 4, EV 1,1324; 44, EV 1,1461) o la chiesa intera (GS 11, EV 1,1352). S. Giovanni nella prima lettera indica nell’Unzione la ragione di questa capacità: «Voi avete l’unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità [… ] E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna» (1 Gv 2, 20. 27).
Esercitate questa unzione – così generosa nel popolo santo di Dio- “camminando insieme” ed esaltando tutte le forme della comunione, oltre ogni individualismo egoistico e narcisistico, come oltre ogni clericalismo, latente ed esplicito nella concezione feudale della parrocchia, sempre più burocratica e autoreferenziale. Per rendere missionarie le parrocchie, bisognerà “sognare ad occhi aperti” la realizzazione delle “comunità di parrocchie”, vera speranza per il futuro di una evangelizzazione testimoniale della carità.
Il Concilio richiama la particolare funzione di servizio dei pastori e dei teologi (GS 44, EV 1,1461), ma anche quella dei laici, che hanno il compito di «promuovere con sollecitudine e trasformare in sincero e autentico affetto fraterno» «il crescente e inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli», che «tra i segni del nostro tempo è degno di particolare menzione» (AA 14, EV 1, 967).
Ecco il processo sinodale, ecco anche gli ambiti del cammino sinodale delle Chiese d’Italia e la proposta di avviare i “cantieri di Betania” come laboratori per comprendere, insieme ai segni dei tempi, i linguaggi di oggi, e per rinnovare e rinsaldare il tessuto relazionale delle comunità, coltivare la formazione e il pensare, così da offrire a tutti l’unica testimonianza credibile, quella dell’amore. Come dice l’apostolo, infatti, «chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv 4,8).

Viviamo questo Natale come un tempo di grazie e di speranza.

Per l’intercessione della Madonna della Scala, di San Corrado Confalonieri e di tutti i santi patroni, speriamo che – attingendo forza alla sostanza del Natale – possiamo con rinnovato vigore dare tutti un contributo per continuare questa meravigliosa Pentecoste del nostro tempo che è stato il Concilio Vaticano II, nella vita della Chiesa di Noto guidata dal suo nuovo pastore.
Chiedo anche preghiere per il mio servizio per una teologia che si rapporti al popolo di Dio, alla vita e alla storia.
Auguri, allora, di un Natale sereno e vero, ma pure profondo e intenso, per essere sempre più Chiesa. Riconoscendo il suo Signore nei piccoli e nei segni dei tempi, la Chiesa sappia dire con coerenza e trasparenza del Vangelo, che i poveri li vuole ospitare a mensa: riunendoci tutti alla mensa della Parola e dell’eucaristia, ma anche alla mensa della fraternità, della convivialità delle differenze – come amava sperare don Tonino Bello quanto all’accoglienza dei migranti – e del rispetto del creato nostra Casa comune.
Il Signore benedica i futuri passi della Chiesa di Noto nella testimonianza del Vangelo. Vi terrò tutti presenti nella mia umile preghiera quotidiana. All’inizio del mio ministero, vi raggiunsi con quella manifestazione di affetto che mi usci spontanea, mentre scrivevo di notte il mio primo messaggio per voi: “non vi conosco e già vi amo”. Ora, dopo avervi conosciuti in questi quattordici anni, posso dirvi che – raccogliendo tutto nello sguardo del Padre misericordioso- “ho tanti motivi per amarvi ancor di più”. Vi abbraccio nel Signore. Vi voglio bene,

+Antonio Staglianò