Carissimi confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi e fedeli tutti, con la Santa Messa «nella Cena del Signore», ha inizio il Triduo Pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, che è il culmine di tutto l’anno liturgico e che si apre con la commemorazione dell’Ultima Cena. Questa sera ricordiamo tutti i cari defunti delle famiglie dei portatori di San Corrado e dei cilii. Il Signore li accolga nella gloria del Paradiso.
Ci siamo proprio tutti in quella «stanza al piano superiore». Pietro, Giacomo, Giovanni, Bartolomeo, Giuda ieri, …Corrado, Guglielmo, Salvatore, Carlo, Luigi, Giuseppe oggi! Il cristiano crede nella religione della Presenza. E Lui è qui. Ora e per sempre. Con noi!
Gesù, la vigilia della sua passione, offrì al Padre il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandoli in nutrimento agli Apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria. E noi ora celebriamo questo memoriale. Come in ogni messa!
La pagina evangelica di questa sera, ricordando la lavanda dei piedi, ci permette di contemplare l’Eucaristia sotto un’altra prospettiva. Gesù – come un servo – lava i piedi di Simon Pietro e degli altri undici discepoli. Con questo gesto profetico, Egli esprime il senso della sua vita e della sua passione. «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45).
Con un gesto sorprendente e umile, il Maestro vuole rendere visibile per sempre la logica che ha guidato tutta la sua esistenza e che costituisce la sua dignità di Figlio di Dio. Il Padre si conosce, gli si appartiene e lo si testimonia amando, cioè servendo e donandosi. Ogni figlio, come Gesù è chiamato a essere immagine e trasparenza di Dio che ama, serve e si dona.
La lavanda dei piedi che la Chiesa rievoca nel cuore del giovedì santo rappresenta la lezione che ferialmente ogni comunità, a cominciare da ogni famiglia cristiana, può apprendere e realizzare: il servizio umile e concreto è la via dell’amore e della fede.
Ogni volta che viviamo il memoriale del Signore nell’Eucaristia facciamo comunione con Cristo Servo per obbedire al suo comandamento, quello di amarci come Lui ci ha amato. Se ci accostiamo alla santa Comunione senza essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni agli altri, noi non riconosciamo il Corpo del Signore.
«Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Gesù ci ha amato. Gesù ci ama. Senza limiti, sempre, sino alla fine. L’amore di Gesù per noi non conosce limiti: sempre di più, sempre di più. Non si stanca di amare. Nessuno. Ama tutti noi, al punto da dare la vita per noi. Sì, dare la vita per noi, per tutti noi, dare la vita per ognuno di noi. Ognuno. Ha dato la vita per te, per me, per lui… per ognuno. L’amore di Gesù non delude mai, perché Lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci. Questa è la prima cosa che volevo dirvi: Gesù ci ha amato sino alla fine.
E poi un gesto inaudito che i discepoli non capivano: lavare i piedi. In quel tempo era consuetudine lavare i piedi prima della consumazione dei pasti. Ma questo non lo faceva il padrone di casa, lo facevano gli schiavi. E Gesù lava i piedi dei discepoli e per questo dice: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci – dice a Pietro –, lo capirai dopo» (Gv 13,7).
La minuziosità con cui Giovanni narra la lavanda dei piedi, soffermandosi sui minimi particolari, mette in evidenza che non si tratta soltanto di un atto di umiltà. Siamo davanti ad una rivelazione. Con il suo gesto, Gesù rende visibile la logica – di amore, di servizio, di dono – che ha guidato tutta la sua esistenza. La lavanda dei piedi rivela il volto di Dio che Egli è venuto a mostrare. È un atto sconvolgente, perché ci rivela un Dio impensabile per i nostri parametri, tanto umani quanto religiosi: Dio serve l’uomo. La lavanda dei piedi mostra che non il potere, né il comandare, ma il servire è legge e azione divina.
E io laverò oggi i vostri piedi. In questi dodici fratelli ci siete tutti, proprio tutti. C’è tutta la nostra Chiesa. In questo gesto contemplo la mia presenza di pastore e guida di questa comunità che voglio servire con tutto me stesso, con la mia stessa vita, fino alla fine. Lavando i piedi ai discepoli, Gesù apre il rito alla vita, ci dice che occorre andare oltre il mangiare il pane e il bere il vino.
«Capite quello che ho fatto per voi?» (Gv 13,12). Forse, carissimi, stiamo vivendo una fase della storia in cui questa domanda torna a prendere un rilievo particolare e a scuoterci profondamente. È fondamentale, infatti, celebrare il memoriale e trasmettere fedelmente anche noi quello che abbiamo ricevuto. Altrettanto, importante è però lo stile di rapporti che esso intende promuovere, la qualità di dedizione fraterna, di cura e di attenzione gli uni per gli altri, che ne devono scaturire.
Il gesto della lavanda dei piedi, compiuto da Cristo nell’Ultima Cena, mostra come l’umiltà stia alla base dell’amore, tant’è che Egli afferma: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13, 14-15). Proprio perché Gesù è Signore e Maestro, il Suo esempio sprona i cristiani a farne una preziosa regola per la loro esistenza. San Giovanni Paolo II ha affermato più volte come il servizio offerto da Cristo, elemento necessario per condurre l’uomo a Dio, nasca dall’Amore e quindi da Dio stesso.
In Pastores gregis scrive: «Quello di Gesù è un gesto d’amore compiuto nel contesto dell’istituzione dell’Eucaristia e nella chiara prospettiva della passione e della morte. È un gesto rivelatore del senso dell’Incarnazione, ma, ancora di più, dell’essenza stessa di Dio. Dio è amore, e per questo ha assunto la condizione di servo: Dio si è posto a servizio dell’uomo per portare l’uomo alla piena comunione con Lui».
Lavando i piedi, Cristo si fa immagine e trasparenza del volto amorevole e benevolo del Padre. Ci rivela che Dio è Amore. Pertanto il cristiano seguendo questo esempio si fa testimone dell’amore sponsale di Cristo.
Colui che ama ha sempre lo sguardo proteso all’orizzonte. Amore in movimento. Non chiude mai gli occhi sulla realtà che lo circonda; è sempre attento e vigile sulle vicende degli uomini impegnati a scrivere la propria avventura non senza preoccupazioni o sofferenze. E lì sulla strada c’è l’uomo, «imago Dei». C’è da spalancare le porte del proprio cuore e così giungere ad aver compassione degli altri provando ad amare come Dio ama, a perdonare come Lui ci ha insegnato. «Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la luce della tua parola per confortare gli affaticati e gli oppressi: fa’ che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti» così recita la liturgia nella Preghiera Eucaristica V.
Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca. Tocca l’intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain. Toccare ci mette alla prova! Nel fare l’elemosina manteniamo la distanza di sicurezza, senza rivolgere un saluto o anche una timida parola. E il povero rimane un problema anziché diventare una fessura d’infinito. La misericordia è anche un fatto di compassione e di mani.
Così scriveva la grande poetessa e mistica francese Madeleine Delbrêl (1904-1964): «Là dove Dio arretra, il male cresce e si prolifera». E quanto male regna in mezzo a noi! Perchè abbiamo messo Dio fuori dalla nostra vita. Lo abbiamo escluso dai nostri giochi meschini e pusillanimi. In nome di cosa poi…
Che il Signore ci conceda di accettare l’umile gesto della lavanda dei piedi. Perché solo chi ha il cuore in Dio riesce a lavare i piedi degli altri! Il Signore ci conceda di modificare la nostra immagine di Dio e di accogliere il suo amore: un amore che non dobbiamo meritare perché ci previene, un amore che non chiede neppure reciprocità, ma chiede solo di essere accolto e creduto. Perché noi cristiani dobbiamo essere, secondo la volontà di Gesù, nient’altro che quelli che credono all’amore (cfr. 1Gv 4,16).
Sono certo che una Chiesa, aperta all’azione dello Spirito e capace di declinare quotidianamente la comunione in corresponsabilità, possa divenire lievito di fermenti positivi anche nella prassi della odierna società. Dinanzi al fallimento e al vuoto degli individualismi, l’unica risposta carica di senso che rimane a questo nostro mondo è la strada della comunione.
Vivere la comunità ecclesiale come luogo di corresponsabilità può e deve divenire segno profetico di una ritrovata capacità comunicativa e dialogica in un mondo sempre più arenato in forme di vita condizionate da atteggiamenti compromissori e funzionali, non orientati alla verità. Solo una comunità palestra di relazioni condivise diviene capace di umanità, sincera e seduttiva, e assume il volto della speranza.
Il Signore passa anche in questa notte presso le nostre case. È vivo più che mai il Suo desiderio di trasmetterci la potenza della sua vita donata senza riserve, nella libertà e per amore.
Possiamo esserne certi: è Lui che, invisibilmente ma realmente, è qui, in ginocchio davanti a noi, per perdonarci, per cancellare i nostri rinnegamenti, per ricuperarci dalle nostre infedeltà, per chiederci ancora una volta di lasciarci finalmente amare da Lui.