Saluto voi Eccellentissimi confratelli nell’episcopato, S. Em. il Cardinale Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo, S.E. Mons. Rosario Gisana, Vescovo di Piazza Armerina, S.E. Mons. Angelo Giurdanella, Vescovo di Mazara del Vallo, S.E. Mons. Giorgio Demetrio Gallaro, Eparca emerito di Piana degli Albanesi, S.E. Mons. Davide Carbonaro, Arcivescovo di Potenza, figli di questa amabilissima Chiesa, S.E. Mons. Giuseppe La Placa, Vescovo di Ragusa, Mons. Sebastiano Amenta, Vicario Generale di Siracusa. Ringrazio gli eccellentissimi S.E. Mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, S.E. Mons. Melchisédech Sikuli Paluku, vescovo di Butembo-Beni, S.E. Mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, S.E. Mons. Francesco Lomanto, arcivescovo metropolita di Siracusa, gli emeriti S.E Mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e S.E. Mons. Antonio Staglianò, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia per la vicinanza mostrata alla nostra Chiesa in questi giorni e impossibilitati a partecipare alla celebrazione odierna. Il nostro grazie al Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, al Cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Cei e a S.E. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della Cei.
Carissimi fratelli e sorelle, carissimi familiari di Mons. Malandrino, amati sacerdoti della Diocesi di Noto e Acireale, carissimo Mons. Ignazio Petriglieri, Vicario Generale, diaconi, religiosi, religiose, seminaristi, Dott. Corrado Figura, Sindaco della Città di Noto, sindaci dei comuni della Diocesi, autorità civili e militari, carissimi portatori di San Corrado e dei Cilii, della Confraternita di Maria SS. Scala del Paradiso, Ordine equestre del Santo Sepolcro e Associazioni di volontariato, ci ritroviamo nella Chiesa Cattedrale per dare il saluto cristiano al nostro amatissimo Padre Vescovo Giuseppe, Pastore e figlio diletto della Santa Chiesa che vive a Noto, che il Signore ha chiamato a Se nella gloria e nella luce della Liturgia celeste il 3 agosto scorso, solennità di Maria Santissima Scala del Paradiso, patrona della Diocesi.
Il 29 agosto 1998, giorno della presa di possesso canonico della Diocesi di Noto, Mons. Malandrino fu accolto ai piedi della scalinata della Cattedrale dall’Arca di San Corrado e dal Simulacro della Madonna della Scala. La messa fu celebrata allo Stadio Comunale alla presenza di oltre cinquemila persone.
Accade anche oggi. Ai Santi Patroni, San Corrado e la Vergine Maria Scala del Paradiso chiediamo che intercedano per la sua anima, perché il Signore, che lui ha servito e amato nella sua lunga giornata terrena, possa accoglierlo nella gloria degli angeli e dei santi.
Eleviamo un ringraziamento corale all’Onnipotente per il dono di Mons. Malandrino «nella» e «per» la chiesa di Noto, per la profonda passione, forza e parresia evangelica con cui ha annunciato la Parola del Signore.
Entrare nella sua vita di sacerdote e vescovo, di sposo, padre e figlio di questa Chiesa significa contemplare il mistero di Dio che chiama ad ascoltare la sua parola, a prendere il largo per una missione senza confini, senza sosta, missione capillare nei luoghi di vita quotidiana. Stagione missionaria che mons. Malandrino visse riuscendo a coinvolgere sacerdoti, laici, giovani e tutte le realtà parrocchiali e associative condividendo ansie e preoccupazioni, slanci generosi e copiosi frutti di fede autentica.
Da attento osservatore ed estimatore del Concilio Vaticano II non esitò a scegliere come motto episcopale l’incipit della Costituzione sulla Parola di Dio: Dei Verbum audiens. In ascolto di quella Parola, la Parola di vita eterna, ha esercitato il santo ministero per la lode di Dio e il bene della Chiesa.
Il Verbo di Dio si fa carne e la Parola del Signore deve sostenere i passi di uomini e donne che sperimentano la fatica e le soste del proprio pellegrinaggio. Mons. Malandrino fu un uomo in cammino e, nel farsi, viandante di vangelo vivo, è riuscito a condividere le fatiche e le gioie, le sofferenze e le speranze di tanti fratelli e sorelle che ha incontrato nella sua giornata terrena.
Di fede robusta, limpida e cristallina, fu fortemente fedele a Cristo e alla Chiesa. Questa fede, sincera e schietta l’ha tradotta in uno zelo pastorale instancabile. La sua parola, forte ed incisiva, partiva da Cristo e a Lui faceva ritorno, Pastore buono, Maestro e Salvatore del mondo.
L’amore e l’attenzione verso i sacerdoti lo manifestava in una vicinanza affettiva unica. Se con la fermezza della sua parola andava oltre, riusciva con vera umiltà a chiedere scusa. Come angelo custode accompagnava i passi dei sacerdoti attraversati dalla stagione del dolore. Curò la formazione spirituale e culturale del clero, sempre presente agli incontri di presbiterio.
La promozione del laicato fu una costante del suo episcopato. Figlio autentico del Concilio Ecumenico Vaticano II si adoperò perché nascesse la Consulta delle aggregazioni laicali. Curò e promosse a livello diocesano, regionale e nazionale l’Azione Cattolica e si aprì a quei Gruppi e Movimenti che si affacciavano e operavano nella Chiesa. Gli annuali Convegni Pastorali Diocesani, ad Acireale e a Noto, le continue esortazioni, la visita nelle comunità parrocchiali, i congressi eucaristici, parrocchiali, vicariali e diocesani miravano alla vera promozione dei laici, che lui sognava attivi, di preghiera, intelligenti e collaborativi in forza del Santo Battesimo. Fu molto vicino ai giovani: a tal punto che a partire dal 2005, anno della morte di San Giovanni Paolo II, volle che la Giornata Diocesana dei Giovani si celebrasse in grande stile: «I giovani salveranno i giovani» amava ripetere con frequenza.
L’attenzione al mondo dei poveri e delle molteplici dimensioni della carità, lo portarono a realizzare molte opere. Innumerevoli tra i laici e i sacerdoti di Acireale e Noto, le testimonianze di interventi caritativi silenziosi fatti con molta discrezione. «Tieni questo: da parte di un benefattore anonimo». Era lui il benefattore anonimo! Vicino a tutti fu sempre pronto a collaborare con le pubbliche istituzioni. Ma pronto ad alzare la voce energicamente quando vedeva calpestati i diritti umani, dei poveri soprattutto.
Riuscì a dare impulso missionario alla comunità diocesana di Noto con la Lettera Pastorale del 1999 scritta per la Missione popolare diocesana «Eccomi, manda me! (Is,6,8), evidenziando l’importanza e la centralità delle parrocchie: «La missione esige il superamento di quei pregiudizi che escludono gli altri dall’amore di Dio. La missione d’Israele d’Israele assume il volto della profezia, di quell’annuncio che dichiara con determinatezza la vicinanza di Jahvè, quale Dio di tutti» (pag.14); invitava sacerdoti, suore, giovani, adulti e fedeli laici a far propria la lezione dei profeti, i quali erano la «bocca di Dio» (Ger 15,19), uomini che credevano e vivevano della parola di Dio e che pagavano di persona con la vita, e con la consapevolezza di essere peccatori tra i peccatori e “dalle labbra impure”(Is 6,5)».
Con uno stile, chiaro e semplice definì le motivazioni, i luoghi, il contenuto e la modalità della missione evangelizzatrice e riprendendo il magistero di Paolo VI aiutò a prendere coscienza del fatto che esiste «un doloroso distacco e una frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura, tra le verità che si credono e si professano e il modo di vivere», (p.29-30) e altresì, del fatto che «l’inarrestabile processo di secolarizzazione ha messo in crisi la tradizionale scala di valori cristiani che per secoli ha sorretto la nostra società e cultura» (pag. 30).
Sull’atteggiamento di fondo che dovevano assumere le comunità cristiane e i singoli credenti, per annunciare il Vangelo in modo credibile e convincente affermava che:
«La condizione fondamentale di credibilità è la fede convinta e gioiosa del missionario. La missione chiede agli evangelizzatori e animatori di essere cristiani entusiasti della loro fede, “innamorati” di Cristo: un amore che matura nell’ascolto assiduo della Parola, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia e nella testimonianza della carità.
Una seconda attitudine da maturare è la disponibilità a mettersi in ascolto delle persone con uno stile di “compagnia”, cioè con lo stile con cui Gesù si è messo al fianco dei discepoli di Emmaus o si è avvicinato alla Samaritana: con seria e rispettosa attenzione al vissuto delle persone e partendo dai loro concreti problemi.
La missione chiede di valorizzare tutte le risorse che ci sono nel popolo di Dio e di scoprire (e leggere) i “segni dei tempi”: ciò che Dio compie nel nostro tempo e la risposta che vuole da noi. Non possiamo aver paura di “stare” nel mondo di oggi: il Regno di Dio è già impiantato in esso.
Come spesso e opportunamente ripetiamo, il messaggio evangelico deve essere inculturato, cioè mediato. È questo anche il piano pastorale che tutta la Chiesa italiana si è proposto per i prossimi anni. Attraverso la Missione popolare la Chiesa netina è chiamata a trasmettere lo stesso messaggio che annunciavano gli Apostoli, ma con uno sforzo di inculturazione che tenga conto del tempo, dei luoghi e della storia del popolo che è in questa nostra Diocesi.
Occorre una nuova mediazione che da una parte non perda la originalità e la freschezza del Kerigma e, dall’altra, usi un linguaggio che parli all’uomo del nostro tempo: difatti “la Parola si è incarnata e ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1, 14).
Infine (ma è tutt’altro che l’ultima cosa!), se non vogliamo perdere tempo e fatica e non vogliamo allontanarci dalla “diritta via”, è indispensabile per la buona riuscita di ogni Missione popolare seguire le orme di Gesù “il quale passò beneficando e risanando tutti” (At 10, 38).
La Chiesa di Noto sceglie di annunciare e testimoniare il Vangelo “senza portare bastoni o bisacce” (Lc 9, 3), usando mezzi poveri, vigilando sulla tentazione del potere e della gloria umana, cercando sempre la coerenza degli strumenti con il fine e lo stile evangelici;
La Chiesa di Noto sa di non aver altro da annunciare se non Gesù Crocifisso e di non possedere, quindi, soluzioni proprie e definitive per i problemi umani, ma di doverle cercare insieme a tutti immergendosi nella storia;
La Chiesa di Noto decide di ripensarsi a partire dai poveri; per questo si impegna a superare le distanze dal mondo della sofferenza e dell’emarginazione e, non limitandosi alla semplice assistenza e beneficenza, a passare all’accoglienza e alla condivisione. In poche parole, come già per il Sinodo, la nostra Missione popolare diocesana dovrà avere uno “stile sinodale” e un forte dinamismo evangelico e profetico». (pag. 40-42)
Esortò a prendere atto che «se il “fuoco della missione” è spento o langue, tutta la vita di una comunità parrocchiale è spenta, o quasi, e perde senso; allora prende il sopravvento il rimpianto, la conservazione, il liturgismo… E il distacco dal territorio, e dalla gente in genere, si ingigantisce a dismisura.
Pertanto, la missione o è di tutti i giorni e di tutti i membri, o non è missione: perché non è questione di “facciata”, ma di vita. Purtroppo, abbiamo dei vuoti tremendi, eppure spesso ci ostiniamo a portarci ancora dietro tanti pesi inutili.
Forti, nel mandato del Risorto e nell’assicurazione della sua permanente presenza in mezzo a noi, non vale proprio la pena di perdere troppo tempo, con relativo scoraggiamento, nella detestazione dei tempi di oggi e di tutte le sue brutture, ma occorre toccare, e far toccare, con mano l’esistenza di parrocchie, famiglie e persone che sanno comunicare la bellezza di spiegare le proprie vele al soffio dello Spirito e di andare in mare aperto. Come a Pietro, anche a ciascuno di noi, il Signore Gesù oggi ci ripete: «prendi il largo – duc in altum – non temere; sarai pescatore di uomini» (Lc 5, 4, 10).(pag.33).
Mons. Malandrino ha sempre contemplato la parrocchia come spazio di evangelizzazione e crescita di fede per tutti. Senza distinzione alcuna. Scriveva: «La Parrocchia, molto opportunamente definita da Papa Giovanni XXIII “la fontana del villaggio”, porta l’annuncio del Vangelo innanzitutto con la sua vita di comunione e con la testimonianza di servizio alle persone che sono nel territorio, nelle varie forme: liturgico-sacramentali, catechetiche, caritative. Essa, inoltre, porta l’annuncio del Vangelo in modo implicito o esplicito, attraverso tutti i suoi membri. Pertanto, ogni Parrocchia è costantemente “sollecitata a passare dalla pastorale della conservazione all’audacia dello slancio missionario, cercando il suo baricentro fuori di sé, tra i fratelli della soglia, fuori le mura». (Dalla Lettera Pastorale sulla missione permanente “Mi sarete testimoni” – 2003)
Da queste parole emerge lo zelo e l’obbedienza al mandato di Cristo di prendere il largo con cui Mons. Malandrino ha vissuto il suo essere discepolo del Maestro e successore degli apostoli. La Parola del Signore al di sopra di tutto.
Le sollecitazioni e le indicazioni pastorali sulla natura missionaria della Chiesa – più che mai attuali e di cui dobbiamo far tesoro – rimangono pietre miliari nella storia di questa comunità diocesana che si accinge a presentare i nuovi orientamenti pastorali.
Ha annunciato la Parola con il fascino e la passione di chi ha voluto trasmettere un tesoro prezioso nella consapevolezza di essere vaso di creta, fragile ma fiducioso discepolo del Signore sostenuto dalla grazia di Dio. Cristo fu il suo tutto, al punto che tutta la sua vita è stata innestata in Lui e ha detto solo di Lui.
Facendosi compagno di strada, ci ha parlato di vita con la sua vita, con il suo amare concretamente, facendosi padre e fratello di tutti. Con il presbiterio di Acireale e Noto ha vissuto sempre in unità, con tutti. Ha costruito l’unità con tutto se stesso.
Uomo di grande preghiera e di vera lungimiranza pastorale, umano e costruttore di vere relazioni. Uomo della consolazione e con gli occhi pieni di speranza e mitezza suscitava il fascino che proviene dagli uomini di Dio.
Con atteggiamento paterno amava visitare in forma privata molti ammalati. E sul Servo di Dio Nino Baglieri ebbe a dire: «Ogni incontro con il carissimo Nino è stato per me, come per tutti, una forte e viva esperienza di edificazione e un potente – nella sua dolcezza – sprone alla paziente e generosa donazione. La mia presenza conferiva a lui ogni volta immensa gioia perché, oltre l’affetto dell’amico che veniva a visitarlo, vi percepiva la comunione ecclesiale. È ovvio che quanto ricevevo da lui era sempre molto di più di quel poco che potevo donargli».
Ha saputo abbracciare la stagione della croce e della sofferenza, confortato dalla vicinanza dei confratelli e fedeli laici, che egli ha tanto amato e che fino all’ultimo lo hanno servito con cura. Un grazie particolare a Padre Gianpaolo Bonanno, direttore dell’Oasi “Maria SS. Assunta” di Aci Sant’Antonio, angelo custode di Mons. Malandrino. Un grazie agli altri confratelli che lo hanno preceduto nella direzione dell’Opera Diocesana.
Unito alla Passione di Cristo, mediante la prova della malattia, affrontata nella forza della speranza cristiana, ha dato alla Chiesa di Acireale e di Noto una luminosa testimonianza nel tempo della sofferenza, abbandonandosi fiduciosamente nelle mani di Dio e alla materna protezione della Vergine Maria, Scala del Paradiso, Assunta in Cielo.
Giuseppe Vescovo pachinese, uomo vero, grande lavoratore nella vigna del Signore e testimone del Vangelo, pellegrino ora nel viaggio verso il cielo, hai saputo condividere l’umanità con tutti in una sorta di fratellanza universale. Hai saputo amare col cuore di Dio, come il buon samaritano che si è chinato sulle ferite facendosi giumento di carità.
Ora vivi la pienezza dell’incontro con l’Onnipotente, pienezza di luce e di vita. Fratelli e sorelle preghiamo perché il Signore delle misericordie non tenga conto delle sue fragilità.
A nome di tutti voglio dirti «grazie fratello Giuseppe» per ogni tuo insegnamento di vita, per ogni tuo gesto d’amore, per la forza, la tenacia e l’amore con cui hai seguito i lavori della rinascita di questo augusto tempio che da oggi ti accoglierà in attesa della resurrezione finale. Ti sei speso senza riserve perché dalle macerie rinascesse nuovamente, immagine di quella comunità fatta di pietre vive che hai servito da Sposo, Capo, Pastore, Sacerdote e Figlio.
Così scrivevi nella Lettera Pastorale del 2003 in preparazione della visita pastorale «Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura»
«Il vescovo come Sposo, dovrà amarla, restarle fedele, spendersi interamente per lei.
Come Capo, dovrà servirla nell’esempio di Cristo e dovrà custodirla nell’unità e nell’integrità della fede, intervenendo con cura premurosa, ma anche con autorità sui membri che possono essere causa di deviazioni o di divisioni.
Come Pastore, la guiderà con la Parola e i Sacramenti.
Come Sacerdote, medierà il misterioso dialogo di amore tra essa e il suo Signore Gesù.
Come figlio della Chiesa, il Vescovo è fratello tra fratelli: non gli è dato perciò di “spadroneggiare” su di essi, ma di avere cure fraterne».
Grazie fratello Giuseppe. Prega il Signore per tutti noi!
Sia lodato Gesù Cristo!