3. PopTheology e Sanremo 2019. L’amore che vince la morte ed è musica che resta, a Sanremo 2019

 Amore fa sempre rima con cuore: non c’è amore se non c’è cuore. Non sempre si può dire, però, viceversa: cuore non fa sempre rima con amore, spesso anche con terrore, con dolore, con orrore, con livore e si potrebbe continuare all’infinito. Uno dei grandi temi di Sanremo 2019 è la consapevolezza della fragilità, mista però alla grandezza e al potere di potercela fare a riscattarsi: “sono forte si, ma anche fragile” (Elisa in Fragile). Un po’ come Pascal, le canzoni sanno dell’uomo come “canna sbattuta dal vento” e però “canna pensante”. Così, Paola Turci, usando un’altra analogia: “siamo fiamme in mezzo al vento, fragili, ma sempre in verticale”, in L’ultimo ostacolo. Nel bel mezzo del diluvio universale “riusciremo a respirare”. La storia dell’uomo è un continuo superamento di ostacoli (Fichte). L’ultimo è il più tremendo, ha a che fare con la serietà della morte e del dolore del distacco per la perdita di una persona cara. Ha, tuttavia, anche una bellezza collaterale: “è bellissimo pensare di cadere insieme”. “Insieme” è parola magica. I volti umani si gridano reciprocamente come un grande appello d’amore: non lasciarmi morire da solo; stammi vicino, resta insieme a me nel mio dolore. Amare è la forma più vera per “negare la morte”, così la morte spinge a pensare l’amore e urge il canto dell’amore quale esigenza dell’anima, come per Francesco Renga in Aspetto che torni: “cerco ancora nei miei occhi il sorriso di mia madre, mi manca da trent’anni e vorrei dirle tante cose”. Aspetta le sue braccia, guardando il cielo e sognando di volare. La relazione si fa più intensa e profonda, perché non è più sospesa alla precarietà di un “mondo che si perde” e tocca l’immensità di “un mare dentro negli esseri umani”, poiché “c’è un universo che mi riempie le mani”. La morte rende definitiva (più pura) la relazione con la persona amata, perché la stabilisce nel sempre di un amore che dura ed è creativo, vivificante: “tu rimani e sei l’ossigeno che cerco quando resto senza fiato, il coraggio che mi serve quando sono disperato; la sorpresa che ogni volta mi fa sentire vivo”. La perdita di una persona importante costringe all’essenziale e a una vita autentica, oltre ogni chiacchiera, come dice la Scrittura: “aiutami a contare i miei giorni e giungerò alla sapienza del cuore”. Perciò, Enrico Nigiotti in Nonno Hollywood vuole stare con i piedi per terra e ricordare il nonno, con la decisione ferma: “mi tengo addosso i tuoi consigli”. La sofferenza per la perdita non passa, nonostante “dicono che con il tempo tutto quanto passa”. E, in verità, non deve passare, perché fino a quando dura quel dolore della morte, la persona amata resta viva e custodisce i passi incerti di chi vive in una realtà artefatta, troppo virtuale, come una gabbia che riduce al minimo la libertà dei movimenti: “siamo ostaggi di una rete che non prende pesci, prende noi”. “Nonno mi hai lascito dentro ad un mondo a pile; centri commerciali al posto del cortile”, in una complessità vertiginosa che disorienta e disumanizza la vita, divenuta “un idolo da scaricare o un ponte che può crollare”. Allora il ricordo diventa memoria viva, l’assenza diventa una presenza che orienta all’essenziale di gesti semplici e ordinari come “il sorridere di un giorno che non vale niente” o “quanto è bello bere vino” e l’attaccamento alla terra, alla natura: “quanto è bella la campagna”. Si perché “la ricchezza sta nel semplice” e c’è proprio questo da capire, magari sognando mentre si è ancora svegli: “nonno sogno sempre prima di dormire”. I “sogni ad occhi aperti” (E. Bloch) sono quelli che meglio di tutti manifestano l’utopia dell’amore che pretende futuro e stabilità. È il “per sempre” dell’amore che come melodia non passa mai, ti bacia l’anima ed è “musica vera che resta”. Così Il Volo canta l’infinito nel piccolo, l’eterno nel caduco: “io ci sarò da ora e per sempre”. Infatti, “non siamo un soffio di vento, non siamo un momento, siamo sole in un giorno di pioggia”. Tra fragilità e resilienza, “fragili e bellissimi nei nostri sbagli, in fondo siamo storie con mille dettagli” (E. Nigiotti) e se “la vita è una poesia di storie uniche”, per i Negrita in I ragazzi stanno bene la vita non è tempo per accontentarsi, per abituarsi e lasciarsi abbandonare. Non è tempo per omologarsi, per “camminare tutti con la testa ormai piegata”. È, invece, forza per “scalare le montagne” ed esplodere con “il fuoco nelle vene”. La pretesa di un “sogno da sognare” è desiderio di trascendimento e non aver paura di osare per essere liberi. Sognare, volare, sono metafore della tensione umana che non vede il confine, né nemmeno l’orizzonte, perché vuole spaziare e andare sempre oltre. Ecco una bella domanda: “Tu dove vuoi volare?” (Patty Pravo con Briga, in Un po’ come la vita). “Ti immagini se cominciassimo a volare, tra le montagne e il mare; dimmi dove vorresti andare” (Simone Cristicchi, in Abbi cura di me). Qual è la meta di questo viaggio verso l’alto o anche verso le profondità? Qual è la via da battere e l’energia che muove la vita? La risposta definitiva è quella di Cristicchi: “l’amore è l’unica strada, è l’unico motore. È la scintilla divina che custodisci nel cuore”. Ricorda quella che diede tanto tempo fa il sommo Poeta: “l’amor che muove il sole e le altre stelle; sempre l’amore che queta questo cielo” (Dante).