Delegazione diocesana a Butembo-Beni. Diario di viaggio/5

Stamani abbiamo celebrato Messa in italiano nella cappella del vescovado, ricordando il grande animatore del gemellaggio don Salvatore Giordanella nel secondo anniversario della morte, e suor Maria Letizia delle Benedettine di Modica salita al cielo lunedì.
Abbiamo pregato anche per Alfio Iacono e Manuel D’Amato, morti in giovane età, figlio e nipote di Giorgio e Carlo, due membri della nostra delegazione.
Subito dopo colazione ci siamo recati sulla collina dell’Horizon fuori Butembo, dove sono state costruite nel tempo le cliniche universitarie frutto del gemellaggio tra le diocesi di Noto e Butembo Beni: in ordine cronologico, il Centro nutrizionale e Clinica pediatrica Giorgio Cerruto, la Clinica ginecologica Grazia Minicuccio, il Centro cardiologico Pino Staglianò.
È veramente difficile esprimere i sentimenti e le sensazioni ogni volta che si viene qui. Da una parte la gioia certamente di veder realizzata un’opera concreta della carità; dall’altra parte lo smarrimento nel constatare come ciò che viene realizzato è solo una goccia d’acqua in un deserto. Ma ci facciamo animo. I bisogni sono tantissimi ma per ciò che ci riguarda occorre che ognuno faccia bene la sua parte, fiduciosi che le sorti dell’umanità sono nelle mani di Dio.
Qui non esiste un sistema sanitario pubblico o esiste solamente sulla carta. Ospedali e centri di cura sono tutti costruiti e gestiti direttamente dalla diocesi di Butembo Beni. Le risorse sono costituite dalle offerte di solidarietà e dal pagamento delle cure che viene richiesto a chi si ricovera. Il problema è che le offerte sono sempre insufficienti e la maggior parte dei ricoverati sono poveri che non possono pagare le loro cure. E così permane il problema del pagamento dello stipendio pur esiguo di medici, infermieri e operatori vari, oltre che quello della provvigione di farmaci.
Ci guida il dottore Francois, un sacerdote medico che si è specializzato in Pediatria a Messina, grazie al gemellaggio. Mentre ci fa fare il giro delle cliniche nella sua spiegazione ritorna sempre il problema dell’insufficienza delle risorse. Gli ammalati curati non vengono dimessi sino a quando la loro famiglia non potrà pagare le spese. D’altra parte si impone l’esigenza di far pagare le cure a tutti senza eccezioni, perché se passa il messaggio che le cure possono anche non pagarsi tutti si sentirebbero legittimati a non pagare e le cliniche potrebbero così chiudere definitivamente per mancanza assoluta di fondi. Di fatto, ci sono alcuni ammalati che si sarebbero potuti dimettere da mesi perché guariti, e che invece rimangono nelle cliniche perché insolventi.
D’altra parte, al momento del ricovero hanno sottoscritto un formulario nel quale dichiarano di dover pagare le cure e gli interventi che riceveranno. Con la delegazione prendiamo una decisione. Contribuiamo noi stessi con le  nostre offerte personali e con quelle ricevute da amici e conoscenti prima del viaggio, a pagare le spese di alcuni ammalati insolventi e quelle dei ricoverati che devono subire un intervento chirurgico, ma ritardano perché non possono versare la somma minima richiesta prima dell’intervento stesso. Ci facciamo cosi carico delle spese per le cure di dieci bambini. Ci impegniamo per creare più sensibilizzazione alla raccolta delle offerte nella diocesi di Noto, dopo il ritorno.
Finiamo la visita alle cliniche molto tardi e andiamo con due ore di ritardo al pranzo offertoci dal rettore nella sede centrale dell’università. L’accoglienza è molto cordiale come sempre. Durante il pranzo, il rettore ci chiede di poter organizzare un altro servizio all’interno del gemellaggio, quello di organizzare una catena di volontariato di nostri medici a Butembo. L’idea ci sembra buona e rispondiamo positivamente. Prima di ritornarcene, uno dei preti nostri accompagnatori ci ha fatto trovare all’uscita dell’università Vanessa, una giovane mamma di due bambini, abbandonata dal marito, che si è laureata in giurisprudenza ma che non trova nessun lavoro, giacché il regime militare ha praticamente azzerato il servizio della giustizia nei tribunali, rendendo superflua la figura di giuristi e avvocati. Ci impegniamo ad aiutarla, magari dandole la possibilità di partecipare ad un concorso per magistrati nella capitale Kinshasa, con la speranza che la figura del magistrato sia più accreditata presso il regime militare.
Don Salvatore Cerruto