Il più complesso è il più semplice, parola di Gesù Bambino

Il più complesso “è” il più semplice, e viceversa: il bambinello non infantilizza Dio, ne manifesta (=epifania) l’Onnipotenza nell’amore. È l’amore sconfinato (difficile ma possibile) che i cattolici sono chiamati a testimoniare con opere concrete di carità corporale per la solidarietà e la pace della convivenza sociale e politica.

L’operazione di “esculturazione del cristianesimo” avanza in Europa e punta alla distruzione della “grammatica” cristiana, impegnandosi a eliminare anche ciò che è “elementare” della narrativa cristiana: il racconto dell’infanzia, che renderebbe Dio infantile e il cattolico un credulone superficiale.
È una tesi insostenibile e “barbara”, tuttavia molto coerente con quell’andazzo culturale che promuove l’eliminazione del “bambino” dell’orizzonte di senso della presunta vita matura (e complessa) degli adulti nella società dell’ipermercato: 1. i bambini non nascono per l’egoismo dei grandi che li “amano tanto” e non li fanno nascere per non farli soffrire, perché nascerebbero in un mondo senza futuro (crisi demografica); 2. giovani intellettuali filosofi discutono sulla legittimità etica dell’infanticidio, perché se l’aborto può essere un diritto addirittura all’atto della nascita (come predicato in certe campagne elettorali) “schiacciando la testa del bambino, appena si presenta fuori dall’utero”, non si capisce perché dovrebbe essere “intoccabile” appena nato (infondo è “solo” un bambino); lascio all’associazione Meter con don Fortunato di Noto lumeggiare il disastro degli abusi sessuali sui bambini, considerati merce di piacere nella brutalità delle pedopornografia internazionale e mi fermo nell’elencazione della barbarie dal volto (dis-)umano delle nostre società dell’ipermercato dell’uomo consumatore.
Mi viene alla mente la canzone di Battiato che ricorda come i greci troiani “gettano giù dalla rupe i bambini che venivano male”, perché non avendo peso adeguato non potevano diventare grandi guerrieri (secondo loro) e magari uccisero proprio quei quattro o cinque che avrebbero salvato Troia, città che venne conquistata non dalla forza, ma dall’astuzia di Ulisse. I post-cristiani però (con la complessità del loro pensiero) vogliono ritornare ad essere greci (ironia della sorte).
E per finire e non farla lunga bisognerà pur ricordare i nostri antenati-australopiteci afarensi- i quali dovevano sopravvivere nella ricerca di cibo e se il bambino appena nato era di impedimento alla madre nel procurarsi il cibo veniva “buttato via”, come accade anche oggi, quando una madre getta il figlio nel cassonetto della spazzatura perché non ha come “sfamare questa nuova bocca” (corsi e ricorsi storici).

Il Bambino Gesù, però, mostra che se Dio si è “incarnato” e non “umanato”, vuol dire che ha preso sul serio la “carne umana” dal primo istante del concepimento fino alla sua morte: è entrato nella complessità della vicenda umana tutta, sposandola sin dagli inizi (complessi) del nascere, anticipando, nel suo essere “segno per tutti” la bellezza e la grandezza del venire al mondo per dare speranza di futuro nuovo ad una umanità che sta smarrendo del tutto il senso umano del convivere civile tra fratelli e sorelle che si amano.
E cosa pensa John Denver quando indicava proprio nella “sapienza dei bambini” la via per uscire dal disastro delle società disumane che ci siamo inventati noi adulti.
Propongo un breve video sul tema, godendosi la visione dell’ombelico del cattolicesimo (San Pietro) che predica un Dio bambino cioè un Dio che si avvicina alla condizione umana che più di tutte le altre ha bisogno di cure, di prossimità e di amore per continuare a vivere.

 

 

Vescovo Presidente della Pontificia Accademia di Teologia