Nel pensare si aprono orizzonti, con l’amore si risolleva il mondo

Il vescovo di Noto scrive ai giovani, all’inizio dell’Anno Scolastico

Il vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò, ha fatto dono di una lettera alla comunità scolastica, all’inizio di un nuovo anno di studio.
Rivolgendosi ai giovani studenti, li incoraggia a coltivare la bellezza delle relazioni, l’importanza dell’incontro, la necessità dell’empatia, “del poter ospitare ognuno il dolore e la gioia degli altri”.
Mons. Staglianò li invita poi ad “andare oltre le maschere, poterci incontrare con i nostri volti, la nostra storia, la nostra sensibilità” e a deporre “il nostro egoismo, accrescendo quel restare umani che ci fa vivere da fratelli”, ricordando i richiami di Papa Francesco alla fraternità universale, con l’Enciclica “Fratelli tutti”.
“Vivete il tempo della scuola come tempo unico per imparare a pensare”, aggiunge ancora il vescovo di Noto e “così poter costruire un vostro giudizio sulla realtà, avere sempre anzitutto il proprio pensiero sulle cose e quindi avviare dialoghi veri, convergendo su ciò che è buono e bello”.
Pensare vuol dire anche amare, prendersi cura degli altri: “Mi sembra per questo necessario unire affetto e ragionamento, sensibilità che apre agli altri e cultura con cui si coltiva se stessi”, scrive il presule netino, perché “la scuola apra alla città e al mondo”.

Carissimi giovani,

percepisco, dialogando con tanti di voi, il desiderio di tornare a scuola di presenza: e forse, ci speriamo tutti tantissimo, quest’anno sarà possibile più dello scorso anno. Mi sembra molto bello questo vostro desiderio. Vi leggo anzitutto un desiderio di relazione. Le restrizioni, le lunghe giornate in cui si è stati costretti a stare casa, ci hanno fatto capire meglio come sia importante incontrarsi, incontrarsi di presenza!

C’è un “in” importante nella parola “incontro”. Proprio qualche giorno prima del primo lockdown in diocesi abbiamo riflettuto sull’empatia, con don Luigi Ciotti, e c’eravate in tanti sia a Noto che a Modica. Non basta essere insieme in un luogo. Siamo chiamati a incontrarci con la verità dell’empatia, del poter ospitare ognuno il dolore e la gioia degli altri. Non possiamo entrare pienamente in ciò che vive l’altro, ma possiamo per analogia capirlo e aprirci. Al tempo stesso, notava la grande filosofa Edith Stein, per aprirci all’altro dobbiamo prendere contatto con noi stessi, e così si rafforza quel luogo interiore da cui partono anche le nostre decisioni. Nell’apertura all’altro poi, c’è la possibilità di energie che rendono viva e aperta la società.

Nella terra di Pirandello sappiamo come sia importante andare oltre le maschere, poterci incontrare con i nostri volti, la nostra storia, la nostra sensibilità, a dispetto delle mascherine che dovremo indossare per difenderci dal contagio. Allo scopo, deponiamo il nostro egoismo, accrescendo quel restare umani che ci fa vivere da fratelli. “Fratelli tutti” è l’invito, ma anche l’orizzonte, che papa Francesco indica all’umanità. E in particolare a voi giovani, perché l’umanità abbia futuro e perché il futuro sia umano! Allora, buon ritorno a scuola, nella gioia e bellezza delle relazioni tra di voi e con i vostri insegnanti, ai quali – con don Bosco – ricordo che l’educazione è anzitutto “cosa del cuore”!

Incontrarsi di presenza, non è un particolare secondario. Dice il primato della realtà, che tutti dobbiamo recuperare. Papa Francesco ha chiarito che “la realtà è più importante dell’idea” (questa, infatti, può restare astratta e vuota). Ci incontriamo, allora, nella relazione e, insieme, ci misuriamo con la realtà. Così risvegliamo le nostre migliori energie e ci attrezziamo con le virtù dei tempi difficili: la resistenza (oggi si preferisce dire la resilienza), la pazienza (ovvero il farsi carico della realtà), la tenacia, il coraggio, la magnanimità, la speranza. Soprattutto, nell’incontro di presenza, scopriamo quanto sia importante la corporeità. Il corpo dà continuità, concretezza, intensità alle nostre relazioni e ci aiuta ad abitare la terra. Certo, resta l’obbligo della distanza, ma la corporeità resta la possibilità di approssimarsi ‘comunque’!

E non è la scuola un incontrarsi qualsiasi: è un incontrarsi per diventare adulti, per avere il coraggio di pensare. Oggi siamo trascinati, spesso eterodiretti dagli spot e dai social (dove – secondo Umberto Eco- milioni di stupidi si esprimono come fossero premi Nobel), il pensare ci rende noi stessi! Oggi siamo confusi, il pensare apre – come diceva il filosofo Martin Heidegger – “chiarite” nella fitta foresta di segni e di messaggi! Oggi siamo smarriti, solo con il pensare si possono aprire vie! Oggi siamo stanchi e delusi, nel pensare si riaprono orizzonti e si ritrova energia per sperare!

Ecco, cari giovani, un affettuoso e convinto invito: vivete il tempo della scuola come tempo unico per imparare a pensare. E così poter costruire un vostro giudizio sulla realtà, avere sempre anzitutto il proprio pensiero sulle cose e quindi avviare dialoghi veri, convergendo su ciò che è buono e bello. Il pensare ancora aiuta – come apprendiamo dall’antichità – a cogliere le strutture di fondo della realtà. E diventa metodo, possibilità di procedure logiche (consegna della modernità) e apertura mentale, ma anche poesia. Pensare non è solo calcolo, ma anche finezza; non solo realismo ma anche utopia; non solo razionalità ma anche immaginazione; non solo astrazione ma anche tensione e creatività.

Pensare in grande, dunque, come chiedeva il beato Antonio Rosmini. Relazioni e studio, allora, potremmo dire diventano gli elementi essenziali della scuola, ma essa è anche speranza di futuro. Mi sembra per questo necessario unire affetto e ragionamento, sensibilità che apre agli altri e cultura con cui si coltiva se stessi. Amava dire sempre Edith Stein, “nessun amore senza verità, nessuna verità senza amore”. E l’amore è anzitutto apertura, sguardo, responsabilità. Per questo diventa importante che la scuola apra alla città e al mondo.

So che è diventata obbligatoria l’educazione civica, e però, oltre l’obbligo passa una bella intuizione: nella sostanza l’educazione civica si vive attraverso esperienze di servizio. Laerning service – si dice: e così si sottolinea come sia importante apprendere dalle esperienze di solidarietà. Per questo vi invito a frequentare quelle “officine di bene”, come le chiamava Giorgio La Pira, che sono i tanti segni di solidarietà del nostro territorio, tra cui alcuni molto significativi generati dalla nostra Chiesa locale. Cito per tutti i cantieri educativi dove potete sperimentare la gioia di far crescere ragazzi più piccoli di voi o le esperienze con i diversamente abili o luoghi di accoglienza di mamme e bambini o ancora di anziani. Sono tutte relazioni che aiutano a crescere più forti e più veri. Capaci anche di cogliere una chiamata alla giustizia e alla legalità. Così la scuola apre a un futuro diverso per la nostra terra! Crescendo voi – come amava dire don Puglisi – “a testa alta”, e imparando – come ha testimoniato il giudice Livatino – a stare sotto una sola tutela, quella di Dio, di un Dio che ci vuole liberi e felici.

Qualcuno dirà che di Dio non ho parlato molto. Ma dietro ogni parola che aiuta a crescere, dietro ogni invito all’amore e alla verità, c’è – di Dio – il suo agire e preoccuparsi di noi … Dio non è una nostra dimostrazione, è … la Sua preoccupazione per noi e la Sua discrezione! È amore e solo amore, rivelato in Gesù! Amate, siate voi stessi e lo incontrerete! Amate l’uomo, e anche se non lo sapete, amerete Dio, anzi amerete come Dio, amerete apprendendo da Dio! Per questo vorrei consegnarvi, per questo nuovo anno che inizia e che segna anche il nostro impegno a uscire dalla pandemia, un testo di don Primo Mazzolari, augurando a voi giovani e a noi adulti rinnovate alleanze per risollevare il mondo con l’amore.

Ci impegniamo noi e non gli altri, unicamente noi e non gli altri, né chi sta in alto né chi sta in basso, né chi crede né chi non crede. Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino con noi o per suo conto, come noi o in altro modo. L’«ordine nuovo» incomincia se qualcuno si sforza di divenire un «uomo nuovo». La primavera incomincia con il primo fiore, il giorno con il primo barlume, la notte con la prima stella, il torrente con la prima goccia, il fuoco con la prima scintilla, l’amore con il primo sogno. Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci. Ci impegnano per trovare un senso alla vita, a questa vita, alla nostra vita, una ragione che non sia una delle tante che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore, un utile che non sia una delle solite trappole generosamente offerte ai giovani dalla gente pratica. Si vive una sola volta e non vogliamo essere giocati in nome di nessun piccolo interesse. Non c’importa della carriera, né del denaro; non c’importa la nostra fortuna né quella delle nostre idee; non c’interessa di passare alla storia (abbiamo il cuore giovane e ci fa paura il freddo della carta e dei marmi); non c’interessa di apparire eroi o traditori davanti agli uomini, ma solo la fedeltà a noi stessi. C’interessa di perderci per Qualcuno che rimane anche dopo che noi siamo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci. C’interessa di portare un destino eterno nel tempo, di sentirci responsabili di tutto e di tutti, di avviarci, sia pure attraverso lunghi erramenti, verso l’Amore, che diffonde un sorriso di poesia su ogni creatura e che ci fa pensosi davanti a una culla e in attesa davanti a una bara. Ci impegniamo perché noi crediamo nell’Amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perdutamente.

Vi saluto di cuore, vi voglio bene e vi benedico,

+Antonio, vescovo