Messaggio di Natale 2017. Il cielo si è capovolto a Natale

 Carissimi,
Natale non è solo un’atmosfera. È evento, qualcosa che accade nella vita e la vuole cambiare. In meglio, ovviamente, nel bene, di sicuro. E come lo fa? Mettendoci in condizione di ascoltare la bella notizia: Dio è amore. Una “buona novella”, senz’altro. Si, perché se ci pensiamo profondamente, riguarda più noi che Dio. Coglie la verità di ogni essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio. Ogni animale dal volto umano è amore, perché è somigliante all’Amore. Il bambino nella grotta di Betlehem è “sceso dalle stelle”, finalmente l’uomo sa con più certezza da dove viene: “dalle stelle anche lui”. È “polvere di stelle, essere desiderante” (de-sideris =dalle stelle).
 
Il cielo si è capovolto
 
“Tu scendi dalle stelle, oh re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo”. Così cantiamo, commuovendoci. I “canti di Natale” crea-no l’atmosfera, ma affermano anche la verità.
Anche altre canzoni la dicono: “Nel cielo è scritto il mio destino / E in questa vita io cammino / Seguendo tutti i suoi segnali / E quando sbagli è li che impari / Il senso del rispetto è un dono / La dignità è un diritto umano / Quanta grandezza in un perdono / Per noi che siamo, per noi che siamo / Come un arcobaleno tra nuvole e fiori / Scolpito nel cielo dai sette colori / Una doccia di pioggia purifica il vento / L’ossigeno arriva, respiro, lo sento”.
È una canzone di Amara, La terra è il pane. Sostiene che il nostro destino (qui intendiamo la destinazione, il senso verso cui ci dirigiamo) è il cielo e di questo cielo segue i segnali mentre vive qui, su questa terra, e avanza nel cammino della vita. Con Gesù, “il cielo si è capovolto” e ora il cielo ci tiene compagnia. Per noi viandanti è come stare su una rotta sicura, purché il cielo non sia equivocato, banalizzato, “abbassato” a tal punto da essere ridotto a terra e non più riconoscibile come cielo.
Ecco la bella notizia: il Verbo si è fatto carne, in Gesù, però non ha smesso di essere Dio-amore, anche se è “un’umanità assunta”, un uomo vero. E la bellezza della notizia è veramente tutta qui: per essere un uomo, non deve smettere di essere Dio, anzi, al contrario, per potersi manifestare come il vero Dio si è fatto uomo. Così, per noi, il cielo si è capovolto e, dunque, è presente sulla terra, senza bisogno di perdere nulla della sua “altezza”, del suo essere cielo. Seguire i segnali del cielo, allora, vorrà dire che il cielo è nell’uomo come ispirazione e apertura, nobiltà d’animo e capacità di autotrascendimento, desiderio del bene per tutti, immedesimazione nelle profondità della terra. Ora il cielo lo continui a guardare in alto, dove sono le stelle, ma lo trovi anche dentro le profondità della terra, dove Gesù lo ha calato, perché fosse sulla terra speranza di riscatto e di liberazione.
A Natale tutti gli uomini di buona volontà possono recuperare il cielo. I credenti lo devono fare, come insegna Gesù, il piccolo di Betlehem. È il bambinello del presepe, il quale, a chiunque si avvicina col desiderio di ascoltare il suo vero messaggio, sussurra con delicatezza e chiarezza: “impegnati nella vita perché nessun essere umano nasca più come sono nato io, al freddo e al gelo, scartato dalla gente, nella solitudine di una grotta o di una stalla; impegnati perché tutti gli esseri umani che nascano abbiamo il calore di un tetto, la sicurezza di un pezzo di pane, la gioia di poter guadagnare con onestà ciò che serve per vivere”. E si potrebbe continuare.
Drammaticamente questo messaggio bello resta inascoltato dal cattolicesimo convenzionale (cioè da quei cattolici che vanno al presepe per godere della sola bellezza estetica, incuranti della provocazione che da quella grotta giunge alla loro coscienza “addormentata” dall’atmosfera natalizia del folklore popolare). Per il cattolico cristiano (non convenzionale) questo messaggio, invece, come ogni anno, è notizia molto scomoda, che interpella e scuote il cuore intorpidito dai tanti allucinogeni della società dell’ipermercato.
Quando ero giovane, leggevo e rileggevo gli auguri di Natale di quel santo vescovo don Tonino Bello: “Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggi”.
Insomma, il cielo che Ge-sù porta sulla terra, non aliena, ma responsabilizza, in gesti di amore, di vicinanza, di prossimità, di cura, perché la fede in Dio, sia conversione e cambiamento, dono e compassione, rispetto per la dignità di ogni essere umano. Cominciando dal rispetto per la terra, per l’oikos che Dio ci ha dato, perché la terra è di tutti e la terra è il pane.
 
La terra è il pane
(Amara)
 
Amara dice che gli esseri umani sono “come arcobaleno tra nuvole e fiori, scolpito nel cielo dai sette colori”. Distruggere l’armonia della terra significa far male anzitutto all’essere umano fino a farlo soffocare: “tu mi stai togliendo il fiato e non ti accorgi che è un reato”. Il ritmo di Gaia è perché tutto aiuti l’uomo a vivere, respirando a pieni polmoni: “una doccia di pioggia purifica il vento, l’ossigeno arriva, respiro, lo sento”.
Il significato profondo di questi versi cantati si coglie pensando a due situazioni che molti esseri umani vivono: la prima, quando ci si trova su una spiaggia d’estate, al mattino presto, davanti a un mare percepito come una benedizione di Dio, mentre l’aurora infonde allo spirito una serenità duratura e i riflessi argentei dei raggi del sole sull’acqua coccola “l’istinto della preghiera e del ringraziamento del cuore” per la bellezza del creato e, in un modo o in un altro, il pensiero sale al Dio creatore di tutte le cose, la cui luce puoi accogliere nella vita attraverso la fede, proprio come quei riflessi argentei consentono di guardare la luce di un sole che non potresti fissare direttamente; la seconda, quando ci si trova nel bel mezzo del traffico automobilistico, in una grande metropoli e cerchi di trattenere il respiro perché ciò che metteresti dentro i polmoni è solo aria asfissiante e mentre guardi il cielo, si nota che è grigio per il “veleno” che l’impatto antropico fa ingurgitare ogni giorno a Gaia.
Sì, ci sono «ragioni cristiane» assolute e precise per l’ecologia, ragioni mai separabili dal tema della giustizia e della pace. La tradizione cristiana, infatti, non può e non sa separare giustizia ed ecologia, condivisione della terra e rispetto della terra, attenzione alla vita della natura e cura per la qualità buona della vita umana. La Terra è desolata quando viene meno la qualità della vita dell’uomo e della vita del cosmo, e la qualità della vita umana dipende anche dalla vita del cosmo di cui l’uomo fa parte e nel quale è la sua dimora.
Quando Amara afferma – “Un grande uomo ci ha insegnato / Chi dona amore sarà amato / L’amore è un’onda universale / Noi siamo i frutti / La terra è il pane”, non si dovrebbe fare tanta fatica a riconoscere in quell’uomo, proprio Gesù, l’uomo vero che ha vissuto d’amore universale e ha mostrato il motivo per cui l’amore è universale perché è identico a Dio: Dio è amore. Venendo a Natale e portandoci questa buona notizia, Gesù ci fa il regalo più grande.
 
 Il regalo più grande
(Tiziano Ferro)
 
Fare un regalo a chi vogliamo bene porta una certa gioia, sempre, non solo a Natale. Gioisce di più chi fa il regalo o chi lo riceve? Se il regalo è un dono vero, allora di sicuro accade quello che Gesù disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35b). Il regalo-dono si distingue dal semplice e regalo. Tiziano Ferro, con la sua canzone Il regalo più grande, sembra ben sottolinearlo: “Voglio farti un regalo / Qualcosa di dolce / Qualcosa di raro / Non un comune regalo / Di quelli che hai perso / Mai aperto / O lasciato in treno / O mai accettato / Di quelli che apri e poi piangi”. E chi ama qualcun altro, sa ciò che può rappresentare il “regalo più grande” da fare. Tante volte la società ci porta a pensare, in modo materialista, che la “grandezza” di un dono si possa calcolare in base alla spesa o alla sua stessa dimensione.
C’è una sostanziale differenza tra un regalo e un “dono”. Diversamente dal regalo, che può anche essere freddo e anonimo, spedito a distanza e senza coinvolgimento del donatore, il dono nasconde in sé un lungo processo di preparazione nel quale il donatore anzitutto pensa a “quale dono” fare, facendo un discernimento su ciò che è utile e può servire, su ciò che è costruttivo e non superficiale, su ciò che sicuramente potrebbe piacere al ricevente. Poi, successivamente, il dono è personalmente consegnato, perché l’atto del donare trovi il suo apice nella gioia che si nota nel volto dell’altro che accoglie il dono. Ne abbiamo già parlato e scritto altre volte. È bene ripeterle certe cose importanti. E allora? “Ti dedicherò / Il regalo mio più grande / Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché / Di notte chi la guarda possa pensare a te / Per ricordarti che il mio amore è importante”. Smettiamo di donare sciocchezze e iniziamo a donare anche solo semplici sorrisi: “Amore grande come il tempo che non si è arreso / Amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte / Sei tu sei tu sei tu sei tu sei tu / Il regalo mio più grande”. D’accordo, Tiziano Ferro ci sta proponendo l’amore romantico, l’amore incantamento. Almeno però non è l’amore cinico. Resta un Amore con la “A” maiuscola, che i cristiani riconoscono in Gesù, il Figlio di Dio nella carne umana, il piccolo nato a Betlehem, là in una grotta, per far circolare l’amore, cioè che “nessuno nasca più come è nato lui”, in quelle condizioni disumane, inaccettabili per gli uomini, ma scelte da Dio per amore di tutti.
 
Metti in circolo il tuo amore
(Luciano Ligabue)
 
L’amore romantico è bello, interessante, ma non resiste ai drammi delle esistenze umane. L’amore cinico è brutto, repellente, perché schiaccia l’altro, riducendolo solo al proprio desiderio e al proprio piacere. Quello di Gesù è l’amore vero: l’amore che ha sempre corpo (a Natale l’evento è quello dell’Incarnazione) e che soffri nella carne, perché come balsamo scenda sulle ferite di tutti e porti salvezza, liberazione, riscatto. Non saremmo cristiani, se fossimo cattolici che pregano per i profughi e poi non fanno nulla per loro. L’odierna condizione dei profughi, segnata da paura, disagi, incertezze, è una tristissima realtà. Sono uomini che ogni giorno fuggono dalla fame e dalla guerra, alla ricerca di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie. Vanno in terre lontane e quando trovano lavoro non sempre incontrano accoglienza vera, rispetto e apprezzamento dei valori di cui sono portatori. Molti di noi, infatti, si fermano a “quisquiliare” sul fatto che il fenomeno non si capisce, è complesso, chissà cosa ci sta dietro ed esistono sempre gli sciacalli. Con le parole di Luciano Ligabue, in questo santo Natale, vorremmo dire di non soffermarsi troppo nei preamboli e cominciare comunque ad amare: “Metti in circolo il tuo amore / Come quando dici “perché no?” / Metti in circolo il tuo amore / Come quando ammetti “non lo so” / Come quando dici “perché no?”/ Quante vite non capisci / E quindi non sopporti/ Perché ti sembra non capiscan te / Metti in circolo il tuo amore / Come fai con una novità / Metti in circolo il tuo amore / Come quando dici si vedrà / Come fai con una novità”. Con il Natale è veramente tutto nuovo: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”. Sforziamoci ad amare nella novità del Vangelo, con il modo nuovo con cui Gesù ha amato e continua ad amare, attraverso di noi.
Pensiamo anche a un altro tipo di esiliati, quelli nascosti, quelli che sono tali all’interno delle famiglie stesse, gli anziani – ad esempio – che a volte vengono trattati come presenze ingombranti. L’amore che Dio riversa sull’uomo è fatto per essere messo in circolo. L’amore è l’unico tesoro che si moltiplica per divisione: è l’unico dono che aumenta quanto più ne sottrai. Ci è dato perché lo possiamo spandere a piene mani. L’accoglienza è l’occasione d’oro per guadagnarci un pezzo di paradiso, e proprio oggi ci viene offerta. Sarebbe un grave peccato perdere tale occasione. Qualche giorno fa, Papa Francesco, parlando a braccio a tu per tu con i Rohingya, ha chiesto perdono per l’indifferenza del mondo e di fare spazio nel cuore alla tragedia di questo popolo: “Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili”. Non basta la tolleranza per costruire un’autentica “cultura dell’incontro”. Guai a chi cerca di fomentare divisione, odio e violenza in nome della religione. E, infine, con forza ha sottolineato: “la presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya”. Se Natale è la presenza del vero Dio, allora i drammi dei poveri sono quelli che lo nominano e lo manifestano.
 
Gli auguri scomodi per un santo Natale vero
Ritorniamo allora agli auguri scomodi di don Tonino Bello:
 
“Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi”.
 
Facciamo nostro questo messaggio natalizio, senza infastidirci o nasconderci dietro false maschere di perbenismo. È tempo si vegliarsi dal sonno in cui ci ha immerso certo cattolicesimo convenzionale. È tempo di convertirci e diventare veramente cristiani, cattolici cristiani, affinché “Dio diventi carne” anche in noi. Ora siamo noi a essere chiamati a dare la “carne” a Dio, perché Dio Padre, attraverso il Figlio Suo e Figlio di Maria di Nazareth, continui ad amare, a far circolare il Suo amore tra noi, lo Spirito Santo, amore di Dio effuso nel cuore di coloro che credono.
Auguri per un Natale di santità diffusa.