Mons. Staglianò e la rivoluzione della Pop-theology

 Riportiamo qui di seguito l’articolo di Grazia Pia Attolini sul sito del Premio Giovanni Paolo II di Bisceglie (BAT).
 
“Sono un predicatore, non un cantante”. Così Mons. Antonio Staglianò, vescovo della Diocesi di Noto, sulle note delle canzoni di musica leggera, comunica il Vangelo. Attraverso la “Pop-Theology” dialoga con i giovani e fa della musica e del canto il veicolo principe per dialogare nel segno della pace.
Non è un cantante eppure attorno a sé attrae una folla assetata di verità. Grande attesa per la testimonianza di Mons. Staglianò il prossimo 13 maggio a Bisceglie. Ma prima di incontrarlo dal vivo, presso il teatro Garibaldi, vediamo come lui stesso si racconta.
 
Come ha accolto la notizia del Riconoscimento?
Il sentimento che prevale è quello della gratitudine gioiosa. Sono particolarmente legato a Giovanni Paolo II per aver contribuito alla mia formazione di giovane seminarista e poi giovane prete, attraverso la sua testimonianza di vita apostolica e gli scritti del suo alto Magistero. La mia vicinanza a Papa Wojtyla non è solo spirituale e pastorale ma anche culturale; il suo pensiero filosofico nutre il mio cammino tutt’ora.
 
C’è un ricordo particolare che la lega a San Giovanni Paolo II?
Ero giovane, a Roma. Mi trovavo posto dietro di lui. Dopo lo scatto della foto abbiamo scambiato qualche parola. Non ricordo bene cosa ci siamo detti, ma quel dialogo mi ha colpito profondamente, mi ha trasmesso gioia vera.
 
Cosa ha lasciato all’umanità San Giovanni Paolo II?
Nella sua testimonianza di dolore, di sofferenza, soprattutto quando non riusciva più a parlare, io e l’intera umanità abbiamo visto in lui Gesù Crocifisso: comunicava tanto anche se non più con la parola eloquente e il suo desiderio di comunicare era più grande di ogni impedimento fisico dettato dalla sofferenza e dalla malattia. Comunicava tanto con la sua personale testimonianza di sostenitore della croce.
 
Da San Giovanni Paolo II alla “Pop-Theology”: comunicare il Vangelo ai temi moderni è la sfida della Chiesa. Il Riconoscimento va a dare merito alla Sua abilità di utilizzare sapientemente i mezzi più moderni e diretti, quale musica e canto, veicolo principe per dialogare con il mondo giovanile. Come è nata l’idea della Pop Theology?
La verità che Gesù ha portato al mondo è sempre la stessa: Dio è amore, Dio è sempre amore. Ciò che cambia in ogni epoca è il registro della comunicazione che va aggiornato continuamente. Si tratta di un’operazione di intelligenza, di cui sicuramente San Giovanni Paolo II è stato grande maestro. Credo, infatti, che San Giovanni Paolo II sia stato il Papa che più di tutti ha lasciato il segno riguardo l’universalizzazione del messaggio e della comunicazione della Chiesa Cattolica, specie rivolgendosi ai giovani. Mi vengono in mente le Giornate Mondiali della Gioventù e il suo modo diretto di parlare ai ragazzi: lo faceva con una forza e una energia da profeta.
La comunicazione di San Giovanni Paolo II è stata determinante anche in rapporto alla temperie culturale del tempo; tutto il suo Magistero, infatti, è stato incentrato sul rapporto tra fede e cultura: chiaro esempio è la sua IV Enciclica, testo in cui sosteneva che per credere profondamente bisogna tornare a pensare, perché una fede senza ragionamento e cultura non può essere una fede adulta.
Oggi ci troviamo nel tempo della società liquida e della simulazione, tempo cioè in cui i segni non corrispondo più alla realtà oggettiva e condivisibile. Penso a quello che avviene nel sistema della comunicazione odierna dove si fanno girare informazioni come se fossero verità senza esserlo, le cosiddette post-verità. Ecco, in questo contesto come facciamo a dire ai giovani, che sono quelli maggiormente colpiti dall’alienazione mediatica, come dice Occidentali’s Karma di Gabbani: ormai “Tutti tuttologi del web”, “Tutti dietro alle tastiere” (dice Rocco Hunt), e come facciamo a dire loro che Dio è amore?
Come diceva l’anno scorso (Sanremo 2016) Francesco Gabbani “Gesù si è fatto agnostico, i killer si convertono, qualcuno è già in odor di santità […] elaboriamo tutto con un amen”. Ecco, attraverso le canzonette, ai giovani – che sono lontani dalle chiese e sono critici nei confronti della Chiesa Cattolica soprattutto di quella convenzionale, (giustamente, perché anche io come vescovo sono per un cattolicesimo cristiano rivoluzionario e sociale) – è possibile annunciare il Vangelo.
Se i giovani fossero sollecitati da esempi concreti di amore e di misericordia, avrebbero un nuovo slancio per affollare le chiese, ascoltare la Parola di Dio e dare un nuovo senso alla loro esistenza.
 
Dalle riflessioni alla pratica. Quando ha cominciato a fare uso della musica leggera per predicare il Vangelo?
Qualche anno fa mi trovavo all’interno di una karmesse di alta filosofia presso l’Università del Sacro Cuore. Erano presenti più di 300 giovani e io avrei dovuto fare le conclusioni dell’incontro. Avevo osservato i ragazzi durante gli interventi dei relatori: la maggior parte era con gli occhi sul proprio tablet. Arrivato il mio momento, mi è venuto in mente di cantare la canzone di Noemi “Vuoto a perdere”. “Una canzonetta ad un convegno di metafisica?” Qualcuno potrebbe obiettare. Ebbene sì: l’ho utilizzata. L’attenzione di giovani presenti è tornata desta e insieme l’abbiamo commentata, non per dire ciò che dice Noemi, ma collegandola al tema del convegno: “Gli esseri umani hanno l’orrore del vuoto”.
Quell’anno Marco Mengoni avevo vinto il festival di Saremo con “L’essenziale” e sentendo quella canzone mi aveva colpito l’uso di quel termine filosofico “essenziale”: i ragazzi vogliono sapere cosa è l’essenza dell’amore. Ecco, ho capito che spiegarlo partendo da una canzonetta, che i giovani già conoscono, poteva essere la strategia comunicativa più efficace. E devo dire che da allora questo accade.
 
Quali risultati tangibili sta raggiungendo la sua strategia comunicativa?
Proprio oggi ho incontrato in un parrocchia ragazzi di età della Cresima e del post-Cresima, più di 1500 in totale e, tra una citazione e l’altra, ho parlato loro del Vangelo. Ho anche citato la canzone di Fabrizio Moro “Portami via” che non solo è poetica, ma addirittura una preghiera: basta sostituire “amore mio” con “Signore mio”. È chiaro tra l’altro che quello di cui parla Moro non è semplicemente l’amore per una figlia, per una moglie, per un marito: l’amore può “portare via” tutte quelle cose citate nel testo perché su questi amori regna l’amore di Cristo, l’amore dello Spirito e solo Dio attraverso gli uomini può fare cose grandiose.
Qualche giorno fa ho tenuto una serata sulla Pop-Theology. Abbiamo fatto una riflessione profonda sul tempo della fragilità, utilizzando i testi “Occidentali’s Karma” di Gabbani e “Che sia benedetta” della Mannoia, per tornare a risorgere, convinti di potercela fare nonostante le difficoltà.
Inoltre Fabrizio Moro dice “portami via dalla convinzione di non essere abbastanza forte, quando cado contro un mostro più grande di me, consapevole che a volte basta prendere la vita così com’è”. Il tema sposa perfettamente l’Ufficio diocesano sulla fragilità che stiamo istituendo a Noto. Attraverso queste canzoni abbiamo parlato di Gesù. Gabbani ci dice che sono le nostre religioni ad essere alienanti, io dico ai giovani che il Cristianesimo non può essere una alienazione perché nasce dal Verbo che si è fatto carne, per cui l’incontro con Dio attraverso Gesù avviene nella carne. Il Cristianesimo è vera benedizione che ritroviamo in chi ci aiuta a risollevarci, in chi ti dice, con le parole di Arisa, “risolverò magari poco a niente ma ci sarò”. Ed è Gesù stesso che crede negli esseri umani: quando ha parlato del sangue suo che benedice questa umanità. A queste canzonette riconosciamo una qualità letteraria importante, espressione con cui intendo la capacità di entrare nel dramma dell’esistenza e dell’esperienza umana e di interpretare la bellezza dell’essere umano e di rilanciare un cammino di speranza e di giustizia, di amore, di solidarietà.
 
Ha trovato difficoltà in questa sua operazione?
Difficoltà no, ma qualche osservazione di biasimo sì: “tu sei un vescovo e fai i concerti?!” mi sono sentito dire. Io non faccio i concerti: sono un predicatore, non sono un cantante, ma se intonando e suonando una canzone posso incontrare i giovani e annunciare loro la Parola, allora lo faccio.