Noto. Pop-Theology del Vescovo con i detenuti del Carcere, per parlare dell’uomo e ri-pensare Dio

Il nostro vescovo, mons. Antonio Staglianò, giorno 11 dicembre 2019, ha voluto incontrare i detenuti della Casa di reclusione di Noto, per rivolgere loro un messaggio in occasione del Natale.
Un messaggio natalizio “non convenzionale” – non si è trattato infatti di una catechesi o di una predica “tout court” – ma di un momento che il vescovo ha preferito definire di teologia “popolare”.
Sappiamo infatti come – già da diversi anni – mons. Staglianò stia portando avanti un progetto teologico-pastorale, che – per dirla con il beato Antonio Rosmini – è un’opera di “carità intellettuale”, vale a dire una riflessione che valorizzando tutti i registri comunicativi dell’immaginazione umana, come il linguaggio multiforme dell’arte, della musica, della canzone, della poesia, della narrativa, giunga a parlare a tutti, anche ai non cristiani (al carcere erano presenti tra i detenuti diversi musulmani), persino ai non credenti, per offrire un messaggio di senso sulle grandi domande che attraversano l’esperienza umana, come la vita, la morte, l’amore.
Per chi crede poi, la Pop Theology vuole anzitutto svecchiare la predicazione cristiana e offrire al popolo di Dio con rinnovata freschezza, il modello umano di Gesù, la sua umanità ricca di amore e di pace, di tolleranza e di dedizione, di fiducia e di rilancio delle energie positive, belle e buone, che albergano in ogni essere umano.
In questa direzione si è dunque svolto questo “annuncio pop-teologico” ai detenuti del carcere di Noto, che con entusiasmo hanno ascoltato quanto il vescovo Antonio ha detto loro, sperimentando – attraverso la sua presenza – la vicinanza e la sollecitudine della Chiesa; “mi sono sentito amato”, ha peraltro dichiarato uno dei detenuti presenti, al termine dell’incontro.
Il Vescovo ha aperto la sua riflessione con una canzone, scritta in seguito alla morte del fratello Pino, venuto a mancare prematuramente e musicata dopo la morte del padre Gregorio.
“Nel vuoto di te” è il titolo di quello che il vescovo ha definito come un “lamento funebre”, per dire a quanti lo ascoltavano, quello che le parole della canzone affermano, con dolore e speranza insieme: “Tu non morirai!”, perché l’uomo – ha incalzato mons. Staglianò – “è nato non per morire, ma per vivere!”. Ha poi aperto il suo cuore, ricordando il dolore per la morte del fratello e del padre, affermando nel contempo come il medesimo dolore è giusto che non passi, perché – citando ancora la canzone – “il dolore colma il cuore, del vuoto di te”.
Questo dolore che non passa è in fondo ciò che garantisce che non passi nemmeno il ricordo della persona amata. “Nel mistero della morte – ha proseguito il vescovo – il legame con i nostri cari che non ci sono più, diventa più intenso, perché la nostra vita si impegna a realizzare per loro che non ci sono più, quel bene che ogni uomo è chiamato a compiere”.
Ecco perché bisogna saper morire e “morire bene”, impegnando la vita nell’amore, nel perdono, nella carità: “Si è più grandi quando si ama, quando si perdona”, ha osservato ancora mons. Staglianò; così l’uomo afferma che Dio esiste, così dichiara che c’è un paradiso, non però quello pensato dal fanatismo violento delle religioni, dove si pensa di dare gloria a Dio uccidendo in suo nome. A dare consistenza a questa idea, il vescovo ha cantato la celebre canzone di John Lennon “Imagine”, dove l’autore immagina un mondo nuovo, senza più questo paradiso per cui ammazzare il fratello, senza confini geografici, senza possessi e accaparramenti, il sogno di una fratellanza universale e di un mondo che vivrà come una cosa sola.
Dichiarando con forza che un Paradiso esiste, mons. Staglianò ha quindi ricordato come esso aprirà le sue porte per chi in vita avrà vissuto le opere di misericordia, obbedendo al comando di Gesù, quello di amare con il suo stesso amore.
Le canzoni “La lontananza” di Domenico Modugno e “Lontano dagli occhi” di Gianna Nannini, eseguite dai cantanti Mary Tiralongo e Pino Greco, hanno dato ancora un “input” al vescovo per parlare dell’amore – anche dentro la condizione di chi è in carcere e vive la separazione dagli affetti – e per riportare il loro significato a una interpretazione cristiana della vita. Così egli ha rimarcato come l’amore non sia tanto questione di distanze, quanto di “geografia del cuore”, poiché l’amore è tale ed è così potente da attraversare ogni lontananza, persino quella terribile della morte. “Ricordo” e “memoria” sono due cose differenti per mons. Staglianò e così lo ha spiegato ai detenuti che lo seguivano con grande attenzione: mentre il ricordo è legato al passato, rimanendo relegato nell’archivio impolverato della mente, la memoria è un ricordo che “vive”, un ricordo presente nel cuore e che prende consistenza nel mio oggi, non come un fantasma, ma come realtà presente.
Re-imparare le parole, che non siano solo “parlate”, ma “parlanti” (M. Merleau Ponty), le prime vuote di contenuto e usate per non dire nulla; le seconde, quelle che trasmettono qualcosa, le sole autentiche e “generative”. Come la parola “Amore”, ha seguitato il vescovo: “Chi l’ha mai cercata sul vocabolario? Amore si legge così: ‘A’, come ‘alfa privativo’, come negazione; ‘mors’, che invece vuol dire ‘morte’. Amore allora è ‘senza morte’, negazione della morte, sentimento potente, che vince lo sfacelo della morte, che la attraversa e la distrugge, perché l’amore è vita, la vita che si prende cura, che ha “tempo-per” l’altro”.
Altre canzoni – interpretate ancora da Mary Tiralongo e Pino Greco, con l’accompagnamento musicale di Claudio Stampigi e Paolo Cicciarella – hanno rallegrato alcune delle interminabili ore di chi vive la vita dietro le sbarre, in questo incontro così bello, così “umano”, del vescovo con questi suoi cari figli e amici.
Non è stato un momento di intrattenimento o di “show”, come in maniera superficiale e prevenuta si potrebbe credere. Mons. Staglianò, ieri come in altre occasioni, ha ribadito il suo intento: non quello di cantare, ma di evangelizzare, a partire da questo fecondo rapporto tra predicazione e musica, in modo particolare con le cosiddette “canzonette”, che per il vescovo hanno diritto di cittadinanza nell’attuale panorama culturale e una loro “dignità letteraria”, capace di trasmettere messaggi di senso e di veicolare valori profondi e condivisi.