Pop-theology e predicazione cristiana sulla morte

 La pop-theology sarebbe “pop” non tanto perché si interessa delle canzonette di musica leggera, dalle quali vuole trarre quei messaggi umanistici funzionali alla comunicazione del Vangelo, laddove il Vangelo orienta l’umanità e gli esseri umani su piste di giustizia, di solidarietà, di umanità, di bontà e di fraternità. Il “pop” indica il popolare, quindi una pop-theology si impegna a riflettere criticamente su cosa accade nell’immaginario del popolo quando di Dio si dicono determinate cose, oppure quando si fa esperienza di disastri naturali: cosa – come mentalità diffusa – si pensa? Dio dovrebbe intervenire e non interviene? Oppure si creano “catene” di preghiera perché Dio si muova a compassione e freni i terremoti mettendo serenità nel ritmo della natura?
 
La pop-theology si interessa di “quale idea di Dio passa”. Ed essendo una teologia cristiana, si interessa di capire se anche nella morte e nel dolore degli esseri umani, passa una idea di Dio distorta o che comunque non ha nulla a che fare con quel Dio che Gesù ha predicato sulla croce. Riflessioni di questo tipo sono state quelle che il Vescovo di Noto ha articolato nell’omelia tenuta a Modica presso il Santuario Madonna delle Grazie, in occasione delle Esequie del Sig. Carmelo Garofalo, cognato dell’amato Vicario Generale, Mons. Angelo Giurdanella.
 
Il Vescovo citando espressioni poetiche dell’ “ateismo inquieto” ha fatto sua tale “inquietudine”. “Mentre gli atei sono convinti fermamente che Dio non esiste – ha proferito – sono al contempo inquieti a causa delle tante voci umane che invece lo invocano. Diversamente da questa, l’inquietudine posta dal cristianesimo potrebbe essere riformulata così: se Dio è amore perché sembra non ascoltare il grido di sofferenza dell’uomo? Perché se Dio esiste, non ascolta la voce di chi si rivolge a lui?
 
Il presule ha anche fatto riferimento alla Shoa, al dramma del genocidio degli Ebrei, che ha portato Dio a processo: dov’era Dio? Perché stava in silenzio? È il medesimo interrogativo che ci poniamo quando muoiono i nostri fratelli. “Occorre che la predicazione esca fuori dai luoghi comuni e consolatori – ha tuonato il Vescovo – e si faccia carico di questa intelligenza critica della fede che Gesù stesso ha portato nel mondo. Quella dell’uomo che considera Dio un ‘Dio-ingiusto’ è una bestemmia”. Ma nel tempo e nel luogo della morte l’uomo è anche più disponibile all’ascolto di Dio ed è lì che Egli si può comunicare come il “Dio-crocifisso”, il Dio che non evade la sofferenza degli esseri umani, ma egli è un Dio si è incarnato proprio per sopportare tale sofferenza e rilanciarla insegnando la solidarietà agli esseri umani.