Vivere il ministero in comunione e a servizio del gregge di Dio

Già da diversi anni, per volontà del nostro Vescovo, i sacerdoti del vicariato di Noto si incontrano ogni martedì e giovedì mattina in Cattedrale per pregare insieme le Lodi mattutine, e ogni sabato mattina per celebrare la S. Messa.
Questa mattina, nell’omelia alla celebrazione sabatina, il Vescovo ha rivolto ai presbiteri un invito a vivere autenticamente il loro ministero in una comunione “effettiva” e “affettiva”, comunione che implica la diffusione della carità di Cristo tra il suo gregge, attraverso esempi di donazione totale a Dio per poi divenire dono per gli altri.
Di seguito il testo integrale dell’omelia.
 
Cari fratelli e sorelle, soprattutto voi, carissimi presbiteri, che nella messa sabatina esprimete, attraverso la preghiera questa comunione ecclesiale col vescovo nel presbiterio.
Una comunione, quella nostra, che abbiamo sempre detto essere effettiva in virtù del sacramento che è in noi. Non potremmo mai, per nessun motivo, andar fuori da questa comunione effettiva perché è fondata ed è costituita dal Sacramento dell’Ordine, per cui anche se un presbitero ce la mettesse tutta per dire “io mi tengo fuori” non potrebbe. È una comunione effettiva che diventa “affettiva”, ma non perché noi ci scambiamo le nostre simpatie o i nostri giudizi amorevoli. Questa comunione effettiva, per il sacramento, diventa affettiva quando circola tra di noi un unico affetto, che è l’affetto del Signore Gesù. Sicché i presbiteri possono e devono odorare di pecora, ma devono avere il profumo di Cristo, il “bel pastore” che offre la vita per il gregge. Odori di pecora perché guardi la folla come Gesù e hai compassione perché essa non ha il destino di essere folla, ma la vocazione di essere un popolo. E la differenza tra folla e popolo è questa: la folla è senza pastore, senza guida, mentre il popolo di Dio ha il pastore, ha la guida.
Allora carissimi presbiteri, la nostra comunione, la comunione tra di noi, che è effettiva in virtù del sacramento, diventa affettiva quando ognuno di noi dona la propria vita, realmente, radicalmente, al ministero sacerdotale, a questa pastoralità diffusa di Gesù all’interno delle diocesi attraverso il ministero apostolico. E allora qui capiamo bene che tutto ciò che deve accadere tra di noi è certamente psicologico, emotivo, ha a che fare con i nostri sentimenti più umani ma non si tratta di questo quando parliamo di affetto. Quando parliamo di affetto, noi parliamo del nostro legame con Gesù, del nostro impegno per la causa di Gesù, di quell’amore che ha scavato il nostro cuore e che vogliamo diffondere, donare.
Gratuitamente voi avete ricevuto il giorno del vostro Battesimo e della vostra Ordinazione sacerdotale, adesso quest’amore, che gratuitamente avete ricevuto, lo dovete donare espandendolo. Quest’affetto che ci lega, ci convoca a donare la vita per gli altri e ci fa diventare cristiani. Noi sappiamo bene che non siamo diventati presbiteri perché eravamo cristiani, certo occorreva esserlo per diventarlo, ma l’essere presbiteri non è un fine nella nostra vita, resta un mezzo, uno strumento. Il fine è diventare e restare cristiani. È il cristianesimo che noi dobbiamo avere difronte come affetto vero del nostro cuore, e questo ci permette di verificare quotidianamente la nostra vita e domandarci – come stiamo facendo in Visita Pastorale, in questi ultimi tempi – quanto veramente siamo cristiani e quanto invece restiamo cattolici convenzionali. Il cattolicesimo convenzionale è quell’apparato religioso che ha permesso a tanti presbiteri di vivere la loro vita religiosa dentro la struttura, dentro la regola, e molto spesso senza passione senza impegno per il Signore. Pensiamo ad esempio a quel cattolicesimo che permette ai nostri confratelli presbiteri di celebrare l’Eucaristia anche nella distrazione più totale, e di dire pure le parole della consacrazione pensando ad altro. Il cattolicesimo convenzionale è anche quello che ci permettere disattendere alla preghiera del breviario dopo averne preso l’impegno. “Tanto – ecco la grande scusa – io mi dono totalmente per gli altri”. E Gesù – abbiamo ascoltato – poiché questi “non avevano tempo nemmeno per mangiare”, tanto erano presi dalla folla, dice loro “ritiratevi”. Ritiratevi a pregare, abbiate riposo in Dio, pregate, perché senza preghiera anche la cosiddetta opera di carità non è carità. “Dessi anche il mio corpo a bruciare, potrei non avere la carità” (Cfr. 1Cor 13) dice Paolo, “prendessi tutti i miei averi e li dessi ai poveri, potrei non avere tutta la carità” (l.c.) la carità infatti non sta tanto nell’opera che faccio, nella vicinanza ai poveri, già Mazzolari poteva dire: “far strada ai poveri senza farsi strada”, questa è la carità! Tante volte nella Chiesa, nel cattolicesimo convenzionale, le forme della carità e le forme della vicinanza ai poveri possono essere modi con cui ci facciamo strada noi. Ecco il cristianesimo come urge. Urge come radicalismo spirituale. Controlla bene tutte le operazioni che fai, anche quella di prendere i tuoi averi e di darli ai poveri, controllala bene perché potresti non avere la carità, e il tuo gesto non servire a nulla. Ecco, cari confratelli, incoraggiamoci reciprocamente. L’affetto tra di noi deve scorrere reciprocamente a fiumi, perché quell’affetto è il profumo di Cristo che portiamo nel mondo. Se profumiamo di Cristo, odoreremo di pecora, perché porteremo le pecore al pascolo e porteremo al vento dello Spirito e al profumo di Cristo temperando quella inevitabile puzza di noi pecore, insieme al popolo di Dio, pecore dell’unico Pastore, che per la fragilità della nostra vita, per le nostre miserie, inevitabilmente produciamo. E così si farà giustizia spirituale, mistica, perché il profumo di Cristo entrerà nella vita delle pecore e questi non saranno più una folla, ma finalmente il Nuovo popolo di Dio. Così sia.