Rosa e Giorgio Ruta (febbraio 2008)

Un viaggio inizia per tanti motivi, ma questo viaggio con destinazione la diocesi gemella per noi, Giorgio e Rosa, aveva un’unica motivazione: sentirci parte della universalità della Chiesa. Così questa è stata l’occasione per sperimentare che lo Spirito che anima la Chiesa non ha limiti né confini, piuttosto si espande fino agli estremi confini della terra, finanche dove talvolta ci si chiede: “ma Dio dov’è”? Abbiamo visto che vent’anni di gemellaggio hanno prodotto tantissimi benefici soprattutto per la popolazione che abita attorno alle parrocchie. Meno per i lontani che riescono ad accedere alle scuole, agli ospedali, agli aiuti materiali, al sostegno spirituale e alla possibilità di un lavoro solo dopo ore o giornate di cammino. Quella che abbiamo trovato nel nord Kivu è una Chiesa che come madre si fa carico di ogni bisogno delle persone che abitano il territorio. Certo le possibilità sono limitate, ma c’è attenzione e preoccupazione. E allora gioia, pace interiore, fiducia sono i sentimenti che hanno invaso i nostri cuori nonostante le contraddizioni che si presentavano ai nostri occhi: da una parte terreni fertili e coltivati, ricca vegetazione, un popolo con una propria identità, desiderio di progredire, generosità, clima festoso, grande senso dell’ospitalità e dell’accoglienza, senso di aggregazione e appartenenza, grande speranza e impegno, e dall’altra strade sterrate, case di fango e paglia, persone malnutrite, abiti logori, condizioni igienico sanitarie pessime, impossibilità di realizzare i propri progetti e dare risposte ai propri bisogni per mancanza di mezzi e strutture. Questi sentimenti di gioia e serenità non provenivano dall’indifferenza per quanto stavamo conoscendo, piuttosto dalla speranza che questa povertà, grande e grave che si vive nella diocesi di Butembo-Beni, possa finire e lasciare il posto ad un mondo migliore, anche attraverso il nostro contributo. Un altro sentimento che ci ha accompagnato è la tenerezza che ci ha suscitato la vista di un bambino che, all’uscita di scuola, conservava i suoi quaderni dentro il sacchetto di plastica dove, il giorno prima erano contenute le caramelle che avevamo donato loro. Forse lo considerava un regalo dei fratelli gemelli o forse è l’arte del riciclaggio che in queste condizioni aiuta a sopravvivere… Tanta tenerezza abbiamo provato inoltre per il batticuore e la meraviglia che ci ha manifestato una bimba. Ci guardava tenendo la testa bassa e coprendosi la bocca con la mano. Poi quando per rassicurarla l’ho avvicinata a me (Rosa) e le ho offerto la mia mano mi sono accorta della sua emozione: il suo cuore non batteva, ma galoppava, come se dovesse finirmi tra le mani da un momento all’altro. Tanti sorrisi ci sono rimasti impressi nel cuore e ogni volta che rivediamo quei volti, sia dei bambini, sia dei giovani che degli anziani, sul display della macchina fotografica ci rendiamo conto di come davvero li abbiamo portati con noi, di come oramai fanno parte della nostra vita. Quello che lascia l’amaro in bocca sono le ingiustizie che le persone di alcuni villaggi, soprattutto nella zona più a Sud di Butembo, hanno subito, e che ancora subiscono o potrebbero subire. La bestialità dell’uomo che si accanisce contro un altro uomo: il maschio sulla femmina, l’adulto sul bambino, il ragazzo sull’infante, l’armato sul disarmato, ci deludono profondamente. Non possiamo scordare quelli voci che chiedono di essere guarite, quei sorrisi ricchi di speranza o quegli occhi belli, grandi e gioiosi perché vedono nel fratello gemello il portatore di salvezza, e che, ben oltre dal risolvere le loro povertà, ci chiedono giustizia affinché ogni bambino possa mettere a frutto le proprie potenzialità, affinché ogni genitore possa donare ai propri figli il benessere e la serenità per affrontare la vita, affinché ogni ammalato possa essere curato. Affinché ogni persona possa ricevere giustizia ancora tantissimo lavoro rimane da compiere e non si tratta solamente di non far mancare il contentino dei “bon-bon” e l’“argent” per costruire o progettare. In virtù del gemellaggio, ma ancora di più in nome dell’universalità della Chiesa, sentiamo di appartenere al popolo di Butembo-Beni, soprattutto agli abitanti della parrocchia di Magheria gemellata con la nostra parrocchia di san Paolo a Pozzallo. Sentiamo di appartenere tanto alla loro miseria quanto alle loro ricchezze. Riteniamo dunque importante poterli chiamare per nome e non solo “fratello-gemello”, ascoltare i loro sogni e non solo vestirli, trascorrere il tempo con loro, accompagnarli e non semplicemente donare un sorriso frettoloso. Il viaggio ci ha fornito un assaggio delle povertà e delle ricchezze, qualche fratello lo abbiamo potuto chiamare per nome e ci portiamo nel cuore il desiderio di alimentare la fratellanza e la condivisione reciproca superando la tentazione di assumere atteggiamenti da genitore o peggio ancora da professore, oppure da fratello maggiore. Credendo alla frase del Vangelo “I poveri saranno sempre con voi” abbiamo sempre avuto chiaro che non sono gli sforzi umani che potranno debellare la povertà nel mondo. Forse perché dalla povertà vengono lezioni di vita, abbiamo pensato nel nostro cuore. Questo per dire che eravamo preparati alla vista della povertà. Ma non a quella delle ingiustizie, né ci eravamo interrogati a che cosa esse potessero servire. Anzi, ce lo chiediamo ancora ora.

 

Rosa Maria Padua e Giorgio Ruta,
responsabili diocesani della pastorale familiare