Quarta Lettera ai presbiteri del nostro vescovo Mons. Antonio Staglianò: Dove dimori, Maestro?

Figli diletti del presbiterio dell’amata Chiesa di Noto,
carissimi Presbiteri, confratelli nel sacerdozio,

 

vi saluto nella gioia del Signore che viene e ci porta la pace, ci dona speranza, ogni giorno,nello scorrere veloce della nostra esistenza umana. Inizia il nuovo anno, il 2011, e come ogni nuovo anno, per noi, è ancora tempo natalizio: è tempo ‘nuovo’, della novità che l’Incarnazione ha portato nel mondo e non semplicemente dell’avanzare cronologico. Il tempo, lo sappiamo, non è tanto il kronos divoratore di ogni istante, ma il kairòs della Provvidenza divina che si annuncia, promette e accompagna la vita di ogni uomo. In questo tempo, quest’anno nuovo 2011, vorremo continuare a ‘rendere ragione della speranza’ consegnataci dal piccolo di Betlemme. E desideriamo farlo in modo creativo, per quella fantasia della carità che è nella nostra vita un dono dall’Alto. Bramiamo di farlo meglio, insieme, e per tutti.

Nel messaggio di Avvento ho voluto, per questo, rivolgermi anche ai fratelli e alle sorelle che si sentono lontani dalla Chiesa, perché non ne condividono le dottrine e la predicazione o gli stili di vita e gli atteggiamenti. Anche per loro la memoria della venuta nella carne del Figlio di Dio è una ‘buona notizia’ di speranza, di pace e di amore. Lo è, infatti, per tutta l’umanità, per ogni uomo ‘di buona volontà’, per tutti gli uomini amati da Dio, lo vogliano o no. Lo è realmente, questa è la verità.
E però: chi, e con quali modalità, è chiamato a mostrarla questa verità? I cristiani, e particolarmente noi presbiteri, impegnati a guidare il popolo di Dio sulle sue vie, siamo coloro che devono ‘rendere ragione’ di questa verità e di questa speranza, attraverso un cristianesimo più incarnato, capace di prendersi cura fattivamente di tutto il bisogno umano (qualunque sia la forma della sua emergenza), corrispondendovi con l’amore, l’agape, la carità operosa.
Tutti i cristiani, ma anzitutto e soprattutto noi presbiteri dobbiamo porci l’interrogativo inquietante che sgorga da una contemplazione verace e autentica (e non semplicemente estetizzante) del presepe: ‘se sei un uomo, dimmi, sei anche umano?’; dovendo poi avere la misura dell’umano, non potremo non domandarci: ‘quali sono le forme concrete e gli spazi oggettivi o i tempi precisi nei quali splende la nostra umanità’?

 

 

30-01-2011