«ARIA DI PARADISO»

Omelia nella Santa Messa della Prima Visita Pastorale a Scicli
20-04-2023

«Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti, ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra» (Gv 3,31). In queste parole troviamo la solenne conclusione del dialogo amichevole e intenso tra Gesù e Nicodemo che la liturgia ci ha proposto in questi giorni.

Fin dalle prime parole Gesù invita il capo dei farisei ad alzare lo sguardo, a contemplare le cose del cielo: chi non rinasce dall’alto non può capire le Sue Parole né può entrare nel Regno che Dio vuole attuare.

Il vangelo ci dice chi non accoglie in semplicità lo Spirito di Dio non può riconoscere Gesù come Colui che discende dal Cielo, è lo Spirito che ci fa conoscere Gesù, il testimone fedele di Dio. Gesù vive nella carne, entra nella storia del mondo, nella storia di tutti noi, storia fatta di gioie e di dolori e diventa uno di noi in tutto tranne che nel peccato, ma non appartiene alla terra, né viene dalla terra: è un frammento di Cielo donato all’umanità, Lui ha portato sulla terra l’aria del Paradiso. Lui, il cuore del Paradiso che dà vita ad un’umanità ferita dal peccato.

Scrive l’Apostolo Pietro nella Seconda Lettera: «Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina». E nel secondo secolo Sant’Ireneo scriveva nel II secolo dopo Cristo: «Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19).

Gesù diventa Figlio dell’uomo, perché il figlio dell’uomo divenisse il Figlio di Dio: è quello che avvenuto con i discepoli, con i santi, è quello che avviene oggi per ciascuno di noi.

L’uomo, che per sua natura appartiene alla terra, è chiamato a vivere nella luce della grazia, è chiamato a desiderare il Paradiso. Sant’Agostino nelle sue invocazioni diceva: «Ci hai creato per Te Signore, e il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in Te». Non siamo più soggetti all’istinto della carne ma ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio, come dice l’Apostolo Paolo: «Viviamo nella carne, ma non combattiamo secondo la carne» (2Cor 10,3). 

Nella teologia di Giovanni cielo e terra sono radicalmente opposti, il cielo è il luogo della grazia, la terra è il luogo del maligno, poli distanti della vicenda umana. Il cielo la nostra vocazione, la nostra vera casa, la nostra vera patria, la terra lo spazio dove viviamo e possiamo perderci. Ma è il luogo in cui ciascuno di noi può santificare la propria vita. Dobbiamo scegliere da che parte stare! Nel Vangelo non ci sono mezze misure, non c’è spazio per i fragili e inutili compromessi: se siamo davvero rinati dall’alto non parliamo più secondo criteri terreni, non siamo attaccati alle cose mondane ma camminiamo secondo lo Spirito che ci insegna a cercare anzitutto il Regno di Dio.

Vedere le cose da queste due prospettive fa la differenza nella vita di una persona. Noi siamo abituati a vedere la nostra vita dal basso, senza coglierne fino in fondo il significato profondo. Vedere le cose dalla prospettiva di Gesù significa vederle dall’alto e avere così l’opportunità di coglierne un senso più profondo, una sorta di visione d’insieme è quello che Gesù dice ai suoi discepoli, quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me e dall’alto della croce che Gesù giudica il mondo ma il suo non è un giudizio di condanna il suo è un giudizio di perdono un giudizio di misericordia. La nostra conversione dovrebbe consistere innanzitutto nel cambiare la prospettiva. Pensare e vedere con gli occhi di Dio. La logica di Dio e non quella dell’uomo.

È la grande decisione di cominciare a guardare la nostra vita non dai nostri ragionamenti e dalle nostre razionali constatazioni ma dall’alto dello sguardo di Cristo che ne sa cogliere sempre un significato più totale, più complessivo.

Nell’ascolto della Parola di Dio si gioca molto della nostra fede. Il nostro rapporto con l’ascolto è ciò che cambia completamente la nostra vita. Dovremmo quasi dire che il primo verbo dell’amore è l’ascolto.

«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questo è il fondamento di ogni comandamento l’ascolto mettersi in ascolto di Dio. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai». (Dt 6,4-7)

Carissimi Fratelli e Sorelle chi ama ascolta. Nessuno di noi può davvero dire di amare Dio se non lo ascolta. L’amore è la capacità di mettersi davvero in ascolto di chi si ama. Senza questo ascolto il rapporto non esiste. Senza la preghiera non si va da nessuna parte e oggi si prega poco, molto poco o quasi niente.

Crediamo, quindi, in una Chiesa che sappia incarnare lo spirito delle Beatitudini senza distinzioni, senza alcuna pretesa se non quella di contemplare il Suo Volto. Siamo chiamati a vivere il nostro dialogo con Dio in una comunità che non abbia paura della contemplazione come principio e compimento della missione. Le nostre Chiese diventino casa di preghiera e spazi vitali di contemplazione.

Dobbiamo saper leggere i segni, se vogliamo vivere da cristiani nel mondo. L’amore indica una via rivoluzionaria, la via della misericordia. L’amore è sempre rivoluzionario perché rompe i confini, perché non accetta, come dice Papa Francesco, il «si è sempre fatto così», perché inventa modi sempre nuovi per rispondere a quello di cui c’è bisogno.

L’amore ha proprio questa capacità di leggere la realtà viva, è sempre concreto. Generare la speranza dice della nostra miracolosa capacità di rimettere al centro le persone che incontriamo riconoscendole, favorendo le condizioni per una vita dignitosa, perché le loro qualità possano fiorire. La carità è l’unica alternativa alla cultura dell’indifferenza o del dominio. È nome di un movimento che mette in ascolto il cuore.

Ad immagine di Dio che esce e va incontro all’uomo, così la Chiesa è chiamata ad uscire per andare con passione d’amore coraggioso verso l’uomo. Lascia il centro per abitare nelle periferie esistenziali dove l’invocazione di chi è ferito sale incessante verso il Cielo. Il cristiano, a tempo pieno, non è quello che rimane seduto a specchiarsi nella sua fede o a discuterla a tavolino, bensì quello che esce da se stesso e, trasfigurato dall’incontro con il Cristo Risorto, prende con coraggio la sua croce e va per le strade per condividere con tutti la gioia del Vangelo.

È urgente seguire il chiaro invito di San Giovanni Paolo II a rimettere al centro il Mistero che ha un volto ben preciso, Gesù Cristo, il Risorto e il Redentore dell’uomo. Deve essere recuperata, inoltre, come suggerisce Papa Francesco, la categoria di incontro, per essere capaci di esprimere il modo con cui Dio si rivela all’uomo mediante il Cristo Salvatore. Essere cristiani, significa, principalmente incontrare il Signore.

Conosciamo bene tutte queste cose ma nel concreto della vita, nei vari passaggi dell’esistenza sperimentiamo tutta la fatica di vivere nella luce della Parola. Nelle nostre scelte c’è ancora troppo calcolo, chi si avvicina a noi non sente il profumo dello Spirito né percepisce che cerchiamo Dio con tutto il cuore e con tutte le forze. Oggi chiediamo la grazia di riconoscere i nostri limiti e di ripartire dall’alto…da Colui che non è mai stanco di donare luce e vita in abbondanza.