«DIO IN UN PEZZO DI PANE»

Omelia nella Solennità del Corpus Domini Basilica Cattedrale
02-06-2024

Carissimi fratelli e sorelle,
carissimi confratelli sacerdoti e diaconi, oggi, mentre celebriamo la Solennità del Corpus Domini, fermiamo devotamente la nostra attenzione sul centro vitale della nostra fede: l’Eucarestia, il Corpo e il Sangue di Cristo Morto e Risorto.

Contempliamo un piccolo e semplice pezzo di pane in cui è nascosto ma presente il volto misericordioso del Signore Gesù. Avviciniamoci con spirito di profonda umiltà a questo tesoro misterioso e luminoso, segno della povertà e della ricchezza di Dio. Lasciamoci rapire da questa fonte inesauribile di Grazia e di Amore.
Ogni volta che fissiamo gli occhi del cuore e della mente sull’Eucarestia e ci apriamo alla Sua Presenza discreta e nascosta, veniamo inondati di una luce che ci converte, ci fa avvertire il dolore per il male commesso, ci fa desiderare l’Abbraccio di Cristo Risorto. Nel silenzio dell’Adorazione, poi, lo Spirito di Cristo imprime nei nostri fragili e piccoli cuori la nostalgia per il volto del Padre.
L’Eucarestia raccoglie e richiama a Sé il cuore di ogni esistenza umana, diventa il centro del nostro piccolo mondo. È forza che attrae e ordina nell’amore tutte le cose. È il cuore della liturgia, della vita della Chiesa, dell’universo intero.

Scriveva San Giovanni Paolo II: «Quando penso all’Eucaristia, guardando alla mia vita di sacerdote, di Vescovo, di Successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti e i tanti luoghi in cui mi è stato concesso di celebrarla. Ricordo la chiesa parrocchiale di Niegowić, dove svolsi il mio primo incarico pastorale, la collegiata di san Floriano a Cracovia, la cattedrale del Wawel, la basilica di san Pietro e le tante basiliche e chiese di Roma e del mondo intero. Ho potuto celebrare la Santa Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare; l’ho celebrata su altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città… Questo scenario così variegato delle mie Celebrazioni eucaristiche me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 8).

Tutto nel Pane Eucaristico trova senso e unione e tutto riparte. Dall’Eucarestia si sprigiona il grido e il desiderio di Gesù Cristo per la salvezza di ogni uomo.
Nel Pane eucaristico il fuoco dello Spirito desidera accendere tutto il mondo con la sua Divina Grazia.
Nel Pane eucaristico il Verbo esce dal seno del Padre per raggiungere e portare con Sé coloro che il Padre gli ha affidato. L’Eucarestia è l’origine di ogni nostra missione evangelizzatrice.

Gesù manda i suoi discepoli perché vadano a preparare il luogo dove celebrare e vivere la Cena pasquale. Erano stati loro a chiedere: «Maestro, dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12). Mentre contempliamo e adoriamo la Presenza del Signore nel Pane eucaristico, siamo chiamati anche noi a domandarci: in quale «luogo» vogliamo, noi discepoli del Signore, oggi, preparare la Pasqua del Signore? Quali sono i «luoghi» e gli «spazi» della nostra vita in cui Dio ci chiede di essere ospitato?

Vorrei soffermarmi su tre immagini del Vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 14,12-16.22-26).

La prima immagine è quella dell’uomo che porta una brocca d’acqua (cfr. v. 13). Un dettaglio che sembrerebbe marginale, periferico, di contorno. Ma non è così. Quell’uomo del tutto anonimo diventa la guida per i discepoli che sono alla ricerca del luogo chiamato poi Cenacolo. E la brocca d’acqua è il segno di riconoscimento: un segno che riporta la nostra mente all’umanità assetata, sempre alla ricerca di una sorgente d’acqua che la disseti e la rinnovi.
Tutti noi, carissimi fratelli e sorelle, camminiamo nella vita con una brocca in mano: tutti noi, ognuno di noi ha sete di pace, amore, felicità e gioia. E per questa sete, l’acqua che serve viene da Dio: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7,38). La Grazia è dono di Dio. Dio stesso!

Per celebrare l’Eucaristia, dunque, bisogna anzitutto riconoscere il proprio stato, la propria sete di Dio: dobbiamo sentirci bisognosi di Lui, desiderare la Sua Presenza e il Suo Amore, essere consapevoli che non possiamo farcela da soli ma abbiamo bisogno di un Cibo e di una Bevanda di vita eterna che ci sostengano nel cammino.

Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Il dramma di oggi è che questa sete si è definitivamente estinta. Si sono spente le domande su Dio, non parliamo più con il Cielo, si è affievolito il desiderio di Lui, si fanno sempre più rari i cercatori di Dio.
La cultura dell’effimero e del non senso ci fa dire che Dio ha perso il Suo fascino. Non ha più nulla da dirci con la Sua Parola! Dio non attira più perché non abbiamo più sete di Lui.
Ma solo dove c’è un uomo o una donna con la brocca per l’acqua, il Signore può svelarsi come Colui che dona la vita nuova e vera, che nutre di speranza certa i nostri sogni e le nostre aspirazioni, presenza d’amore che dona senso e direzione al nostro pellegrinaggio terreno. Il Signore ci conceda la nostalgia del Cielo!

È quell’uomo con la brocca che conduce i discepoli alla stanza dove Gesù istituirà l’Eucaristia. È la sete di Dio che ci porta all’altare. Se manca la sete, le nostre celebrazioni diventano aride e noiose, stantie e monotone: senza il senso della gioia e della festa, celebriamo riti esteriori che non toccano il cuore. Come Chiesa, allora, dobbiamo andare in città, incontrare la gente, imparare a riconoscere e a risvegliare la sete di Dio e il desiderio del Vangelo.

La seconda immagine è quella della grande sala al piano superiore (cfr. v. 15). È lì che Gesù e i suoi vivranno la cena pasquale: in una sala di una casa di uno sconosciuto che ha aperto il suo cuore a Dio. Diceva don Primo Mazzolari: «Ecco che un uomo senza nome, un padrone di casa, gli presta la sua camera più bella. […] Egli ha dato ciò che aveva di più grande perché intorno al grande sacramento ci vuole tutto grande, camera e cuore, parole e gesti» (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).
Una sala grande per un piccolo e semplice pezzo di Pane. Una sala grande per un piccolo pezzo di pane. La nostra cattedrale così bella per un piccolo pezzo di pane deposto sul nostro altare. Dio si fa piccolo in un pezzo di pane e proprio per questo occorre un cuore grande per poterlo riconoscere, adorare, accogliere e raccogliere la Sua Fragranza. Profumo di amore vero e puro.

La Presenza di Dio è così umile, silenziosa, nascosta, talvolta invisibile, che ha bisogno di un cuore desto, vigile, preparato e accogliente per essere riconosciuta. Invece, se il nostro cuore, più che ad una grande sala, somiglia ad uno sgabuzzino dove conserviamo le cose vecchie; se somiglia ad una soffitta dove abbiamo riposto definitivamente la nostra gioia e i nostri sogni, i nostri problemi e le nostre amarezze, allora sarà impossibile riconoscere questa silenziosa e umile presenza di Dio. Ci vuole una sala grande. Posta al piano superiore. Al di sopra delle nostre attese. Bisogna avere un cuore grande. Il cuore del cristiano non è mai piccolo e meschino. Occorre uscire dalla piccola stanza del nostro io ed entrare nella vita avvolta dallo stupore e dall’adorazione.

Se manca lo stupore e l’adorazione, non c’è strada che possa condurci al Signore. Questo è l’atteggiamento davanti all’Eucaristia, di questo abbiamo bisogno: adorazione e preghiera! Anche la Chiesa dev’essere una sala grande. Non un circolo piccolo e chiuso, ma una Comunità con le braccia spalancate, accogliente verso tutti.
Chiediamoci: quando si avvicina qualcuno che è ferito, che ha sbagliato, che ha un percorso di vita diverso, la Chiesa, questa Chiesa, riesce ad accoglierlo e condurlo alla gioia dell’incontro con Cristo?
L’Eucaristia vuole nutrire chi è stanco e affamato lungo il cammino, sanare le ferite dell’anima, non dimentichiamolo! La Chiesa dei perfetti e dei puri è una stanza in cui non c’è posto per nessuno; la Chiesa dalle porte aperte, che festeggia attorno a Cristo, è invece il luogo dove tutti – giusti e peccatori – possono entrare.

Infine, la terza immagine, l’immagine di Gesù che spezza il Pane. È il gesto eucaristico per eccellenza, il gesto fondante la nostra fede, il luogo del nostro incontro con il Signore che si offre all’umanità per farla rinascere ad una vita nuova.
Anche questo gesto è sconvolgente: fino ad allora si immolavano agnelli, tortore e colombe e si offrivano in sacrificio a Dio, ora è Gesù che si fa agnello e si immola per donarci la vita. La croce diventa l’ostensorio di Dio.
Nell’Eucaristia contempliamo e adoriamo il Dio dell’amore. È il Signore che non esige sacrifici ma sacrifica Sé stesso. È il Signore che non chiede nulla ma dona tutto.

Per celebrare e vivere l’Eucaristia, anche noi siamo chiamati a vivere questo amore. Perché non puoi spezzare il Pane della domenica se il tuo cuore è chiuso e non si apre ai fratelli. Non puoi mangiare questo Pane se non offri il pane all’affamato. Non puoi condividere questo Pane se non condividi le sofferenze di chi è nel bisogno. Alla fine di tutto solo l’amore resterà. E fin da adesso le nostre Eucaristie trasformano il mondo nella misura in cui noi ci lasciamo trasformare in pane spezzato per gli altri.

Fratelli e sorelle, dove «preparare la Cena del Signore» anche oggi? La processione con il Santissimo Sacramento ci ricorda che siamo chiamati a uscire portando Gesù. Uscire con entusiasmo portando Gesù Cristo a coloro che incontriamo nella vita di ogni giorno. Diventiamo Chiesa con la brocca in mano, che risveglia la sete e porta l’acqua. Spalanchiamo il cuore nell’amore, per essere noi la sala spaziosa e ospitale dove tutti possano entrare a incontrare il Signore.

Per questo rivolgo nuovamente a ognuno di voi l’invito della Chiesa: il mondo attende Cristo. Non dobbiamo avere paura di annunciarlo. Quanta persone incrociamo durante le nostre giornate! Incontriamole, apriamo le nostre porte, tendiamo le nostre mani, visitiamo anche le situazioni più difficili, facciamo loro compagnia! Un popolo che si muove può essere l’iniziatore di infiniti fuochi, anche piccoli, in cui si riflette la vita nuova e la speranza che si incontrano in Cristo Salvatore!

Spezziamo la nostra vita nella compassione e nella solidarietà, perché il mondo veda attraverso di noi la grandezza dell’amore di Dio. E allora il Signore verrà, ci sorprenderà ancora, si farà ancora cibo per la vita del mondo. E ci sazierà per sempre, fino al giorno in cui, nel banchetto del Cielo, contempleremo il suo volto e gioiremo senza fine.