“In cammino con Maria”

Omelia nella festa di Santa Maria Odigitria. Delia, chiesa S. Maria d'Itria,
30-05-2023

Ringraziamo la Vergine Maria, venerata in questa Chiesa con il titolo di Odigitria, Santa Maria del cammino. Lei ci indica il Figlio suo come meta del nostro pellegrinaggio sulla terra. Alla sua maternità divina affidiamo la vita delle nostre comunità cristiane, perché si rafforzi la comunione in Cristo e il senso di partecipazione alla sua missione redentrice. Contempliamo in Maria la primizia della redenzione e il compimento delle promesse fatte dai Dio ai santi padri: il suo sì incondizionato al Signore fortifichi ogni nostro passo e ogni nostra decisione sia valutata alla luce del volere del Signore. Nella Prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, ci viene ricordato che il Signore, ogni volta che il suo popolo si trova nella prova, interviene per donargli la speranza. Il profeta ricorda come il Signore abbia costruito una strada nel mare, dove passarono gli egiziani, cavalieri e carri, ma essi morirono tutti. Invita a non pensare più alle cose passate, ma a scorgere la novità che il Signore ha fatto per il Suo popolo, novità che ora germoglia, anche se il popolo non se ne accorge e il Signore, ancora, farà una strada nel deserto e metterà fiumi nella steppa per dissetarlo. Anche a noi viene proposta l’esperienza concreta di una vita nuova, di un cammino nuovo, di riuscire a scoprire la strada che Dio ha tracciato per noi. Il ricordo del passato deve condurci a cercare la novità: il passato, carico di affetto e storie personali, ci appartiene ma non deve ostacolare il nuovo cammino. Chi ci è stato di esempio è sempre con noi, nel nostro cuore. E gli insegnamenti dei testimoni rimangono per sempre. Nella Seconda lettura San Paolo ci ricorda che la liberazione dalla schiavitù ha avuto inizio in un momento ben preciso della storia. Quando Dio ha mandato il suo Figlio. Egli ha voluto che lo stesso Figlio si integrasse pienamente nella storia umana. È nato da una donna, come qualsiasi persona umana, è nato sotto la Legge, cioè all’interno di un popolo e di un sistema culturale. Il Figlio si è fatto totalmente solidale con i fratelli del popolo di Israele, fino alla morte in croce, perché questi suoi fratelli potessero passare dalla condizione di schiavi a quella di figli. Tale liberazione vale anche per tutti gli altri popoli, se si associano alla morte di Gesù Cristo attraverso il battesimo. Anche noi siamo figli e questo viene ribadito dalla presenza dello Spirito che è sceso su coloro che hanno ricevuto il battesimo. Essi possono rivolgersi a Dio nella preghiera con il titolo affettuoso di Abbà, Padre. Era il termine aramaico con cui i bambini chiamavano il loro papà. Questo è un elemento di novità del cristianesimo. I giudei non avrebbero mai osato rivolgersi a Dio in questi termini e il primo a introdurre tale usanza è stato proprio Gesù. Con il battesimo i cristiani partecipano della figliolanza di Gesù Cristo, quindi non sono più schiavi di nessuna legge. Anzi questa loro figliolanza li rende eredi della vita eterna e tutto questo per la bontà di Dio, per la sua volontà di renderli partecipi. Leggere questo brano di Galati nel giorno in cui ricordiamo Maria ci riporta dunque alla nostra vocazione più vera. Anche noi siamo chiamati figli di Dio come lo è Gesù. Egli ha percorso il normale iter di nascita e di crescita umana, è nato da una donna come tutti noi. Egli si è sottomesso alla legge del popolo in cui è nato, Israele. Con la sua vicenda umana però, attraverso la sua morte e risurrezione ci ha riscattati da tutto quello che nella nostra situazione terrena ci rendeva schiavi, ci ha resi figli di Dio, ci ha donato la vera libertà. Nella pagina evangelica, Luca presenta il cammino di Maria verso la casa di Elisabetta, dove la Vergine canta l’inno d’amore ed esultanza nella casa dei poveri e degli ultimi, degli uomini di Dio, scelti e amati dal Signore. Maria canta la storia della salvezza e il dispiegarsi dell’Eterno per un gesto d’amore infinito. «Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la Sua misericordia» (Rm 5, 20). E Dio che si «ricorda» del suo amore, svela all’uomo Se stesso. Volto misericordioso di un Padre che ascolta il canto d’amore di una fanciulla. La Vergine Maria, nel Magnificat, ci offre l’esempio della donna che «ricorda» la memoria di quello che Dio ha operato nella storia del popolo d’Israele e di ciò che il Signore attua per noi nella vita di ogni giorno. Questa è l’opera di santificazione. Il Magnificat ci ricorda che nella quotidianità della storia, Dio manifesta la Sua misericordia. Maria è la protagonista di un gesto così rivoluzionario che rimarrà unico per tutti coloro che vogliono prendere a cuore il mistero di Dio. Maria davanti all’annuncio dell’angelo non si ritira in una preghiera solitaria, solipsistica, ma sente l’urgenza di trasformare in un inno di carità il dono ricevuto. Il canto è espressione di un cuore felice e colmo di gratitudine. E Maria canta la sua storia, la racconta, la condivide, ha il coraggio di guardare anche avanti, al futuro e ricorda che Dio disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, rovescia i potenti e gratifica grandemente gli umili, ricolma di beni chi è affamato e a chi si crede ricco lo lascia a mani vuote. L’esperienza della fede è saper scorgere un misterioso e forse piccolo bene lì dove tutti vedono solo fragilità e inquietudini, ingiustizia e imprevisti. Ma il dono di questo sguardo viene donato solo a coloro che sanno spendersi nella carità concreta, così come ha fatto la Vergine Maria. Anzi è proprio Lei che ci dice qual è lo scopo vero di ogni carità: portare gioia nella vita degli altri. Chi sa fare questo trova gioia anche per sé. Dobbiamo guardare con occhi nuovi il canto di Maria che, molte volte, la routine imprigiona semplicemente come canto di ringraziamento, ma che è, nella sua articolazione più intima, una fonte inesauribile di gioiosa vita spirituale, un robusto itinerario di fede. Nel Magnificat Maria esce fuori dal suo personale silenzio e spiega il significato del suo consenso. Con il Magnificat ci troviamo dinanzi alla grande sintesi dell’esperienza di fede e di santità di Maria. Questo inno non è una parentesi, un segmento, un punto, un’espressione: è la historia salutis e presuppone tutto, ma proprio tutto ciò che la Vergine Maria ha vissuto. È impossibile conoscere Maria senza prendere in considerazione queste parole che sono la traduzione dei suoi sentimenti intimi di fronte al volere di Dio. Se ella adesso canta «Dio ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (vv. 47-48), è perché con coraggio si era già dichiarata «la serva» e «la schiava» del Signore nell’ora dell’Annunciazione (v. 38) ed Elisabetta già l’aveva salutata come «benedetta fra le donne» (v. 42). Quello del Magnificat è un canto a due voci, Dio e Maria, a mille voci se noi volutamente ne facciamo programma di vita spirituale per il nostro essere cristiani. Nessuno vive una vita spirituale feconda 5 se non è capace di costruire la relazione con Dio come un canto vivo fra un «io» e un «tu». La preghiera di Maria non è fatta di formule. Ella espone la sua vita in ciò che dice. D’altro canto, partendo dall’articolazione fortissima che il Magnificat istituisce con la tradizione biblica precedente, possiamo comprendere come Maria cerca alimento e luce nella Parola di Dio. Sia l’architettura globale del canto, sia le idee che vi sono espresse e anche le frasi e le parole utilizzate, riflettono passi già detti, già sperimentati nell’Antico Testamento. È sentire che la nostra storia di fede si alimenta con le storie di chi ci ha preceduto nella fede. La preghiera è assolutamente sua, personale perché espone fatti concreti della sua storia, ma questa singolarità si inscrive in un orizzonte comunitario. È questo, in verità, che ci si aspetta da ogni preghiera: la capacità, da un lato, di essere formulata, come il Magnificat, in prima persona singolare, e, dall’altro, la capacità di unire tale storia personale con la missione della comunità dei credenti. Maria testimonia che l’amore di Dio per gli uomini è davvero autentico, che Dio è fedele alla vita degli uomini, che le sue promesse si realizzano. In questo senso, colei che proclama il Magnificat è la vera icona del popolo di Dio in cammino. È l’icona del popolo che mantiene le promesse date, il popolo che sa fare della trasparenza la propria carta d’identità, è l’icona di comunità che sanno essere leali, unite, compatte e credibili.