STARE AI PIEDI DELLA CROCE

Azione liturgica della Passione del Signore Basilica- Cattedrale San Nicolò
29-03-2024

Carissimi fratelli e sorelle

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèopa e Maria di Màgdala» (Gv 19,25). Questo è il volto della Chiesa chiamata a sostare dinanzi alla brutalità e all’atroce sofferenza della croce: restare sul Golgota solo per amore. Maria sta ai piedi della croce e questo dona forza piena anche al discepolo Giovanni.
Questa è anche comunione con noi perché noi siamo figli. Pietro non rimase: va via senza la spada e con il gallo che continua a cantare nel suo cuore. Ai piedi di ogni dolore si ferma solo chi ama. Solo un amore di più ci fa restare. Resta chi ha un vero amore e non tradisce quello che ha di più caro, che è suo, che fa parte di lui, che gli appartiene. E Gesù nella sua carne appartiene a Maria e così come figlia, Maria appartiene a Gesù.
I discepoli hanno paura e la paura è più forte dell’amore che pure avevano per Gesù. Forse si erano divisi subito, forse qualcuno avrà cercato disperatamente il colpevole, avranno forse continuato la discussione su chi tra di loro fosse il più grande.
E quando si discute su chi è il più grande cresce la divisione, non ci si mette d’accordo su nulla, perché solo gli umili cercano il bene comune, mentre i grandi solo l’amor proprio. I discepoli non restano anche perché non vogliono vedere.
Spesso non restiamo sotto la croce per paura, per non soffrire, per non essere inquietati dalla vista di chi soffre.
Oggi si pone il problema di sempre: chi amiamo? È questo il vero giudizio cui siamo e saremo sottoposti, davanti al quale non ci sono giustificazioni, apparenze e rimandi. Non serve nascondersi dietro le cose da fare, gli impegni, le difficoltà esterne e i condizionamenti.

La croce, ogni croce, passa dal cuore e rivela come e da che parte stiamo. Restare è il primo modo per amare e ci aiuta a sentire personalmente tutto il suo commovente amore, fino alla fine, senza fine.
Attraverso la Sua, vediamo tutte le croci sulle quali vengono inchiodate o inchiodiamo le persone, tutte croci terribili, disumane, ingiuste e insopportabili. Questa croce, la Sua, le illumina tutte, tutte quelle prodotte dalla violenza dell’uomo. Esse sono sostenute dall’amore di Gesù che con la sua croce offre uno spiraglio di luce che ci fa sentire infinitamente amati da Dio. Solo confrontandoci con l’amore di Gesù capiamo chi siamo e ritroviamo un pezzo di umanità. Perché la lezione che viene dal Golgota è una lezione di grande umanità. Il dolore offerto per amore!
Quante croci! Quante croci nella vita del mondo, quante croci nella vita degli altri, quante croci nella nostra vita. Bisogna fermarsi, restare e chiedere anche noi che le piaghe del Signore siano impresse nel cuore di ciascuno! Questo è l’amore.

Il Padre non evita il calice al Figlio, il calice amaro della passione, perché Gesù è venuto per salvare, non per salvarsi o per giudicare il mondo. Quello lo fanno molto bene gli uomini! Lo facciamo, forse, molto bene anche noi! E allora ci chiediamo: ma dove sono gli uomini veri? Che fine hanno fatto? Com’è possibile che continuino a fabbricare croci speculando sul dolore stesso, costruendo croci strumento di morte che possono uccidere milioni di persone? In quante zone del mondo, oggi si è fatto buio fino alle tre del pomeriggio, quanto dolore innocente, quanto sangue sparso inutilmente a causa di tante guerre.
Restiamo come Maria i piedi della croce per fare quello che possiamo, per fare l’impossibile come solo la fede e l’amore possono ottenere. Restiamo perché Dio resta e si mette dalla parte dell’uomo e noi vogliamo stare dalla parte di Dio. Si legge nel vangelo di Luca: «Egli entrò per rimanere con loro» (Lc 24,29). Rimani Signore, non andare!

Scriveva Don Primo Mazzolari: «La primavera incomincia con il primo fiore, il giorno con il primo barlume, la notte con la prima stella, il torrente con la prima goccia, il fuoco con la prima scintilla, l‘amore con il pri­mo sogno.
Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci.
C‘è qualcuno o qualche cosa in noi – un istinto, una ragione, una vocazione, una gra­zia – più forte di noi stessi.
Ci impegniamo per trovare un senso alla vita, a questa vita, alla nostra vita, una ragione che non sia una delle tante che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Si vive una sola volta e non vogliamo essere giocati in nome di nessun piccolo interesse.

C‘interessa di perderci per Qualcuno che ri­mane anche dopo che noi siamo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.
Ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo.
Per amare anche quello che non possiamo accettare, anche quello che non è amabile, an­che quello che pare rifiutarsi all‘amore perché dietro ogni volto e sotto ogni cuore c‘è, insieme a una grande sete d‘amore, il volto e il cuore dell‘Amore.

Ci impegniamo perché noi crediamo nel­l‘Amore, la sola certezza che non teme confron­ti, la sola che basta per impegnarci perduta­mente.
L‘impegno ci spinge più in là: verso Qual­cuno che resti anche quando noi passiamo: ver­so Qualcuno che ci prenda in mano il nostro cuore se il cuore non regge al salire.
Seguendolo, non sappiamo di preciso se lo raggiungeremo, né dove lo raggiungeremo: sap­piamo solo di camminare sulle orme di colui che per avere preso impegno con la verità se­gnò di sangue il proprio sentiero.
Sappiamo di non essere più soli, qualunque sia la nostra strada.

Un cristiano, che non accetta il rischio di perdersi per mantenersi fedele a un impegno di salvezza, non è degno d‘impegnarsi col Cristo».