Il Vangelo della famiglia nutre quei semi che attendono ancora di maturare

“Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le Tue creature…”

Il Cantico delle creature di San Francesco dischiude lo sguardo della fede sulla dimensione “sacramentale” della creazione perché le creature tutte portano in se stesse significatione del loro Creatore, tanto da lasciar trasparire, attraverso ciascuna di loro, un riflesso della bellezza e del volto di Dio.
Fra tutte le cose create, una però ne porta specialissima significatione, poiché non richiama semplicemente il Creatore ma reca, in se stessa, “l’immagine e la somiglianza” di Lui (cfr Gn 1,26-28): è l’unità uomo-donna, insieme alla sua capacità di generare nell’amore. Quest’unica realtà, nella quale si esprime la dimensione “terza” del mistero di Dio, è la famiglia umana la quale è “sacramento naturale” del Creatore, al di là di ogni considerazione strettamente religiosa. Dio infatti – Padre e Figlio e Spirito – è intimamente Famiglia, cosicché ogni famiglia umana ha per fine naturale quello di assomigliare a Dio e farsi, anche inconsapevolmente, esperienza di Dio. Ogni famiglia umana possiede dunque, un’innata bellezza che suscita “gratitudine e stima, a qualunque popolo, religione o regione appartenga” (AL 77).
Fatte tali premesse, è legittimo chiedersi per quale ragione la Chiesa abbia istituito un sacramento distinto e specifico per il matrimonio. La risposta potrebbe venire dalle parole di Gesù sul matrimonio (o meglio sul divorzio): “Per la durezza dei vostri cuori Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così” (Mt 19,8-9). Esse, interpretando l’intenzione autentica di Dio sul matrimonio, lasciano trasparire la fatica che gli uomini incontrano, da sempre, nel corrispondere “naturalmente” al progetto originario della creazione, ovvero quello di generare e coltivare famiglie che siano immagine e somiglianza di Dio stesso. Senza contare che tante famiglie non hanno neppure consapevolezza che il profondo anelito che le ha generate è quello di poter (o dover) assomigliare a Dio, per gustare la pienezza della propria esistenza familiare.
In termini di “economia sacramentale”, si potrebbe addirittura riconoscere una sorta di significativa analogia tra il sacramento del battesimo e quello del matrimonio, nel senso che il sacramento del matrimonio è, in qualche misura, per la famiglia umana, ciò che il sacramento del battesimo è per il singolo. Ciascun essere umano è “naturalmente” un figlio di Dio ma, a causa della fragilità umana, è come se ciò potesse compiersi pienamente solo per mezzo di Cristo e della sua grazia. In ogni essere umano c’è il desiderio innato di vivere da figlio di Dio ma non la capacità di attuarlo.
Ciò detto, il sacramento del matrimonio – al pari del battesimo – sembrerebbe una sorta di rimedio alla “fragilità familiare” della natura umana, che porta in sé le ferite della diffidenza, della ribellione, dell’egoismo, della superbia e ostacola il compimento pieno dell’amore. La famiglia potrà dunque essere naturale sacramento di Dio, a condizione che l’amore che la muove sia l’amore stesso di Gesù, quello cioè manifestato con potenza nella Passione, nella Croce e nella Resurrezione e che ha il potere di vincere le resistenze della natura umana, rendendo l’amore libero dalle catene che lo soffocano e dalle ferite che lo indeboliscono. Ecco la ragione per cui esiste, nella Chiesa, il matrimonio, che può quindi definirsi “sacramento di sacramento”.
Ora, chiediamoci in che modo la Chiesa debba aver cura delle famiglie. Ciò significa ricordare anzitutto che è sempre l’amore la sostanza di ogni sacramento. Non esiste sacramento che possa efficacemente incidere sulla vita di un essere umano che non si compia e sviluppi nell’amore. È insufficiente e superficiale ritenere “perfette” le situazioni familiari che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio e “imperfette” le altre. La Chiesa, dovrà anzitutto provare a respirare la sostanza dell’amore, che vale per le famiglie cosiddette “regolari” e per quelle dette “irregolari”. Non potrà considerare semplicemente “risolte” le famiglie che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio ed irrisolte le altre. Aver cura della vita significa accostarsi ad essa con sapienza e delicatezza, accettando di affrontare la globalità e la complessità dell’esistenza, di ogni esistenza.
Per analogia, potremmo poi dire che il sacramento sta alla fede come la natura sta all’amore. Affermare che la grazia del sacramento perfeziona la natura, equivale a riconoscere che la fede in Cristo perfeziona l’amore. È infatti la fede nel Signore Gesù, morto e risorto, ad instillare nell’amore umano la carità stessa di Dio (l’agàpe), che conduce a perfezione l’amore “naturale”. Per tale ragione, i sacramenti della Chiesa dovrebbero essere considerati e vissuti come termine di percorsi nei quali accade un processo di maturazione della fede, personale o familiare.
Il Vangelo della famiglia, da dispensarsi specialmente alle realtà familiari piccole, fragili, povere e ferite è questo: respirare la sostanza dell’amore e nutrire la forma della fede. La Chiesa, di fronte ai fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto matrimonio soltanto civile o sono divorziati e risposati, dovrà esser consapevole che anche costoro sono suoi figli e in tali unioni, specie quando manifestino il carattere della stabilità attraverso un vincolo pubblico, dovrà provare a riconoscere il germe della sacramentalità senza cedere alla tentazione di rinchiudere in categorie l’esistenza dei suoi figli.
Nutrire la forma della fede significa invece coltivare l’intima certezza che è l’incontro con Cristo (e la fede in Lui) il principio che perfeziona l’amore e le relazioni. La Chiesa perciò si preoccupi sommamente di proporre e donare Cristo senza controllare o plasmare le vite dei suoi fedeli ma ne favorisca solamente l’incontro con il loro Signore. Sempre invece ricordi a se stessa che ciascuna esistenza familiare è anzitutto oggetto delle cure e delle attenzioni di Dio. E rinunci perciò a formulare percorsi precostituiti ed accetti il rischio della continua novità e originalità dei cammini essendo madre di libertà e d’amore, prima ancora che maestra di dottrina e custode di istituzioni.

Emanuele Cosentini