«BALSAMO DI MISERICORDIA»

Omelia della Santa Messa del Crisma Basilica - Cattedrale San Nicolò
28-03-2024

Carissimi confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi e fedeli laici tutti, siamo radunati nella nostra Chiesa Cattedrale per contemplare il mistero del Sacerdozio come dono grande di Dio, che precede ogni nostro merito ed oltrepassa ogni nostra attesa, come vocazione personalissima ed essenzialmente ecclesiale. Una grazia per tutta la Chiesa, perché il ministero ordinato è destinato a servire il sacerdozio comune di tutti i battezzati.

Vogliamo contemplare la grazia di essere sacerdoti in questo nostro presbiterio diocesano. La Messa Crismale è unica perché manifesta l’intima comunione dei sacerdoti con il proprio Vescovo. Ed è questa comunione sacerdotale quella che maggiormente deve starci a cuore, poiché si tratta della prima e più efficace forma di «carità pastorale», la quale non è un semplice mezzo in vista di una maggiore efficienza del nostro ministero, ma il vincolo di perfezione che ricompone nell’unità la nostra vita e la nostra azione.

La carità pastorale scaturisce dal sacrificio eucaristico ed esige che tutti i presbiteri, «se non vogliono correre invano, lavorino sempre nel vincolo della comunione con i vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio» (Presbyterorum ordinis, 14).

Siamo di fronte al mistero della Chiesa, così come l’ha voluta, amata e redenta il Signore Gesù e così come l’ha dipinta nella sua bellezza l’apostolo Pietro nella sua Prima Lettera: Cristo è la «pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio»; è la «pietra d’angolo» che fa di tutti noi, «quali pietre vive», un «edificio spirituale, per un sacerdozio santo e regale» (cfr. 1 Pt 2,4-10).

In questa Messa Crismale invochiamo con umile fiducia il dono di uno sguardo di fede che ci faccia riconoscere, al di là dei nostri limiti e delle nostre fragilità, la luminosa verità del nostro essere «pietre vive» di questa santa Chiesa di Noto e la grazia singolare di essere, con il Vescovo, un «unico presbiterio». Un’unità che non si riduce alla condivisione di un ruolo, ma che si radica in modo indelebile nel sigillo e nella grazia dell’Ordine Sacro.

Il sacramento dell’Ordine e la dedizione a questa amata Chiesa particolare ci fanno presbiterio, ci uniscono per incarnare il servizio dell’edificazione dell’unico corpo di Cristo. È questa la nostra verità profonda.

Stanno qui la sorgente, la forza e la gioia della nostra unità e del nostro essere partecipi di una corresponsabilità formidabile e appassionante: quella di vivere per i fratelli, essere collaboratori della gioia di tutti, servi della missione che il Risorto ha affidato alla sua Chiesa.

Tutti noi, battezzati, unti dal Sacro Crisma, siamo stati resi partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. Questo, dunque, è anche il momento in cui siamo chiamati a riconoscere la dignità del sacerdozio regale del Popolo Santo di Dio. Dignità che si esprime nella vita santa e nelle opere di giustizia di ogni cristiano.

In forza di questa dignità tutti noi formiamo quel popolo che il Concilio non esita a chiamare popolo messianico perché ha il Messia, Cristo Gesù, come suo capo. Questo popolo ha per legge l’amore scambievole e come ultimo fine la manifestazione piena del Regno, che vedrà il mondo liberato dalla schiavitù della corruzione e pienamente partecipe della libertà dei figli di Dio (cfr. Rom 8, 21; Lumen gentium, 9).

«Mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, per rimettere in libertà gli oppressi», proclama Gesù nella sinagoga di Nazaret (cfr. Lc 4, 18). Sempre più uniti a Cristo, balsamo di misericordia, ungiamo di grazia il nostro popolo.

Ricordiamo le parole pronunziate da Papa Francesco in occasione della Prima Santa Messa Crismale celebrata nella Basilica di San Pietro il 28 marzo 2013: «Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!.[…] L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido e il cuore amaro. Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite, “le periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore…  […] Cari sacerdoti, Dio Padre rinnovi in noi lo Spirito di Santità con cui siamo stati unti, lo rinnovi nel nostro cuore in modo tale che l’unzione giunga a tutti, anche alle “periferie”, là dove il nostro popolo fedele più lo attende ed apprezza. La nostra gente ci senta discepoli del Signore, senta che siamo rivestiti dei loro nomi, che non cerchiamo altra identità; e possa ricevere attraverso le nostre parole e opere quest’olio di gioia che ci è venuto a portare Gesù, l’Unto. Amen (Francesco, Santa Messa del Crisma, Basilica Vaticana, 28 marzo 2013)».

Accogliere il «balsamo di Cristo» significa per noi diventare portatori della Sua gioia e della Sua misericordia. Ogni cristiano, infatti, è un «Cristoforo» in forza della grazia battesimale e della vita di fede alimentata dall’Eucarestia, dalla preghiera e dalla carità fraterna.

Dovremmo, perciò, onorare e incarnare l’essere popolo messianico. Dobbiamo farlo soprattutto quando più evidenti e drammatiche si mostrano le sofferenze e le tragedie dei popoli. Come, infatti, saremmo popolo messianico, popolo di speranza, se diventassimo latitanti proprio quando maggiormente la disperazione attanaglia il cuore dell’uomo e più abbondante sgorga il pianto dagli occhi dei nostri fratelli più fragili e bisognosi?

Riferendo di un fatto di cronaca che aveva registrato la morte di un ladro, il santo vescovo don Tonino Bello, nell’editoriale di un giornale locale scriveva con paterna sofferenza: «Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, sì, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre. Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io che, l’altro giorno, quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica. Perdonaci, Massimo. Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo. Domani verrò di nuovo al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di speranza, accenderò una lampada».

Carissimi fratelli e sorelle: «ritorniamo alla vita concreta di una comunità cristiana che metta al centro di tutto l’amicizia fraterna, attenta ai bisogni di tutti, che susciti ministeri e servizi al servizio del prossimo, accogliendo i bisognosi, i più piccoli, i più poveri e gli ultimi. Camminando sulla via della pace e alimentando la riconciliazione, impegniamoci concretamente nella vita sociale e politica della città. La Chiesa deve tessere relazioni vere e non a distanza per questo è necessario ed importante incarnare il volto di una Chiesa della vicinanza di cui ha sempre più bisogno la nostra gente» (Salvatore Rumeo, Lettera Pastorale Giardino di misericordia, p. 41).

In questa celebrazione eucaristica, mentre tanti segni liturgici ci parlano di pace, gioia, letizia e speranza, non possiamo dimenticare il dramma che si vive in Terra Santa, nel Medio Oriente e in Ucraina e Russia. Le cronache di questi mesi ci dicono di migliaia di vittime innocenti. Ed è Cristo, che prolunga la sua passione nella storia, sino alla fine!

Noi, intanto, rimaniamo turbati nel vedere l’impotenza delle trattative e delle diplomazie internazionali volute come luoghi di pacificazione. A noi, che assistiamo inermi allo scatenarsi della tragedia, cosa rimane se non la duplice «arma» della carità e della preghiera? Della carità, perché siamo confortati dalla speranza ch’è davvero possibile inaugurare una storia nuova nella quale le diversità di etnia, di cultura, di religione sono considerate autentica ricchezza e non ostacolo invalicabile; e della preghiera, che ci permette di raggiungere il cuore di Dio e d’invocare da Lui, il Misericordioso, quella luce che Egli solo può dare perché illumini le menti e v’infonda pensieri di pace.

Nessuno di noi, fratelli e sorelle, può rinunciare alla preghiera, tanto meno in quest’ora. Il grido dei poveri e delle vittime, che sale a Dio chiedendo pace e giustizia, non va mai perduto.

Dalla preghiera non dobbiamo desistere soprattutto noi, sacerdoti. La preghiera è un nostro impegno primario che non dobbiamo tralasciare per quanto le difficoltà derivanti da una realtà complessa lo rendano faticoso. Inoltre, adempiamo con fiducia e con coraggio il nostro compito di invitare all’autentica preghiera e raccomandare di vivere intensamente l’esperienza di figli di Dio, perché ogni battezzato riscopra la gioia di appartenere al Padre celeste.

Noi tutti, carissimi sacerdoti, sappiamo bene che lo spazio ed il tempo dedicati alla preghiera non sono mai sottratti all’azione pastorale. Piuttosto, la vivificano e l’alimentano quotidianamente. Ricordiamo pure d’avere dichiarato l’impegno d’implorare la divina misericordia per il popolo a noi affidato

Così scrivevo nel Messaggio Il sogno della pace, inviato alla comunità diocesana e non solo in occasione del 120° anniversario della nascita del Venerabile Giorgio La Pira: «Gli operatori della pace sono coloro che aprono la propria vita al progetto di Dio e orientano se stessi verso gli altri nella continua ricerca del bene comune. Occorre essere portatori di pace, anzitutto con il proprio comportamento giornaliero, vivendo in pace con Dio. Gli operatori di pace si sforzano di creare legami, di stabilire rapporti con tutti, appianando tensioni e mugugni. Perché Dio è la fonte della pace, e il Figlio Suo, il Principe della Pace. Lavorare e stabilire simili rapporti nella propria casa o nel proprio ambiente di lavoro è un fatto rivoluzionario. Gesù non è venuto a portare la pace ma il fuoco della pace. Tutto il suo messaggio e il suo comportamento sono orientati in questo senso. Ma proprio questo rapporto nuovo, stabilito con le persone, smaschera spesso la falsità e indirizza i cuori alla pace. Questo è il sogno di Gesù! Il suo Vangelo!» (p.9).

Cercare la pace e custodirla non è una scelta opzionale per il credente, bensì la vocazione fondamentale. Perché scegliere la pace è scegliere Cristo, cercare la pace è annunciare Cristo.

Ringraziamo il Signore per tutto quello che ci concede e per la passione con cui riusciamo ad amare e servire il nostro popolo impegnato nel cammino verso la santità.

Per tale motivo ricordo che il prossimo 5 maggio si chiuderà la fase diocesana del processo di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Nino Baglieri. Il rito si svolgerà alle ore 18:00 presso la Chiesa Madre di San Pietro in Modica.

Nino Baglieri nacque a Modica il 1° maggio 1951. Dopo aver frequentato le scuole elementari e aver intrapreso il mestiere di muratore, a diciassette anni, il 6 maggio 1968, precipitando da un’impalcatura alta diciassette metri fu ricoverato d’urgenza. Nino si accorse di essere rimasto completamente paralizzato. La carissima mamma si oppose ai medici che avrebbero voluto praticare l’eutanasia: quella santa donna confidò in Dio dichiarandosi disponibile ad accudire il proprio figlio personalmente per tutta la vita.

Nel 1970 Nino dopo un lungo peregrinare, tornò a Modica: trascorse gli anni successivi in un totale isolamento. Alle quattro del pomeriggio del 24 marzo 1978, Venerdì Santo, Nino avvertì una nuova forza dentro di sé, mentre alcuni fedeli laici accompagnati da padre Aldo Modica pregavano per lui. Da allora, non rassegnandosi, accettò la propria condizione di malato, imparando a scrivere con la bocca e aiutando molte persone.

Dal 6 maggio 1982 in poi considerava quel giorno il suo «anniversario della Croce». Il Buon Dio lo accolse in Cielo il 2 marzo 2007.

Il prossimo 15 maggio 2024 inizieremo le celebrazioni per il 180° anniversario di fondazione della nostra amata Diocesi. Noto, infatti, fu eretta come Sede Vescovile da Papa Gregorio XVI con la bolla Gravissimum sane munus il 15 maggio 1844.

Con la Lettera che sarà consegnata a conclusione della celebrazione odierna e prossimamente nelle nostre comunità, intendo condividere con voi le ragioni, lo stile e le modalità di attuazione delle celebrazioni per il 180° anniversario di fondazione della Diocesi in un momento particolare della vita della Chiesa universale che si appresta a vivere il Giubileo Pellegrini di speranza, e della Chiesa netina chiamata, nel territorio in cui vive, a testimoniare il Vangelo di Gesù Cristo Buon Pastore mentre si prepara, concluso il Sinodo, a indicare gli Orientamenti pastorali diocesani  e predisporre gli animi e i cuori alla mia prima Visita Pastorale.

Siamo grati al Signore Misericordioso per il dono della fede che ha accompagnato la storia di questa meravigliosa terra fin dai primi secoli di vita del Cristianesimo suscitando germogli di santità e di carità apostolica.

Non è facile entrare dentro le pieghe più nascoste della storia di una comunità cristiana e fare memoria del tempo di grazia vissuto con intensità nella ferialità della vita: sono stati tanti, infatti, i volti, le vicende, le soste e gli slanci pastorali che hanno arricchito il calendario spirituale e pastorale della Chiesa netina. La nostra celebrazione giubilare, in questo tempo sinodale, è segno di speranza per tutto il Popolo di Dio in cammino lungo le strade dei nostri Comuni.

Sono consapevole che il raggiungimento degli obiettivi prefissati non dipende solamente dall’impegno personale del Vescovo ma dalla condivisione, da parte dell’intero popolo di Dio, delle motivazioni e delle finalità che si propone di conseguire e, soprattutto, dall’aiuto di Dio che da tutti va sinceramente e umilmente invocato.La Madonna, Scala del Paradiso, nostra Madre, unta dallo Spirito Santo, preghi per noi affinchè il profumo di Dio, come quello del pane, si spanda tra le strade, e noi, come tanti ostensori di Cristo Eucarestia, diveniamo cibo stesso di grazia nelle case degli uomini per aiutare a far ritornare il gusto della gioia evangelica.

Ci aiutino in questa stupenda missione i nostri santi protettori e la testimonianza di tante anime semplici e adoranti che hanno fatto dell’Eucarestia il centro della loro vita.