«IL TRIONFO DELLA PACE»

Omelia della Domenica delle Palme Basilica- Cattedrale San Nicolò
24-03-2024

Con la celebrazione della Domenica delle Palme, carissimi fratelli e sorelle, inizia la Settimana Santa, la settimana più importante dell’intero anno liturgico, giorni in cui facciamo memoria di quelle ore, nelle quali Gesù visse il mistero della Sua Morte e Resurrezione.

Non dimentichiamo il significato della parola Pasqua – pesah – che in ebraico significa passaggio, salto e per Gesù fu il passaggio dalla morte alla vita attraverso la risurrezione.

La Pasqua per noi Cristiani è fondamentale. Il centro e il fulcro di ogni azione ecclesiale. Infatti è grazie alla Pasqua del Signore Gesù che il tempo è divenuto eterno e l’eternità si immerge, è entrata nel tempo. Noi possiamo vivere, qui e ora, i giorni della Passione, della Morte e della Risurrezione del Cristo, perché Egli si fa oggi nostro contemporaneo e nostro compagno di viaggio.

La Domenica delle Palme è, dunque, l’inizio di questa Grande Settimana. Una donna scrittrice del quarto secolo, una vera giornalista, di nome Eteria, descrisse come si svolgeva questa festa, celebrata dalla comunità cristiana di Gerusalemme di quel tempo.

Ci si radunava tutti sul monte degli ulivi a Gerusalemme, dove si ricorda la preghiera del Padre Nostro. Poi in processione si andava in cima al monte degli Ulivi, da dove Gesù salì al cielo, nel giorno dell’Ascensione (Atti 1, 9-12). Da lì di nuovo in processione, scuotendo rami di palma o di ulivo, si procedeva verso Gerusalemme per raggiungere la basilica che ricordava la risurrezione di Gesù.

Carissimi fratelli e sorelle, l’ingresso di Gesù a Gerusalemme ci rivela la via e lo stile di Dio e, di conseguenza, quello che il cristiano deve cercare di incarnare: la via dell’umiltà e della mitezza. Via dimenticata da tanti ma scelta da anime semplici, buone ed elette. Uno stile che non finirà mai di sorprenderci e di metterci in atteggiamento di riflessione: e ad un Dio così umile si dice soltanto: «eccomi».

Lui si abbassa per camminare con il suo popolo, scende per sopportare le sue piccolezze e infedeltà. Addirittura si fa strada, via di salvezza. Che umiliazione per il Signore ascoltare nel deserto mormorazioni e lamentele! Erano rivolte contro Mosè, ma in fondo andavano contro di Lui, il loro Padre, che li aveva fatti uscire dalla condizione di schiavitù e li guidava nel cammino fino alla terra della libertà.

Questa è la via di Dio, la via dell’umiltà. È la strada di Gesù. Da Betlemme a Gerusalemme Dio presenta la strada della povertà assoluta che indica all’uomo la legge del chinarsi per risorgere a vita nuova. Percorrendo fino in fondo questa strada, il Figlio di Dio ha assunto la «forma di servo» (Fil 2,7). In effetti, umiltà vuol dire anche servizio, vuol dire lasciare spazio a Dio spogliandosi di sé stessi, “svuotandosi”, come dice la Scrittura (v. 7). Lo svuotarsi è l’umiliazione più grande.

Nella memoria della Grande Settimana avvertiremo la presenza del male che si insidia nel cuore dell’uomo, le oscure trame del maligno che cercano di distruggere e soffocare la voce del bene.

Assisteremo al tradimento di Giuda che lo venderà per trenta denari. Il Signore sarà arrestato e portato via come un malfattore, abbandonato dai discepoli, trascinato davanti al sinedrio, condannato a morte, percosso e oltraggiato. «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6).

Pietro, l’uomo forte, la guida dei discepoli, lo rinnegherà per tre volte. La folla, sobillata dai capi, chiederà libero Barabba e Lui crocifisso. Vedremo Gesù schernito dai soldati, coperto con un mantello di porpora, coronato di spine. E poi, lungo la via dolorosa e sotto la croce, si alzeranno a gran voce gli insulti della gente e dei capi.

C’è una strada contraria a quella di Cristo: quella del maligno. Questa è la via della vanità, dell’orgoglio, del successo… È l’altra via. Una possibile scelta che ci porta dall’altre parte, a non considerare più la legge di Dio, a sfidare l’Onnipotente.  Il maligno l’ha proposta anche a Gesù, durante i quaranta giorni nel deserto. Ma Lui l’ha respinta senza esitazione. E con Lui, con la sua grazia soltanto, col suo aiuto, anche noi possiamo vincere la tentazione della vanità, della mondanità, non solo nelle grandi occasioni, ma nelle comuni circostanze della vita.

Ci aiuta e ci conforta oggi l’esempio di tanti santi uomini e donne che, nel silenzio e nel nascondimento, ogni giorno rinunciano a sé stessi per servire gli altri: un parente malato, un anziano solo, una persona disabile, un senzatetto…

Pensiamo anche all’umiliazione di quanti per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e pagano di persona. E pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani, i martiri di oggi che non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi. Lo seguono sulla sua via.

Diventa legittimo pensare, in un giorno dedicato alla mitezza e all’umiltà, alle disastrose e disumane azioni di guerra in ogni angolo della terra, all’ingiustizia sociale, ai paesaggi degradati e inquinati dalla negligenza umana, agli abusi sui minori e alle violenze sulle donne e ai femminicidi.

Dov’è Dio in questo mondo che sembra andare sempre più alla deriva? Gesù stesso, vittima dell’egoismo umano, fu consegnato da Giuda Iscariota alle autorità giudaiche del Sinedrio (cfr. Mc 14,17; 43-51): fu consegnato a Pilato dalle stesse autorità (cfr. Mc 14,1); fu consegnato alla folla da Pilato per essere crocifisso (cfr. Mc 14,15): sembra abbandonato a se stesso, abbandonato dal Padre, senza nessuna protezione.

Elie Wiesel, un ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, nel suo romanzo La Notte, ci parla in modo incisivo del problema che l’uomo si pone e continua a porsi con una certa frequenza e che lo segue per tutta la durata del suo lungo pellegrinare: «“Dov’è Dio, adesso?”. Le SS impiccarono due ebrei adulti e un ragazzo davanti a tutto il campo. Gli uomini morirono rapidamente, ma gli spasimi d’agonia del giovane durarono per mezz’ora. “Dov’è Dio? Dov’è?”, chiese qualcuno dietro di me e mentre il ragazzo pendeva ancora dal capestro, nel tormento, dopo molto tempo, ascoltai l’uomo chiedere di nuovo: “Dov’è Dio adesso?”. E sentii una voce in me rispondere: “Dov’è?” “È qui. Viene impiccato li sulla forca…” Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere».

Il dolore accettato dal Figlio di Dio, innocente e santo, in quell’arco di tempo che va da «mezzogiorno alle tre di pomeriggio» ha un valore infinito e puro: è vero amore divino. Tutto il dolore del mondo e dell’uomo di ieri, di oggi e di domani si è trovato sulle spalle del crocifisso.

Durante questa Settimana, mettiamoci anche noi decisamente sulla strada dell’umiltà, con tanto amore per Lui, il nostro Signore e Salvatore. Sarà l’amore a guidarci e a darci forza. E dove è Lui, saremo anche noi (cfr. Gv 12,26).

«Quale gioia quando mi dissero: “andremo alla casa del Signore”». E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme (Sal 122,1-2). Finalmente la Città Santa! Qui è entrato trionfalmente accolto dai pueri hebroerum con palme e rami d’ulivo, ha spezzato il pane per noi, ha sofferto e ha dato la vita per la redenzione dell’uomo. Qui, fuori dalla città, s’è fatto «buio fino alle tre del pomeriggio» (Lc 23,44). Anche le pietre raccontano di Gesù di Nazareth, del passaggio di Dio nella città degli uomini, di una Tenda posta tra le case e le ansie degli uomini.

Gerusalemme risplendi della luce del Tuo Signore, torna ad essere città della pace. Tacciano le armi e il sole di Dio risplenda su tutti. Trionfi l’Amore nel cuore dell’uomo. Di ogni uomo. Sia lodato Gesù Cristo!