«CAMMINIAMO NELLA LUCE DEL SIGNORE»

Omelia nella Santa Messa in occasione del 120° anniversario della nascita del Venerabile Giorgio La Pira Pozzallo – Chiesa Madre
09-01-2024

Fratelli e sorelle,

i santi ci insegnano le vie di Dio e i loro sentieri intrisi di vera umanità raccontano la fatica del credere e l’arduo impegno a raggiungere il Paradiso. Anche noi questa sera vogliamo, sull’esempio della vita di preghiera del Venerabile Giorgio La Pira, salire «sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri».

La via che oggi il Signore ci indica attraverso la Sua Parola e il magistero di Papa Francesco, successore di Pietro, è quella della pace. Non possiamo sottrarci ad un impegno così gravoso e urgente.

La parola del profeta Isaia esprime una grande fiducia speranzosa nel Signore, giudice «misericordioso tra le genti e arbitro tra molti popoli».

Il profeta vede l’urgenza dell’intervento del Signore per ricondurre i popoli alla saggezza del far cadere le armi e del tornare a vivere insieme. Un sogno che, purtroppo, oggi sembra essere utopia.

Il nostro tempo racconta di mani che si armano contro, di violenza inaudita che porta solo disperazione e morte. Popoli che hanno armato le loro mani e le loro menti e i loro cuori induriti.

E siamo ancora toccati profondamente da ciò che accade nella terra di Dio e in ogni parte del mondo in questa stagione così cruenta e funesta.

Tutti siamo chiamati a capire come lo strazio e il dolore della guerra tocca l’animo e la coscienza di tutti.

Sorelle e fratelli, di fronte a tanta sofferenza ci chiediamo: che cosa fare? Preghiamo ogni giorno per la pace nel mondo. Vogliamo rivolgerci al Signore, Lui, che può convertire le spade in aratri, le lance in falci, che può insegnare ad ogni nazione a non alzare più la spada contro un’altra, che può insegnare un’altra arte, quella della pace e della concordia. Il vangelo è la fonte da cui scaturisce l’arte più grande, l’arte dell’amore e della fraternità.

Le parole del profeta Isaia sono le parole di speranza per l’oggi dell’uomo. Non sono le parole di un tempo antico, passato, parole scritte su una cartolina da esporre in un bel museo, sono le parole di oggi perché, purtroppo, le armi seminano ancora morte e distruzione. Sono state e sono le parole di Giorgio La Pira, le parole con cui ha gridato agli altri e coltivato nel proprio cuore, innamorato di Cristo, sentimenti di pace.

E la Parola di Dio contempla l’uomo in un mondo in cui le armi non serviranno più.  E sappiamo che non c’è pace senza disarmo.

È quel disarmo che Gesù chiede ai suoi discepoli nell’ora della passione. «Basta!» dice a chi gli presenta due spade. Facciamo cadere anche nel nostro cuore ogni tentazione di piccola guerra che ancora cova nella nostra vita, verso chi c’è vicino, verso gli altri. Operatori di pace e miti costruiamo la pace nella vita in questo tempo così travagliato. «Un popolo non alzerà più la spada contro un altro, non si eserciteranno più nell’arte della guerra».

Questo sarà il dono della fine dei tempi ma noi vogliamo e chiediamo, soprattutto oggi, che questi tempi accadano presto, perché affrettare il regno di Dio vuol dire desiderare la pace.

Lo preghiamo nel Padre Nostro: «Venga il tuo regno», e chiediamo ancora il dono della fraternità, quella fraternità che rende dolce, giusto e dignitoso il pane quotidiano, che rende bella la terra degli uomini, che rende meraviglioso questo mare dove vivono e faticano con un lavoro onesto migliaia di pozzallesi o diventa luogo di disperazione e morte di tanti fratelli e sorelle che, partendo dall’Africa, sognano di trovare un po’ di serenità e di vera dignità nella nostra bella e tormentata Italia.

La pace è un dono di Dio ma è anche opera di ciascuno. Siamo chiamati a compiere gesti di pace, forse anche fragile, la nostra pace: costruiamola ogni giorno nella nostra vita, sapendo e credendo che è possibile, perché il Signore ci indica sentieri e processi di pace vera.

Il vangelo di Luca presenta Gesù all’inizio dell’attività pubblica. Dopo aver affrontato le tentazioni nel deserto, egli torna a Nazareth. Nella sinagoga Gesù proclama alcuni passi dal rotolo del profeta Isaia dove si dice di un’unzione che attribuisce un incarico in nome di Dio. Nell’Antico Testamento l’olio era usato per consacrare i re, i sacerdoti e inviare i profeti. Lo stesso termine Messia significa “unto”. In questo caso, però, l’unzione individua un mandato molto più importante: in Gesù Dio incontra gli uomini in modo diretto, senza mediazioni, e dona loro la propria vita.

Nella sinagoga di Nazareth, Gesù incontra i suoi compaesani. Luca dice che gli occhi di tutti erano puntati su di lui e possiamo pensare che fossero sguardi inizialmente ben disposti, ma in seguito disorientati, stupiti e a fine giornata addirittura ostili.

Gesù è conosciuto come il figlio del falegname, ma con la frase: «oggi si è adempiuta la scrittura del profeta Isaia», si manifesta, invece, come l’unto, il Messia che annuncia, proclama e libera.

Con le parole di Isaia Gesù manifesta il volto di un Dio credibile perché mostra la sua vicinanza a chi soffre, o perchè fragile ed emarginato. Ci mostra il volto di Dio che vuole la libertà ed il bene di tutti i suoi figli, che non proclama l’anno dei precetti, delle leggi, ma un anno di grazia. Ed è bello percepire la varietà di parole che si rifanno a questo termine: gratuità, perdono riconoscenza, bellezza, misericordia.

La misericordia è concretezza: si radica nel vissuto del volere bene e del prendersi cura. Ha a che fare con persone concrete, con volti ben precisi. È amore incarnato, che tocca e si lascia toccare. È il linguaggio della sollecitudine, dell’abbracciare, fatto di gesti, di azioni e di «opere». Per questo Papa Francesco ha richiamato, anche per i giovani, l’importanza delle opere di misericordia, con la loro tattilità. Un contatto che ci aiuta a cambiare direzione. Ci converte. Recuperare questo tratto della nostra fede è fondamentale. Ci riporta ad una dimensione umana, dove siamo liberi di vedere e toccare l’altro con semplicità fraterna. Misericordia come concretezza, tocco che esprimendo affetto riconosce un valore e riconcilia con il mondo. Un modo di prendersi cura, che però non diventa possesso. Non si è misericordiosi per fare proselitismo. La misericordia fa rinascere l’altro alla libertà. È un invito e non un ricatto. È riconoscere quel contatto come la frase di un linguaggio universale: il linguaggio della comunione.

La vita di Giorgio La Pira ci insegna che il cuore del cristianesimo è un annuncio di salvezza e di amore che vuole raggiungere, anzitutto, chi è più in difficoltà e i cristiani sono chiamati a prendere parte attivamente a questo grande annuncio: la fede diventa credibile se è capace di non girarsi dall’altra parte davanti al dolore degli altri.

Scriveva il Venerabile La Pira nel 1941, a soli 37 anni: «È vero: la conversione totale a Dio non è il frutto di una sola conquista. Non basta avere rag­giunto una cima: c’è una cima ulteriore; e poi un’altra ancora! L’orizzonte si allontana mano a mano che ci si avvicina! Sono consentite soste, non sono consentite stanchezze. La vita si con­centra di tratto in tratto nei tramonti silenziosi e puri: ma l’alba ritorna dopo il riposo ristora­tore della notte; e con l’alba ritorna l’intimo di­namismo della Grazia e della vita. La strada è iniziata; non è finita! La Grazia assaporata non è che il primo invito: ora bisogna continuare questa strada che va lunga e faticosa verso le vette della perfezione. La “santità”, l’intima freschezza del cuore, la pura visibilità della mente esigono che la vita zampilli fresca e vigorosa nella intimità dello spi­rito. Bisogna fare come Cristo ha fatto: splen­dere come la luce, adorare il Padre in ispirito e verità, ravvivare i germi della vita dove la mor­te cerca di inaridirli: essere portatori di calore vivificante, di luce consolatrice. Così cresce la grazia, così cresce la vita».

Questa è la visione profetica dei santi che ogni giorno cercano di seminare speranza incarnando il Vangelo di Cristo: «sale della terra e luce del mondo».

Oggi le parole di Gesù sono rivolte ad ognuno di noi così come siamo, nella situazione in cui ci troviamo. L’amore di Dio ci raggiunge anche se ci sentiamo in una condizione spirituale imperfetta o di fede fragile, anche se non ci sentiamo degni del suo amore, anche se non sappiamo pregare, se siamo egoisti o pigri: cioè se ci sentiamo poveri, oppressi, prigionieri e ciechi nella fede. Dio ci abbraccia senza porre condizioni, per immergerci nel suo amore gratuito.

La Pira ascoltava tutti perché in tutti contemplava il volto di Cristo. Si fermava a parlare con tutti perché il suo animo era colmo di Dio e non aveva paura dei suoi avversari. Dipinto da alcuni come un ingenuo, umile non aveva bisogno di ostentarsi, non curava affatto la sua immagine, andava dritto al cuore e alla mente e così rispondeva alle domande vere delle persone che serviva con spirito evangelico. Viveva la politica come un servizio e non come luogo di potere.
Era innamorato di Dio e per questo innamorato profondamente dell’uomo, tutto l’uomo. Mistico e pratico, incarnava lo spirito di Marta e Maria. Ha desiderato il cielo e per questo amava e scrutava con passione la terra e il mondo interiore di ogni uomo.

Carissimi fratelli e sorelle, dobbiamo tornare a riflettere, a coniugare fede e vita attiva, tracciare sentieri di pace, dobbiamo tornare a frequentare i tavoli della condivisione delle idee che favoriscono il bene della persona, dobbiamo abbattere le barriere del tornaconto e prostrarci dinanzi al «roveto ardente» di ogni uomo ferito nella propria dignità.

Dobbiamo inculcare nel cuore dei nostri ragazzi e dei nostri giovani la sete dei grandi ideali, testimoniare loro che la vita è servizio, è un dono unico. Il sogno di La Pira è stato un sogno universale, un ponte che ha voluto unire le coscienze e raggruppare gli ideali di tutti. Nessuno escluso.