LASCIARSI TOCCARE IL CUORE

Omelia nella Santa Messa di Ringraziamento Cattedrale Santa Maria La Nova – Caltanissetta 13 aprile 2023
13-04-2023

Come fare ritorno a casa. Come stare sulla via che ti porta dove, nella grazia e nella fatica, hai vissuto la tua prima giovinezza, tra queste case, su queste vie a te da sempre familiari, dove hai scoperto una vocazione straordinaria, e incontrando la tua gente, hai compreso che Qualcuno lassù ti ha scelto alla vita sacerdotale. Quella scelta che porti sempre con te, nel tuo cuore.

Fare ritorno dove in una Chiesa meravigliosa come la nostra Cattedrale, in un caldo e gioioso 29 giugno di 33 anni fa ti sei prostrato sul pavimento – proprio qui – ricevendo il Sacro Crisma, la protezione dei Santi della Chiesa universale e dei santi della nostra amata chiesa nissena, dove in comunione con il vescovo hai partecipato a mille eventi di grazia fino all’altro ieri. Qui a Caltanissetta come negli altri comuni della Diocesi.

L’Eucaristia che stiamo celebrando, carissimi fratelli e sorelle, carissimi confratelli è il rendimento di grazie più bello e perfetto che oggi possiamo offrire al Padre.

Qui, nel cuore della mia amata Chiesa nissena, come Sacerdote di Cristo sono stato chiamato dal Signore a spendere la mia vita per annunciare il Vangelo, celebrare i sacramenti e servire nella carità. E ora, il Signore mi ha chiama ad essere padre, fratello, amico della Chiesa che vive a Noto nella pienezza del Sacramento dell’Ordine, apostolo e missionario del Suo Vangelo di misericordia per l’imposizione delle mani dell’amatissimo nostro Vescovo Padre Mario a cui va la mia gratitudine filiale e fraterna amicizia.

Il Vangelo di oggi ci narra che a sera, al termine del «primo giorno della settimana», dopo un rincorrersi di notizie che davano il Maestro ancora in vita, Gesù entra nel cenacolo mentre i due discepoli, tornati in fretta e la stessa sera da Emmaus, stavano ancora raccontando quello che era accaduto loro lungo la via. Gli apostoli al vedere «Gesù, in persona» venire in mezzo a loro furono presi da stupore e spavento.

E come già altre volte accaduto in precedenza, pensano sia un fantasma, una figura astratta, irreale. Il Vangelo di Pasqua sottolinea la forte incredulità degli apostoli. Così ci ricorda Giovanni nel Prologo: «Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto».

Siamo anche noi stupiti e spaventati. Anche noi pensiamo che il Vangelo sia una contenitore di parole vuote, lontane dalla vita, belle ma impossibili a vivere; e ci allontaniamo dal suo fascinoso insegnamento perché pensiamo che sia troppo esigente, che chieda sacrifici e rinunce, che pretenda una vita poca felice. E, con incredibile facilità, le svuotiamo nella loro radicalità perché non ci disturbino troppo.

Ma Gesù torna e dopo il saluto di pace dice a tutti noi: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono io! Toccatemi e vedete; uno spirito non ha carne ed ossa come vedete che ho io». E mostra loro le mani e i piedi segnati ancora dalle ferite dei chiodi; non propone una lunga e dotta disquisizione teologica sulla risurrezione e neppure costruisce teorie sulla fede. Gesù mostra la realtà concreta del suo corpo risorto, ma ancora ferito. E forse l’ultima ferita gliela stanno infliggendo proprio in quel momento i discepoli con la loro fredda inospitalità e un atteggiamento superficiale.

L’evangelista sembra indicare una via per accorciare la distanza tra Cristo e i discepoli: mostrare le ferite: «Guardate le mie mani i miei piedi; sono proprio io! Toccatemi e guardate».

Le ferite sul corpo, senza dubbio ci dicono che il Gesù di Pasqua è lo stesso Gesù del Venerdì santo, ma la loro permanenza nel corpo del Signore risorto richiama anche la realtà del dolore e del male ancora presente in questo mondo.

La risurrezione è avvenuta e deve continuare ancora. È iniziata con Gesù, il capo del corpo, ma ci sono tante parti di questo unico corpo che hanno ancora ferite aperte: sono i poveri, i malati, i condannati a morte, i paesi lacerati dalla guerra, i colpiti dalle disgrazie e dalla violenza, i sofferenti nello spirito. E l’elenco può continuare ancora…

Dietro questo invito di Gesù c’è un fiume di di persone, di bambini, di orfani e anziani che continuano ad attendere aiuto e davvero pochi «guardano» e ancor meno si incamminano per «toccare». Sì, credere, vedere e toccare! Questi sono i verbi della risurrezione: accorgersi di chi ci sta accanto e soffre e non passare oltre come fecero quel sacerdote e quel levita. La vittoria sulla nostra incredulità inizia da quest’incontro affettuoso con il corpo ancora ferito di Gesù.

Immediatamente dopo, nota l’evangelista, Gesù «aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture». In precedenza Gesù aveva spiegato le Scritture ai due discepoli di Emmaus che se ne stavano tornando a casa tristi e rassegnati. Un cammino verso la morte…un viaggio verso le tenebre del cuore! Eppure essi conoscevano le pagine dell’Antico Testamento e avevano anche più volte ascoltato la parola di Gesù. E ora ascoltando nuovamente il Vangelo si lasciano toccare il cuore.

Con la celebrazione della Pasqua inizia un ascolto che non termina più: quella Parola proclamata e predicata è la linfa della vita di ogni discepolo e dell’intera comunità. Quanta Parola spezzata e celebrata nella nostra Chiesa nissena: dalle Lectio, ai Cenacoli del Vangelo…e il Biennio Biblico! Senza di essa saremmo senza nutrimento, senza pane. Ogni giorno perciò il Signore ci raccoglie, apre la nostra mente all’intelligenza delle Scritture e riscalda i nostri cuori. Di questo vangelo – dice Gesù ai discepoli di ogni tempo – “voi siete testimoni”.

«Misericordia eius in aeternum»: questo il mio motto episcopale. La misericordia è il nome di Dio che tutti ama e soccorre con premura materna. La misericordia è la fedeltà di Dio a Se stesso e, allo stesso tempo, la fedeltà di Dio alla Sua alleanza. Nella Sua misericordia, Dio non abbandona nessuno e offre a tutti una nuova opportunità e un nuovo inizio. La Chiesa di Cristo vuol essere riconosciuta come la casa della misericordia che, nel dialogo tra la debolezza degli uomini e la pazienza di Dio, accoglie, accompagna e aiuta a trovare la buona notizia della grande speranza cristiana.

A 180 anni dalla nascita – 15 maggio 1844 – contemplo una Chiesa che sappia raccogliere e capire le domande di tutti, che sappia valorizzare i talenti e i carismi di ciascuno. Una Chiesa Corpo di cui ciascuno possa sentirsi parte viva. L’incontro con Gesù coinvolge la persona nella sua totalità: cuore, mente, sensi. Non riguarda solo la mente, ma anche il corpo e soprattutto il cuore. Una comunità che sappia attendere il passo dei più lenti e delusi dalla vita, che sappia andare realmente e cristianamente controcorrente.

ll credente si riveste di santità sia per la sua creazione ad immagine di Dio, sia per la sua missione nel mondo e per la capacità di incarnare quotidianamente il vangelo di Cristo. L’Amore Trinitario ci rende persone in relazione, disposte a creare unità e comunione, suscitando lo stupore e la meraviglia.

Permettetemi di aggiungere solo qualche breve parola, per dar voce ai molti sentimenti che mi accompagnano in questo momento così importante della mia vita.

Il mio grazie commosso e sentito va anzitutto a Dio, per il dono della vita e della vocazione alla vita sacerdotale che per mezzo dell’effusione di grazia ricevuta il 18 marzo è giunta alla sua pienezza. Sento chiaramente che, nella mia vita, il Fedele è stato e rimane Lui: mi ha accompagnato e sostenuto con la forza dello Spirito nei momenti di gioia e in quelli di prova. Al Padre di ogni misericordia affido il mio ministero episcopale, rinnovando il mio  con trepidazione, ma anche con la serena certezza che mi deriva dal fatto di sapere in «chi ho posto la mia fede» (2Tm 1,12).

Ringrazio con tutto il cuore il nostro amato Papa Francesco per la fiducia che ha riposto in me eleggendomi vescovo di Noto. Avrò modo prossimamente di esprimergli direttamente la mia disponibilità e obbedienza: insieme a voi gli assicuro, ora, il ricordo orante e l’affetto filiale di tutta la nostra Chiesa.

Desidero esprimere la mia personale gratitudine al vescovo Mario, che mediante l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria mi ha unito al collegio apostolico: la tradizione che da questo momento ci lega anche sacramentalmente sia segno di una comunione nel servizio alla Chiesa siciliana, che continuerà nel tempo anche se con modalità diverse. Sono stati anni intensi e di grande collaborazione nello spirito dell’obbedienza e di vero servizio e amore a questa nobile porzione di Chiesa che venero come madre affettuosa che ha sempre cercato il mio bene e la mia serenità interiore.

Grazie ai confratelli sacerdoti qui presenti, ai diaconi, ai religiosi e religiose, ai seminaristi, ai fedeli laici, alle autorità di ogni ordine e grado, a chi ha gioito per il mio nuovo ministero, di servo di Cristo e successore degli apostoli nella comunità cristiana di Noto.

Con molta semplicità vorrei dirvi di pregare per me, perché incarni il Vangelo della Comunione e della Misericordia: possa prendermi cura degli altri, manifestando con la vita prima ancora che con le parole l’essere Padre in una comunità di fratelli e sorelle in Cristo. Domani, in Visita pastorale, incontrerò la Città di Modica e sabato vivrò appieno la mia paternità perché nella Basilica-Cattedrale di Noto ordinerò il diacono Don Christofer Fava, sacerdote di Cristo.

Ringrazio la mia famiglia di origine. In questa famiglia il buon Dio mi ha fatto nascere non solo alla vita della carne, ma a quella dello Spirito: li ringrazio sempre per la loro testimonianza di vita e per la loro bontà. L’educazione cristiana ricevuta in famiglia e in parrocchia, semplice ma solida nella sua essenzialità, è stata e resta per me un punto di riferimento costante.

Desidero, inoltre, dire il mio grazie alle comunità dove ho svolto il ministero da vicario parrocchiale e alla Comunità del Sacro Cuore. Lì ho imparato che il sacerdozio è spendersi fino alla fine, che la vita è un dono da offrire in pienezza, che la comunione è il vero volto della Chiesa che sa gioire con chi è nella gioia e soffrire con chi ha il volto bagnato dalle lacrime.

Ringrazio i tanti amici presenti qui in Cattedrale. Chi mi conosce sa che per me l’amicizia è un valore fondamentale: con i tanti volti che vedo qui ho vissuto esperienze meravigliose e indimenticabili, sperimentando la bellezza dell’amicizia in Cristo incarnata nella semplicità e nella fraternità.

Infine, ma non per ultimo, ringrazio tutti coloro che, a vario titolo, deliani, nisseni e sancataldesi, si sono adoperati nell’accompagnarmi a Noto. Il Signore, che conosce i cuori e sa di che cosa abbiamo bisogno, tutti ricompensi con la sua grazia e la sua benedizione.

E ora, amati fratelli e sorelle, pregate per me, perché possa servire il Signore, cercando il volto del Padre per essere testimone autentico della gioia. Quella vera! Grazie!